di Nicola Cinquetti e Juliana Salcedo, 2019
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La permanenza dell’oggetto è una competenza che il bambino, si dice, acquisisce tra i 9 e i 12 mesi di vita. Tuttavia oltre a scoprire cognitivamente che le cose sono altro da sé, con il tempo il bambino sperimenta tutte le implicazioni emotive che questo comporta, in una avventura di senso e affezione davvero affascinanti. E Bobo, il bambino protagonista di Tic Tic, deve avere proprio poco più di un anno e ci accompagna a scoprire questa grande verità attraverso i suoi occhi.
«Bobo gioca sulla terrazza della sua casa. La terrazza è molto grande e lui può correre, tirare calci alla palla e saltare sul cavallo rosso. È un bambino molto piccolo, Bobo. Così piccolo che sa dire solo tre parole: Bobo, mama e più». Tra un gioco e uno spuntino, in compagnia del suo coniglietto, Bobo incontra un uccellino incuriosito dal pane appena sbocconcellato.
«Il passero non ha paura. Prende il pezzetto di pane e vola via. “Più!” grida Bobo. “Più!”».
Questo comportamento assolutamente naturale viene vissuto dal protagonista come un vero e proprio abbandono, lasciando il piccolo profondamente scorato. La mamma, non avendo assistito all’accaduto, può solo consolare il piccino. Nella stanza Bobo evidentemente rielabora la sua esperienza. «Tic tic», pensa e forse pronuncia ad alta voce. E proprio un tic tic gli fa alzare lo sguardo: l’uccellino è tornato alla ricerca di un’altra briciola!
La storia è molto interessante perché racconta del bambino e delle sue esigenze emotive con serietà, calandole nella semplicità di una avventura quotidiana e quindi rivolgendosi direttamente ai bambini più piccoli.
Il tema dell’assenza si configura dunque - come nella realtà dell’infanzia è - come la perdita di una relazione. Il bambino abituato a godere di una dipendenza - quella genitoriale - da cui trae la gioia e la possibilità dell’esperienza nel mondo, quando vede interrompersi un rapporto si sente perduto. Il bambino vuole entrare in relazione personale con tutto. Che bello!
La storia risulta interessante proprio perché considera questo disagio, raccontandolo e facendo intuire l’orizzonte della permanenza e dell’attesa.
Ho trovato superflua, la chiosa finale esplicita («Bobo non piange più, perché adesso sa che il suo amico, prima o poi, tornerà alla finestra a fare tic tic») che rende pesante una storia che è spontanea e piacevole.
C’è un clima emotivo molto empatico e attento che le immagini di Juliana Salcedo rendono palese: la mamma sempre abbassata a livello di Bobo, i gesti gentili, contenitivi e accoglienti, i volti sorridenti e comunicativi e sempre in relazione tra di loro. La mamma pur non essendo sempre fisicamente presente, lo è come accompagnamento e fiducia, come costante figura d’appoggio, mai lontana, mai assente. Lo stesso specchiarsi di Bobo e dell’uccellino («Bobo non ha paura… Il passero non ha paura») mostrano un’attenzione narrativa che vuole essere inclusiva delle sensazioni di tutti i personaggi, in una comunicazione reciproca.
La palette di colori è piacevolmente contemporanea, i volumi piatti e chiari e le linee grosse a segnare i profili degli oggetti.
C’è una cura interessante per i dettagli che mostrano lo svolgersi del tempo, pur non sovrastando il testo o distogliendo l’attenzione del piccolo lettore: il muoversi delle nuvole in cielo, lo scorcio sul piano della cucina che segue la preparazione del pranzo…C’è anche una piccola cavalletta che potrete giocare a trovare pagina, dopo pagina.
Una storia da leggere ai più piccoli (dai 2 anni), che racconta di separazioni dolorose, ma anche di confortanti ritrovamenti, nel riaffermarsi sempre di un rapporto sicuro e amorevole che non viene mai a mancare.
Da Strenne 2019 - Giorno 9, di Maria Polita, in Scaffale Basso, 9.12.2019