di Silvana D'Angelo e Valerio Vidali, 2008
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Si sa che gli animali hanno spesso un nome proprio. Senza nome è un concetto chiaro: denuncia un vuoto di parole e di identità. Per contrasto, la storia fa subito l’opposto e inizia proprio dai nomi. «Sharik, Flush e Patì sono i miei migliori amici. Vivono lungo la strada che da casa mia porta al parco. Il mio nome, invece, è un pezzo che non lo sento. Tanto tempo, che non lo ricordo più.». Peggio. «A volte mi viene persino il sospetto di non averlo mai saputo» spiega il piccolo cane protagonista.
Si può essere senza nome per svariate ragioni: o perché non lo si sa; o perché lo si dimentica; o perché è negato. Senza nome tratta del primo caso. Ad ogni modo, essere senza nome è una condizione che genera confusione. Nell’ultima pagina si legge che un nome è una cosa buffa, fatta «d’aria. Poche lettere appena. Ma senza nome» si chiede il protagonista «chi lo sa se c’ero veramente?»
Leggere Senza nome, dunque, può essere un modo per sottolineare che un nome proprio è una parola speciale, in cui convivono la storia e il volto di chi lo porta. Per questo, due nomi uguali, non fanno due persone uguali. Inoltre, pronunciare il proprio nome è il primo passo per conoscersi. [...] Convivere con un pantofolaio che pensa solo alla raccolta punti e al campionato di calcio può diventare snervante. Troppo, per un cane senza nome, che più di tutto ama leggere e ascoltare i nomi degli altri. «Stasera voglio uscire coi miei amici. Correremo per le strade della città a caccia di nomi. […] Poi, leggeremo le insegne e i manifesti. Quelli dei cinema sono bellissimi: i nomi dei personaggi mi fanno sognare!». Siamo quasi a metà libro. Mentre il padrone del cane boccheggia davanti al televisore acceso, il protagonista fa un incontro decisivo. «Apro la porta di servizio per buttare i rifiuti, e nel nostro cortile chi ti vedo? Un gatto». In due battute, per il felino è tutto chiaro. «“Io mi chiamo Pirata, e tu?” Io… vorrei sprofondare. […] Il mio padrone non mi chiama mai per nome! Il gatto fa una faccia stupita. “Oh, bella, ma di bene te ne vuole?”». Il cane non ribatte. Pensa, fa tesoro della lezione e reagisce con slancio. «Percorrerò le strade di tutte le città, mi consumerò le zampe attraversando foreste, montagne e oceani tempestosi. E alla fine scoprirò chi sono!».
In strada di nomi ce n’è finché si vuole. Basta guardarsi intorno e mettersi in ascolto, un’esperienza che ciascuno è in grado di replicare uscendo di casa o da scuola. Il cane senza nome viaggia da solo, in un quartiere dinamico, ma non caotico, dove le persone non si tappano in casa tutto il giorno, sono sobrie e si muovono a piedi e in bicicletta. [...]
Vi è un luogo che più di tutti simboleggia il rapporto fra uomini e parole, fra l’importanza di scrivere, raccontare, ascoltare storie. Si tratta della biblioteca pubblica. [...] All’uscita, forse per un sortilegio operato dalle parole che vi abitano, il nome del cane è dappertutto. Basta un annuncio per rendere un perfetto sconosciuto popolare e riallacciare un rapporto che sembrava perduto. «Padrone disperato cerca il suo cane. Si è smarrito stamane all’alba. […] Risponde al nome di Reginaldo.». Trovare il proprio nome è come nascere, come scoprire di chi si è figli, come decifrare un alfabeto muto da millenni. Insomma è una grande occasione. Bisogna festeggiare.
Da Le strade dei nomi di Giulia Mirandola, Catalogone 2008.