di María José Ferrada, 2019
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“Fuori si fa sera e come se fossero stelle che abitano dentro le case, si accendono, una dopo l’altra, le luci di Santiago” scrive Maria José Ferrada nelle ultime righe di questa nuova uscita della collana “Gli anni in tasca” e nel lettore si accende la bellezza della sua poesia in forma di prosa che procede per ricordi d’infanzia, per pensieri brevi che compongono una vita e anche un pezzetto di racconto della storia della sua famiglia e del Cile. Sul blog di Topipittori potete leggere un contibuto in cui l’autrice racconta come è nato questo libro e riflette su quando si fa memoria, quando si sta in biblico tra autobiografia e finzione, quando si fa pace coi ricordi. Evoca il magnifico romanzo breve Kramp, pubblicato in Italia da Edicola, e sottolinea sia la semplicità che caratterizza il suo stile, sia il silenzio che è parte integrante del suo narrare qui e che la struttura qui scelta conferma: sono episodi brevi, a volte brevissimi dell’infanzia, narrati con respiro, che sulla pagina appaiono come tanti singoli ricordi in mezzo ai quali scorre la vita, i giorni non detti, il quotidiano e forse anche lo straordinario che non si ritiene di dire.
Lo stesso respiro che lascia spazio al silenzio lo si ritrova anche nell’altra recente uscita della stessa collana, a opera di Silvia Vecchini che ricorda la sua infanzia al lago e la poesia che c’è da sempre nella sua vita. Sono formati che si lasciano assaporare lentamente, che dicono al alettore di prendere tempo, di assumere il ritmo giusto e che, mi sembra, fanno anche venire voglia di scrivere: fanno venire in mente i piccoli episodi della propria infanzia, cose dimenticate cose buffe e cose dolorose che la distanza del tempo permette di guardare e di dire. Ottimi alleati in un laboratorio di scrittura partendo dal sé, regalano in entrambi i casi il gusto poetico della scrittura. La grazia della semplicità con cui Ferrada mette sulla pagina i suoi ricordi fa luce sull’importanza delle parole, sul loro potere evocativo, culla necessità di lasciare che ognuno a quelle parole metta qualcosa di suo, immagini, si lasci portare dall’andamento di un narrare che potrebbe essere orale tanto è prossimi, tanto è intimo.
Da Un albero, una gatta, un fratello, in Le letture di Biblioragazzi, 2019.