Orticoltura terapeutica. Il legame dell'uomo con la natura

Tessere legami tra piante e persone per migliorare la qualità di vita

[di Margherita Volpini]

«Una delle prime condizioni di felicità riconosciuta da tutti come tale, è una vita in cui non sia violato il legame dell'uomo con la natura, ossia una vita a cielo aperto, alla luce del sole all'aria fresca in comunione con la terra, le piante, gli animali.

Lev Nikolàevič Tolstòj

Sono Margherita.

Quando mi presento a bambini/e, ragazzi/e, mi chiedono spesso se mi chiamo così perché lavoro tra orti e giardini. Forse un nome, un destino perché, dopo aver lavorato per molto tempo come educatrice, dodici anni fa, ho deciso di diventare una ortoterapeuta. Volevo essere un ponte verso la natura, perché sentivo fortemente che il contatto, l’interazione con la natura, l’essere circondati dalla sua bellezza avrebbe potuto aiutare le persone di ogni età a migliorare la propria qualità di vita dal punto di vista fisico, cognitivo, psicologico e relazionale.

Ho trascorso la mia infanzia in un piccolo paese di montagna, libera tra boschi, prati, pozze di fango e ruscelli. Mia madre mi ha cresciuto in un bellissimo giardino e un grande orto di cui mi prendevo cura e dove ho passato giornate intere a giocare, costruendo tane e rifugi, organizzando deliziosi banchetti con pentolini di ogni forma, ricolmi delle grandi zucchine che sfuggivano alla pentola.

Stavo in stalla con mio padre, tra i balloni di fieno, cercando tane di topolini, esplorando il torrente che scorre a fianco, cantando canzoni alle mucche, convinta che a loro piacesse molto. La passione per il mondo dei semi credo di averlo assorbita dal nonno; lo osservavo silenziosamente mentre seminava, faceva talee, preparava decotti e tisane, sembrava una specie di strano botanico alchimista. Ricordo il suo balcone di Milano pieno di cartoni del latte con piantine di ogni tipo, soprattutto alberi che poi trapiantava in giro, nelle aiuole abbandonate. Oggi lo ritrovo nei suoi cipressi che svettano tra Liguria e Lombardia.

I semi del desiderio di prendermi cura delle persone, credo arrivino da mia nonna, impegnata nel volontariato fino alla bellezza di ottanta anni e passa.

Tantissimi libri mi hanno sempre accompagnato, libri che ancora oggi porto con me in ogni incontro di orticoltura terapeutica.

L’adolescenza ha preteso un mondo più largo.

Crescere in montagna, se da una parte è bellissimo, dall’altra non è facile. Fare ore di pullman per andare a scuola, tutti gli amici lontani in città, la chiusura delle persone: infine me ne sono allontanata.

Ma i semi erano stati piantati ed ora aspettavano solo il momento giusto per germinare. E così è stato. “Quando seminiamo, piantiamo una narrazione di possibilità di future. È un gesto di speranza. Non tutti i semi germineranno, ma l’idea di averne alcuni nel terreno infonde sicurezza” Sue Stuart-Smith

Ho deciso di diventare ortoterapeuta nel periodo in cui facevo l’educatrice in un Centro Residenziale per Persone Disabili, destinato a persone con disabilità dai 18 fino ai 65 anni, prive del necessario supporto familiare, o per le quali la permanenza nel nucleo familiare non era più sostenibile. In questi centri, con l’aiuto di personale specializzato, essi devono ricostruirsi una vita e una quotidianità, in altre parole rifarsi una casa, costruire relazione e interessi, apprendere abilità e autonomie. Quando ci lavoravo io, questi luoghi erano molto diversi da oggi, spesso scialbi, anonimi, trascurati, le proposte erano uguali per tutti.

Ho iniziato a riflettere su questi luoghi, non come educatrice, ma come ospite, cercando di vederli con i loro occhi, viverli con il loro cuore, ogni giorno, per una vita intera.

Così è nata la mia tesi “L’Anima dei Luoghi nei contesti di cura”.

Mi chiedevo: perché spesso ai malati, a chi è fragile, a chi si trova in una situazione di disagio si nega ciò che è bellezza e chi soffre viene recluso nel brutto, senza possibilità? 

C’era cura amorevole e partecipata di questi spazi e quindi cura per chi vi abita, per chi vi lavora? Sono spazi centrati sulle persone e i loro bisogni, per tessere relazioni, apprendere, imparare, coltivare interessi, autodeterminazione, ritrovare memoria, immaginazione, il diritto di essere e di scelta? 

Le parole di James Hillman mi risuonavano continuamente nel cuore: esiste un giardino che dice essere l’anima, il luogo dove ci si sente immersi nell’anima del mondo, per sentire che noi siamo in essa. 

Ho iniziato a parlare con le persone disabili del centro, ad ascoltare i loro desideri, i loro sogni, come avrebbero voluto la loro casa, di cosa avevano bisogno per stare meglio. Dicevo: ecco la mia forza, ed ecco la mia debolezza; che cosa posso fare per te, e tu cosa puoi fare per me?

È stato come varcare la porta di un nuovo mondo: a chi non riusciva ad esprimersi verbalmente, ho chiesto di provare a disegnare, a chi non sapeva disegnare di utilizzare immagini, ritagli di giornale, fotografie.

Così ho iniziato a conoscere il potere benefico del verde: un potere che sembra essere generato da un concreto meccanismo percettivo sensoriale, un coinvolgimento fisico, una potenza evocativa, responsabile dell'attivazione simbolica ed emozionale della mente, in grado di migliorare lo stato psicofisico. 

Il ‘verde’, dunque, come elemento essenziale della nostra vita e del nostro 'star bene'. La bellezza è un bisogno fondamentale della vita dell'uomo e noi sentiamo che il giardino ci invia messaggi inconsci di bellezza, armonia e ordine.

Un proverbio cinese dice: “La vita inizia il giorno in cui si incomincia un giardino”. 

Era tempo e così decisi: se non posso fare grandi cose, posso fare piccole cose in modo fantastico e dare a tutte le persone, e soprattutto a quelle emarginate, la possibilità, il diritto di abitare un luogo bello e curato come condizione di benessere fisico e psichico. Certamente non potevo cambiare ogni struttura, le camere degli utenti, le attività proposte, ma potevo creare insieme a loro un bellissimo orto-giardino, cercare di incoraggiare la relazione e la connessione con la Natura.

Il mio primo orto prese vita, per immergersi in uno spazio bello, realizzato come uno scrigno che contiene e protegge gioielli preziosi, per far sì che si sentano tali le persone che lo frequentano, uno spazio-contesto che, attraverso materiali e colori, sia impregnato di cura, amore, bellezza, motivazione e dedizione, generatore di possibilità.

 

Venivo da un contesto agricolo, mi ero sempre presa cura di orti e giardini e sicuramente la mia lunga esperienza in ambito educativo e la Laurea in Scienze dell’educazione erano ottime basi, ma non erano sufficienti.

Un conto è fare giardinaggio, un altro è svolgere attività di Orticoltura terapeutica, una pratica con una procedura e metodologia rigorosa. La figura dell’Ortoterapeuta richiede e necessita di formazione specifica teorica e pratica continua, non ci si può assolutamente improvvisare.

È una professione che richiede competenze a livello socioeducativo, clinico, sanitario, agronomico, botanico, ecologico, progettuale. Bisogna conoscere le teorie e le tecniche a supporto degli effetti psicologici, fisiologici, sociologici della relazione con la natura e uomo-pianta. Richiede grandi capacità relazionali di affiliazione, conoscenza della natura e competenze per utilizzarla a fini terapeutici. Occorre saper progettare attività individualizzate, documentare, monitorare, restituire l’efficacia o meno delle attività, il benessere conseguito, i progressi, i risultati ottenuti. Così ho iniziato molti anni fa con i corsi di Ortoterapia alla Scuola Agraria di Monza, poi il Corso Esperto di Orti e Giardini del Benessere, ho approfondito gli aspetti progettuali al Corso Therapeutic Landscape Design al Politecnico di Milano, frequentato corsi di aggiornamento e di Pedagogia del Bosco. E infine oggi a quarantadue anni, frequento Il Master di Orticoltura Terapeutica all’Università di Bologna, perché credo di dover sempre dare il meglio alle persone con cui lavoro.

Non bisogna mai sentirsi arrivati, come radici bisogna andare sempre più a fondo, intrecciare, scambiare relazioni e competenze, come tronchi rafforzarsi, come rami tendere verso l’alto.

 

Ma alla fine che cosa è l’orticoltura terapeutica?

Provo a raccontarvelo: è un processo che utilizza le piante, le attività, la relazione con esse per creare o migliorare il benessere fisico, psicologico, cognitivo e relazionale. È una pratica così flessibile, accessibile, coinvolgente e adattabile che permette di aiutare chiunque, indipendentemente dalla sua condizione o età, in diversi contesti e programmi: terapeutici, riabilitativi, formativi, educativi, ricreativi, sociali e di prevenzione.  Si può svolgere all’aperto ma anche al chiuso. Il verde è un incremento del processo di cura, ma non è sufficiente il solo stare in natura. La natura con i suoi tempi, valori e messaggi non è sempre così accessibile e comprensibile a tutti, e non è di per sé curativa, non basta stare fuori, non è un processo automatico. Passare del tempo in natura non vuole dire essere connessi con essa.

Spesso occorre creare ponti, percorsi di mediazione fra la persona e la natura.

Ruolo dell’ortoterapeuta è quello di avvicinare alla natura pianificando e adattando una varietà di attività all'interno e all'esterno, in base a ciò che serve ai partecipanti, per raggiungere i propri obiettivi nel programma di cura o benessere. Partendo da una profonda osservazione e conoscenza della persona tramite una raccolta dati e documentazione, facilita e accompagna l’utente a trovare la motivazione, entrare in connessione con la natura fino a percepirla come preziosa terapeuticamente nel suo percorso di cura. 

 

 

È una pratica che focalizza i punti di forza della persona, li sostiene, per conseguire l’obiettivo primario del recupero   integrale della persona, le sue abilità sociali e relazionali, le funzioni cognitive, fisiche e psicologiche, l’indipendenza e l’autonomia, l’autostima. Studi scientifici hanno dimostrato che essere immersi nella natura nella bellezza, nella vita, distragga dall’ansia, dalla solitudine.  Il contatto, l’esposizione al verde aiutano nel recupero da situazioni di stress psicofisico e post- traumatico, concorrono nella riduzione della percezione del dolore, favoriscono la sensazione di tranquillità e la disponibilità al coinvolgimento, aumentando il livello di serotonina e rinforzando il sistema immunitario.

I sentimenti negativi, dolore, depressione, aggressività si allentano, aumentano quelli positivi di serenità e socievolezza, si rigenera l’attenzione, la motivazione, migliora autocontrollo, attività fisica, sensorialità, aumenta fiducia, autostima, relazione e appartenenza.

Sono moltissime le attività attraverso cui avviene l’interazione tra ortoterapeuta, piante, persone e obiettivi: trapiantare, estirpare, curare, potare, toccare, annusare, assaggiare, preparare i cartellini o costruire piccoli arredi, fare composizioni, innaffiare, raccogliere, far crescere, fare mandala, contare, leggere, misurare, imparare a scrivere, studiare.

La stessa attività può avere obiettivi diversi: fisici, cognitivi, emozionali, sociali. Innaffiare potrebbe servire a ad imparare a rispettare i tempi di attesa e aspettare il proprio turno per riempire l’innaffiatoio, per alcuni serve a cooperare con l’altro:  uno infila la canna nell’innaffiatoio, l’altro apre il rubinetto e controlla il livello dell’acqua, aiutarsi e portare in due innaffiatoio se riempito troppo, sviluppare attenzione e concentrarsi su quando spegnere l’acqua, sviluppare coordinazione oculo manuale, fare esercizio fisico, apprendere di quanta acqua hanno bisogno determinate piante e così via.

Tutte competenze spendibili poi nella quotidianità, ad esempio per saper rispettare il proprio turno in fila al supermercato.

Ogni attività ortoterapeutica viene pensata, progettata, monitorata valutata all’interno di un’equipe multidisciplinare in base ai bisogni personali e funzionali della specifica persona, è come cucire un abito su misura. “È fondamentale tener conto prima della persona poi della fragilità, non avere preconcetti, non fermarsi ai deficit. La persona è il “protagonista” della terapia e non la malattia o l’etichetta diagnostica in cui è in qualche modo inserito. Quindi il progetto riabilitativo deve essere personalizzato il più possibile a misura di quel soggetto”.  Ferrandina

Perché l’orticoltura terapeutica è una pratica così efficace in campo riabilitativo, educativo, terapeutico indipendentemente dall'età o dalla presenza o meno di una patologia?

"Spero che tu abbia in dono il cuore di un fiore selvatico. Forte tanto da risorgere dopo esser stato calpestato, tenace tanto da sopportare il peggio delle tempeste estive, e capace di crescere e fiorire anche tra le rovine”. Nikita Gill

Le piante non giudicano e sono inoffensive, ma sono vive, si trasformano, reagiscono, restituiscono, ricompongono, accolgono tutti senza pregiudizi, hanno una loro vita autonoma, sono in grado di rispondere alle cure che vengono loro date, indipendentemente da chi si è. Sono un forte stimolo al cambiamento e loro stesse ce ne danno esempio, germogliano, crescono, resistono, fioriscono. Pensiamo a piante come la cicoria, i papaveri che crescono là dove sembrava impossibile, tra crepe, macerie, ci insegnano che si può rinascere dalle ferite, come ri-connettersi con la vita. 

Le piante ci danno esempio di come la diversità è un valore da coltivare e salvaguardare, come la biodiversità è preziosa in natura, “così tanto più la neuro-diversità è rispettata e incoraggiata, all’interno di una cultura, tanto più adattabile, stabile, sostenibile e ricca, sarà questa cultura”. J. Singer

Le piante permettono il passaggio “dall’essere curati” al prendersi cura, al sentirsi responsabili, all’essere partecipi della relazione recuperando, riattivando, riconoscendo un’immagine positiva di sé, ricca di risorse e bellezza. Pensiamo che la maggior parte delle persone, soprattutto quelle che vivono in contesti residenziali come comunità per minori, centri residenziali, carceri, comunità alloggio, case di riposo, sono spesso privati del diritto di scelta e responsabilità. Prendendosi cura delle piante e degli esseri viventi che abitano il giardino piante, insetti, uccellini, piccoli mammiferi, le persone in difficoltà diventano protagoniste responsabili.

Ritrovano il diritto di scegliere cosa seminare, trapiantare, come fare una parcella, che forma dargli, se coltivare solo fiori, ortaggi, aromatiche, diventano loro stesse creatori, artefici di bellezza, svelando capacità impensabili.

La persona diventa così protagonista del suo percorso, si crea un gruppo di appartenenza, si sente libera e capace di fare, acquisisce competenze, si confronta costantemente con le sue risorse più profonde, impara a prendere decisioni, ad amare gli altri esseri viventi e di conseguenza sé stessa.

 "I giardini raccontano storie che meriterebbero di essere ascoltate. E parlano più di sentimenti e anima che di botanica" F. Caramagna

Da dodici anni progetto, realizzo e conduco quotidianamente attività di Orticoltura Terapeutica con disabilità, autismo, minori e adolescenti e anziani sia in percorsi individuali che di gruppo. I miei orti sono tutti progettati per rispondere alle esigenze, alle inclinazioni, ai desideri delle persone che vengono a svolgere attività di Orticoltura terapeutica, per offrire loro le più svariate possibilità di benessere, sicurezza, accoglienza.

Sono luoghi dove possono apprendere, migliorare attenzione e manualità, mettersi alla prova, imparare a prendere decisioni, diventare creativi, gestire i cambiamenti e i fallimenti, crescere e diventare autonomi, sviluppare i propri talenti, sentirsi e far parte di un gruppo dove non-tutti devono fare la stessa cosa, ma tutti contribuiscono al risultato finale.

 

Nel Giardino Profumo, progetto di Orticoltura Terapeutica indoor (presso il Centro Diurno Disabili di Stradella) c’è Tina. Non riesce più ad essere coinvolta nella maggior parte delle attività, ha numerose crisi di pianto, irrequietezza, è disorientata nel tempo e nello spazio. Durante le sedute di orticoltura terapeutica a contatto con fiori, piante, profumi, colori e consistenze, immersa nella vita e nella bellezza “torna a essere presente”. Pianta, travasa, innaffia, ride, ad ogni fiore che sfiora e annusa esclama “profumo”. Coinvolta in questa attività si relaziona con le sue compagne, fa una ginnastica dolce, mantiene le abilità residue, riduce il girovagare afinalistico dovuto alla sua patologia e il suo stato di sofferenza si riduce notevolmente.

Nell’aula/giardino sono allevate piante in coltivazione idroponica, talee, piante ornamentali, come all’aperto e ognuno può    godere dei benefici della vista e del contatto con il verde. Giorno dopo giorno come vere giardiniere piantano, travasano, innaffiano si prendono cura, cucinano, creano composizioni bellissime. Tornano ad esserci, ridere, ritrovarsi, sentirsi capaci, belle, a relazionarsi.

 

 

Orto Bubù, si chiama così per la presenza del cagnolino della Comunità per Disabili dove si trova l’orto, l’ho realizzato undici anni fa, giorno dopo giorno con gli utenti abbiamo creato i camminamenti, come falegnami abbiamo costruito cassoni, i porta attrezzi insieme, come architetti costruito bellissime strutture per fare arrampicare le campanelle e i nasturzi. È un orto pieno di fiori di tutti i colori e forme, seminiamo tutto noi a fine inverno in serra fredda, servono sia ad aiutare la biodiversità ma anche per offrire moltissime opportunità di attività e stimolazioni sensoriali e non solo. Ed ecco che il fiore della cipolla diventa un microfono per cantare insieme, le patate aiutano a capire le grandezze dalla più piccola alla più grande, le fave a contare, i pomodori a distinguere il rosso dal verde per imparare ad attraversare la strada, a sviluppare motricità fine nel legarli ai sostegni, a preparare ottime bruschette.

I finocchi lasciati andare a fiore per scoprire bellissimi bruchi e attendere l’incantesimo della trasformazione in farfalle e rendersi conto di essere gli artefici di tanta bellezza.

All’orto Condiviso Controcultura, a Cassina dei Pecchi lavoro con adolescenti e giovani con problemi di ritiro sociale. Temevo all’inizio che sarebbe stato difficile coinvolgerli in questa attività, e che avrebbero abbandonato il percorso non essendo obbligati.  E invece già al secondo incontro i ragazzi/e hanno deciso di chiamare il nostro gruppo "la Famiglia dell'Orto" hanno formato una grande squadra, abbandonato i cellulari negli zaini, e hanno seguito tutto il percorso. Le attività nell’Orto sono servite per uscire dall'isolamento, riappropriarsi della propria fiducia, a prendere coraggio, a coltivare amicizie e interessi, e per alcuni di loro a iniziare a immaginarsi un percorso lavorativo nel verde. In ogni incontro abbiamo annotato scoperte, emozioni, stati d’animo, competenze apprese su un diario di bordo. Martina scrive: “Da quando vengo in orto, mi è venuta voglia di prendermi cura delle piante che sono esseri viventi come noi” Le parole più frequenti sono state: opportunità, calma, cose nuove, condivisione, esperienze, desideri, cura, insieme. Uno dei ragazzi, colpito da questo strumento, a casa ha abbandonato un po' i social per dedicarsi a un diario tutto suo, personalizzandolo con poesie, frasi sue e immagini della natura.

Ho creato Storto Condiviso Skate Farm nel 2018, una piccola oasi della biodiversità, in mezzo all’agricoltura intensiva della pianura piemontese. Si trova in una vecchia cascina trasformata in Skate Park. Grazie al progetto “Ability Farm”, numerosi Centri e Associazioni per persone disabili e autismo vengono a svolgere attività di orticoltura terapeutica. I ragazzi incontro dopo incontro sono davvero entrati in connessione con la natura e mostrato affiliazione con essa "È bello toccare la terra dove madre Natura ci ha creato" Fabrizio. Trapiantando i tageti: "Questi fiori, sono piccoli, hanno 15 anni, devono ancora crescere, dobbiamo aiutarli" Daniele.

Parlando di Skate farm, non posso non citare la mia cara amica Elena Lunardi, ci siamo conosciute attraverso i social e poi incontrate qui per svolgere formazioni e laboratori insieme. Condividiamo lo stesso approccio nei confronti della natura, delicato, rispettoso e attento alle piccole cose e alla meraviglia.

Compagni di attività

 "Il vero percorso di scoperta...consiste nel guardare con occhi nuovi la natura a noi prossima, poiché osservare significa acquisire nuova sensibilità e consapevolezza, le quali sono condizione essenziale per iniziare a rispettare e proteggere." J. Burroughs

Uso i libri nelle mie attività, con i bambini ma soprattutto con persone autistiche e disabilità adulta per stimolare le capacità cognitive e creative. Lì scelgo e propongo in base a capacità di comprensione, abilità e in base a cosa serve alla persona in quel momento. Non possono essere usati nello stesso modo con tutte le utenze, devono essere generatori di possibilità, fare leva sui ponti di forza, non sulle fragilità.

Gli albi illustrati invitano ad andare a fondo, a educare e allenare lo sguardo o come dico sempre “a brucare con lo sguardo”, ad essere curiosi, creativi, a porsi domande e a lasciarsi accompagnare dal piacere della scoperta. E allora si impara ad osservare meglio, il papavero non è solo rosso, ma rosso cinabro, il gambo della calendula verde vescica, ognuno poi trova la propria sfumatura. Le foglie non sono solo verdi, gialle, rosse... ma anche rosa, grigie, puntinate, venate, bucherellate, striate. “Più l’esplorazione si approfondirà, più essa coinvolgerà una parte maggiore di quanto è vicino al cuore dell’uomo” E.O. Wilson

Gli albi sono ottimi sostenitori dell’apprendimento e della comprensione, le immagini sostengono le parole, sono facilitatori visivi, rendono esplicito ciò che è implicito.  Invitano a fare a ricerche, ad approfondire, a fare paragoni, a trovare le differenze, a vedere i particolari come   i frattali e spirali nelle foglie o nei fiori, a cercare le vagabonde nei prati o lungo i marciapiedi, a scoprire che ci sono molti tipi di semi di ogni forma, come vivono le api, come salvare un uccellino caduto dal nido.

…conservare la capacità di entrare nei giardini, come nei libri, con lo sguardo dei bambini, con quello stesso senso di stupore e di emozionante aspettativa. E da quell'incanto lasciarci aiutare a svolgere la nostra storia interiore, la nostra avventura, il tesoro che andiamo cercando, leggendo i messaggi della Natura”.

R. Vessichelli Pane.