I cigni selvatici

di Hans Christian Andersen, Maria Giacobbe, Joanna Concejo, 2011.

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Smorzare la temperatura di certe emozioni, affievolire la luminosità di certe gioie, attenuare il dolore di certe prove, abbreviare il corso di certe attese, risparmiare i conti di certe fatiche, non garantirebbe ciò per cui I cigni selvatici esistono: rendere possibile l'impossibile. Circa un anno fa, il blog “Le figure dei libri” pubblicava un'intervista a Joanna Concejo. Fino a questo momento, per Topipittori, l'illustratrice franco-polacca aveva dato forma a personaggi maschili, enigmatici, invisibili, si chiamavano Il signor Nessuno e L'angelo delle scarpe.  Con Maria Giacobbe, una scrittrice e giornalista di origine sarda, trasferita in Danimarca dalla fine degli anni Cinquanta, Concejo interpreta I cigni selvatici di Hans Christian Andersen, un classico della letteratura fiabesca entrato nel 2011 nella collana “Fiabe quasi classiche”. «Per me, tutto comincia nella realtà. Anche l'immaginazione», afferma l'illustratrice. «In ogni caso, l'immaginazione è radicata nella realtà e se ne nutre», continua. «La realtà è una sorgente inesauribile: se sono capace di “vedere”, se so attingervi.» Potrebbe sembrare un paradosso cominciare l'approfondimento di un racconto imbevuto di eventi e visioni prodigiose da una dichiarazione di realismo. Tuttavia, dalla prima all'ultima pagina, I cigni selvatici confermano che il vissuto terreno è intrecciato a vissuti di altra specie e che nel paesaggio delle fiabe questa obliquità è un fatto assolutamente ordinario. [...] Tutto nelle fiabe conosce un grado di intensità esagerato. I cigni selvatici (e con esse l'opera omnia di Andersen e dei Grimm) sarebbero altro da sé, se le parole e le immagini non rispettassero questa impostazione. Ma, scrive Wisława Szymborska in L'importanza di farsi spaventare: «I bambini amano essere spaventati dalle favole. Hanno un naturale bisogno di essere spaventati dalle favole. Andersen atterriva i bambini, ma nessuno di loro, una volta diventato grande, gliene ha mai voluto.»

Il mondo dorato che avvolge le dodici creature dalla nascita, finisce il giorno in cui il re sposa in seconde nozze una «perfida regina per niente gentile». La donna e l'uomo si liberano di Elisa e fratelli spedendo l'una in campagna, presso una famiglia di contadini, gli altri nel mondo, sotto  l'influenza di un sortilegio noto solo alla matrigna e a chi ne è colpito: di giorno i principi hanno l'aspetto di cigni selvatici, di notte riacquistano sembianze umane. Concejo opera una scelta radicale sui soggetti anderseniani [...]. Tanto più sono abbandonati a se stessi e dimenticati da chi li volle al mondo, quanto più principi e principessa trovano asilo tra le figure illustrate. Calde, adornate di elementi floreali e fibre vegetali, di acque che inumidiscono e aria che trasporta, dilatate a tempi e spazi di sogno, regine assolute: sono le illustrazioni di Joanna Concejo, una casa affettuosa, per i destini nomadi di personaggi sempre al limite della sopravvivenza e all'apice della stanchezza fisica e psicologica. [...]  Scrive Cristina Campo, che allo studio delle fiabe e della religione ha dedicato buona parte della propria esistenza, «Eroi e bardi della fiaba assoluta, la fiaba delle fiabe, furono in ogni secolo i Santi. Ovvero si trattò di personaggi arcani, gentiluomini e dame che allietarono con la loro grazia intellettuale corti e, in figura di compianto amoroso o di fantasia stravagante, narrarono storie in tutto simili alle storie dei Santi.»



Da Rendere possibile l'impossibile, di Giulia Mirandola, Catalogone, 2011.