[di Paolo Canton]
I libri non sono mai solo quello che sembrano essere. E oltre a raccontare le storie che raccontano esplicitamente, ne contengono tante altre, spesso coinvolgenti e interessantissime. Me lo ha ricordato un libro che ho incautamente acquistato, attratto da una bellissima copertina: ABC di Margarethe Wiig, pubblicato a Oslo nel 1951.
Del libro, prima di acquistarlo, avevo visto solo la copertina, come detto, e un paio di illustrazioni e mi aspettavo di ricevere un semplice abbecedario in una lingua nordica (in copertina c’era una renna). Poi il libro è arrivato e ha cominciato a raccontarmi tutta un’altra storia.
Questa nuova storia è cominciata quando ho scoperto che l’abbecedario era bilingue e che le due lingue erano fra loro molto diverse. Incuriosito, ho scritto a un gruppo internazionale di persone che si occupano di libri chiedendo se qualcuno fra i membri scandinavi del gruppo avesse idea di quali lingue fossero. La risposta mi è arrivata da un’agente letteraria egiziana, che ha immediatamente riconosciuto le due lingue come norvegese e sami settentrionale.
Poi hanno cominciato ad arrivare conferme da traduttori ed editori finché mi è arrivata una notizia interessante: si trattava del primo libro di scuola in lingua sami. Il primo? Nel 1951? Valeva la pena cominciare a fare qualche indagine. E così sono partito, armato di pazienza e Google Traduttore.
Il Sami è la lingua parlata e scritta da sempre da popolazioni seminomadi che vivono allevando renne nella parte più settentrionale della penisola scandinava, fra Norvegia, Svezia, Finlandia e Russia, e non immaginavo che la loro lingua madre fosse stata oggetto di persecuzione, di un vero e proprio tentativo di annichilimento, fino a quando una pastora (di anime, non di renne) e insegnante, Margarethe Wiig, negli anni Trenta del Novecento decise che era venuto il momento di fare qualcosa.
Una mappa di tutte le lingue Sami, escluso l'estinto Akkala Sami, e cioè: (1) Sami meridionale, (2) Ume Sami, (3) Pite Sami, (4) Lule Sami, (5) Sami settentrionale, (6) Inari Sami, (7) Skolt Sami, (8) Kildin Sami, (9) Ter Sami.
Margarethe Wiig, che con il marito serviva una comunità nella parte settentrionale della Norvegia, aveva sperimentato personalmente quanto fosse difficile per i bambini sami imparare il norvegese e si era convinta che avessero bisogno di strumenti diversi da quelli disponibili nella scuola: un libro che insegnasse la lingua che parlavano quotidianamente, in un modo per loro comprensibile, con riferimenti alla loro realtà, così distante da quella dei bambini norvegesi urbanizzati, ai quali i libri scolastici facevano invariabilmente riferimento.
Fotografia di Erika Larsen
Detto, fatto, verrebbe da dire. Ma Wiig si scontrò immediatamente con la forte resistenza delle istituzioni che avrebbero dovuto aiutarla, asservite a una rigida politica di norvegesizzazione della popolazione sami che aveva impedito l’uso del Sami nelle scuole fino a qualche anno prima e che, in ogni caso, continuava a considerare i testi in lingua Sami esclusivamente come veicolo per l’apprendimento della lingua nazionale norvegese.
Fotografia di Erika Larsen
Per realizzare il suo progetto, Wiig chiese aiuto alla comunità educativa della regione del Finnmark, ma nessun insegnante volle collaborare: pochissimi conoscevano e parlavano la lingua Sami e tutti, comunque, ritenevano che il compito dell’insegnante fosse far apprendere a tutti i bambini la lingua nazionale, marginalizzando quella locale. L’unico appoggio le venne da Edel Hætta, una insegnante di origini Sami che avrebbe in seguito avuto un ruolo decisivo nella promozione della lingua e della letteratura del suo popolo.
Fotografia di Erika Larsen
Questo libro è dunque il frutto, oltre che di uno sforzo creativo, anche di estenuanti negoziati politici durati una ventina di anni: Wiig voleva che il libro fosse in lingua Sami; il governo norvegese voleva imporre la lingua nazionale. Alla fine, il libro venne pubblicato nelle due lingue ed è molto interessante notare come nelle prime pagine, la lingua Sami precede quella Norvegese, mentre a partire da pagina 38 è il Norvegese a diventare “prima lingua”.
Un altro aspetto interessante di questo libro riguarda le sue illustrazioni: nel libro sono utilizzati disegni realizzati da Per Hætta, ma anche meravigliose silouhette create dai bambini Sami di Karasjok, una località nella quale Margarethe Wiig aveva vissuto e insegnato, sulla base di tradizioni iconografiche autoctone.
Qualche giorno fa, il 21 febbraio, è stata celebrata la Giornata Mondiale della Lingua Madre: indetta dall’Unesco per promuovere la diversità linguistica, nella data in cui, nel 1952, molti studenti furono uccisi dalla polizia del Pakistan mentre protestavano per il riconoscimento del bengalese come lingua ufficiale. Ancora oggi, la conservazione e la salvaguardia delle lingue parlate e scritte dalle popolazioni minoritarie di ogni angolo del mondo è una questione problematica, nonostante la lingua sia lo strumento più potente per la conservazione dei patrimoni tangibili e intangibili dell’umanità.
Questo libro, acquistato per qualche decina di euro, ha avuto il merito di rendere materiale ai miei occhi la lotta che molte popolazioni hanno dovuto e devono ancora sostenere per preservare dall’estinzione le proprie tradizioni linguistiche e culturali.