C'era una volta in Persia

di Sahar Doustar e Daniela Tieni, 2019

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Le storie illustrate a matrice fiabesca sono delicate da maneggiare perché richiedono ad editori, scrittori ed illustratori, di essere collocate in una zona prossimale tra un passato lontanissimo ed un presente che, mentre le vivifica, deve preservarne il mistero. Al cospetto di simili storie ogni ammiccamento ad espressioni o a vocaboli gergali potrebbe essere un azzardo; ogni riferimento a tematiche precise potrebbe provocare la perdita dell’incantamento, e ogni soluzione grafica troppo ardita potrebbe stemperare il fascino delle parole in un manierismo senza scopo.

In bilico tra l’attuale e l’inattuale, le storie che sono “fiabe quasi classiche”, come recita il titolo della Collana di Topipittori, hanno bisogno di mani e sguardi sapienti.

C’era una volta in Persia non è solo un albo di ottima fattura e perfettamente riuscito, ma ha il pregio di collocarsi, in un presente editoriale così povero di trame, tra le storie che si lasciano raccontare.

Il titolo d’altra parte non lascia dubbi: “C’era una volta…”

Questo albo non ha tuttavia l’enfasi della fiaba, ma il ritmo e la grazia dello zampillo di una chiara fontana. La superficie della storia si increspa appena al tocco della scrittura di Sahar Doustar che delicatamente ci guida verso un finale dove le parole diventano quasi versi e dove uno specchio è in grado di raccontare il creato nascosto in ciascuno di noi.

In Persia gli specchi sono un simbolo potente e antico: ci sono interi palazzi, santuari e mausolei ricoperti di specchi. Gli specchi venivano importati dall’occidente e in particolare da Venezia già dal 15oo, ma spesso arrivavano in frantumi. Così gli architetti persiani della dinastia Safavide iniziarono a decorare i soffitti e le pareti con pezzi più piccoli a forma di rombo, quadrato e triangolo, componendo dei veri e propri mosaici. A Teheran nella festa di Now Ruz (del Nuovo Giorno che per noi equivale al Capodanno) si pongono al centro tavola una candela, emblema della luce, uno specchio, in cui ogni invitato può dialogare con la propria coscienza, e un vaso di vetro con dentro un pesciolino rosso, simbolo di vita.

In C’era una volta in Persia assistiamo al matrimonio di due giovani sposi. Davanti a loro vengono posti uno specchio e alcune candele; ma la ragazza che non si è mai specchiata, crede che la figura accanto al suo futuro sposo sia un’altra donna e fugge. Quando lo sposo la ritrova sulle rive di un lago e la interroga sull’accaduto, cercando di rassicurarla, la ragazza sconsolata dice di non potergli credere perché è certa che quella che ha visto riflessa non sia la sua vera forma: lei infatti ha la forma del vento, del sole, della luna, degli alberi…

Da poco è stata ospite in libreria, con una conferenza dedicata alla spiritualità negli albi illustrati presenti nel catalogo di Topipittori, la poeta – e cara amica – Silvia Vecchini.

C’era una volta in Persia – poiché appena edito – non è stato citato tra i libri che possiedono una vocazione spirituale, ma sono certa che anche Silvia concorderebbe che in questa storia si trovi un’apertura profonda al mistero della nostra esistenza. Attraverso lo specchio limpido delle parole di Sahar Doustan, i bambini, e in egual misura gli adulti, potranno riconoscere – o forse ritrovare – quella sensazione che ogni tanto ci coglie al cospetto della nostra immagine (che sia allo specchio o in fotografia) e che ci suggerisce di essere, o di essere stati, anche altro da noi.

Scrive Mariangela Gualtieri nella splendida raccolta poetica Le giovani parole (Einaudi 2015):

Sono stata (…) Un albero

forse. Un topo. Un elefante

una lepre. Sono stata campo

di battaglia e una preghiera. Un papavero.

Un intero pianeta. Forse una stella

un lago. Acqua sono stata,

questo lo so. Sono stata acqua

e vento. Una pioggia su qualcosa

che ero stata tempo addietro.(…)

Oltre a questi versi, sono affiorate alla memoria le parole del sufi iraniano del XII secolo Sohrawardì d’Alep che ricordo di aver interrogato quando, per una scrittura teatrale, indagai il tema del doppio e dello specchio. Sohrawardì d’Alep dice:

«…che l’uomo sul cammino del proprio sé, scopre dapprima che il mondo intero è contenuto in lui stesso: egli si vede come lo specchio in cui tutti gli archetipi eterni appaiono come forme effimere.»

(da Henry Corbin, Sohrawardì d’Alep, edizioni Fata Morgana, 2001)

Questo rifiutarsi di riconoscersi in un’unica immagine richiama alla memoria anche le parole del filosofo mistico Ibn‘Arabî che nell’XI secolo scrive:

«Dio è dunque lo specchio in cui tu vedi te stesso, poiché tu sei il Suo specchio, e in esso Egli contempla i Suoi Nomi. Ed essi non sono altro che Lui stesso.»

(da Il libro del sé divino pubblicato dal Leone Verde nella collana “I gioielli”, 2004)

Come a dire che quel sentirsi parte del creato, non è solo legittimo, ma è la via per riconoscere Dio in noi, rispecchiandoci in qualcosa di più alto che felicemente trascende la nostra forma umana per aprirci le porte ad un’esistenza più piena.

«Ricordo che ero sopraffatta da una sensazione di aspettativa e di emozione nei confronti del mondo, e il mondo era il Mio Posto presso il ceppo di betulla, gli insetti nell’erba, il cielo, le pecore, le mucche e i conigli, gli occhi-gialli e gli sparvieri…tutto ciò che era all’Esterno. Ricordo l’emozione particolare provata nei confronti del cielo, della sua altezza e lontananza, lassù dove erano vissuti mio padre e mia madre, e come fossi piena di desiderio…», scrive Janet Frame in L’isola del presente (Interno Giallo Editore, 1991).

Le illustrazioni di Daniela Tieni e non di meno la forma fiabesca che da sempre veicola significati profondi senza tradirne i misteri, non fanno altro che amplificare il fascino di questa storia facendoci sentire felici di poter finalmente abdicare a quella nostra forma nello specchio che, specialmente da adulti, ci costringe ad essere una sola cosa quando invece sappiamo di essere anche molto altro.

Dice San Paolo nella Prima lettera ai Corinzi (versetto 12):

«Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anche io sono conosciuto.»

E sul filo delle parole ermetiche di San Paolo, ritroviamo lo sposo che, come anima divisa dal suo intero, ha vagato in cerca della sua sposa. Dopo aver ascoltato in silenzio le sue parole e figurandosi in esse, le sorride dicendole di essere simile a lei e che insieme vivranno una vita buona e felice. Così essi si vedono riflessi l’uno negli occhi dell’altra, riconoscendosi per la prima volta. Per questo, di ritorno dal loro viaggio, le candele vengono riaccese e lo specchio girato verso il cielo.

Con questo finale così soave l’equilibrio delicato di una storia che contiene in sé gli archetipi del fiabesco, è rispettato. La storia resta in biblico tra passato e presente con una grazia rara.

Le illustrazioni di Daniela Tieni, selezionata con le tavole di questo libro per la Bologna Children book fair del 2019, sono un piccolo capolavoro di compostezza ed eleganza. I forti cromatismi, i decori preziosi, gli animali fantastici – quasi dei piccoli Gin custodi del racconto – la bellezza del volto della sposa che non si mostra fino al climax centrale, e l’alternanza dei pieni e dei vuoti, danno corpo perfettamente alle parole precise di Sahar Doustar diventando per esse una sorta di specchio in cui vedere qualcosa di più. Il progetto grafico a cura di Anna Martinucci preserva l’incantamento senza risultare mai lezioso. Davvero un libro da avere.

Da C'era una volta in Persia, di Alessia Napolitano, in Consigli di lettura, Radice-Labirinto libreria per ragazzi, 7.5.2019