di Cecilia Bartoli, 2014
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Nella mia esperienza i luoghi in cui ho sperimentato con più efficacia il gioco e la pratica dell'immedesimazione sono la lettura e il teatro.
Due anni fa, in terza, lessi il racconto di Robera, un ragazzo etiope sfuggito alla guerra, che con sua madre affronta un lungo viaggio nel deserto che lo porta dal Sudan alla Libia, e poi ad affrontare la terribile esperienza della traversata del mare fino alla Sicilia. Robera ha la stessa età dei bambini e ci mette anni prima di arrivare a Roma, dove Cecilia Bartoli, un'amica psicologa, ha raccolto le parole sue e di sua madre.
Questa testimonianza orale che io leggo loro prende così tanto le bambine e i bambini che decidiamo di metterla in scena per Natale, trasformando il suo breve racconto in una narrazione corale, accompagnata da semplici movimenti evocativi.
L'impatto che ebbe allora il confronto con quel racconto è rimasto nella mia mente con così tanta forza che, durante l'estate, pensando a un tema per il nostro ultimo spettacolo teatrale e a un libro che potrebbe accompagnarci per tutto l'anno in quinta elementare, progetto di leggere in classe Nel mare ci sono i coccodrilli. [...]
È più difficile dare corpo a un personaggio vero?
In terza elementare, quando mettemmo in scena la storia del ragazzo etiope fuggito dalla guerra del suo paese, ci fu un'appassionata discussione fra i bambini. Simone sosteneva che lo spettacolo doveva essere diverso, perché «Robera le ha affrontate davvero quelle cose.» E Matteo aggiungeva: «tu pensi che non è successa davvero questa cosa, perché tu non vuoi che succedono... invece è successa!»
In questa storia c'è un bambino che non è uguale a noi - sosteneva Valeria - cioè è uguale a noi, ma non ha vissuto come noi.» E Asia precisava: «Negli spettacoli che abbiamo fatto finora non c'era mai stata la realtà. Questo è stato il primo spettacolo che abbiamo fatto che è stato vero e tu ti immedesimavi più nella parte, perché capivi un po' come viveva, tutti i viaggi che ha fatto, le sensazioni, le emozioni tutte...»
All'affermazione di Asia, che sosteneva che era più facile immedesimarsi con Robera, dato che la storia era vera, rispose con decisione Marianna, sostenendo che «la vita di Robera è molto diversa dalla nostra vita. E quindi è più difficile rappresentarla per noi, che siamo molto più fortunati di lui». [...] Se tu dai voce alla storia di un altro e quell'altro ha realmente vissuto ciò che tu stai tentando di rappresentare, non hai il diritto di mentire, sostennero con forza Vlaeria e Greta. Da finzione, in cui giocare con gli eroi dei miti o con gli strampalati personaggi usciti dalla fantasia di Roal Dahl, il teatro era diventato per loro luogo di verità, momento e occasione per cercare di entrare in una storia che non era la loro.
da I bambini pensano grande. Cronaca di un'avventura pedagogica di Franco Lorenzoni.
Le ragioni per leggere Gli amici nascosti di Cecilia Bartoli e per farlo conoscere a ragazze e ragazzi, a scuola e non, mi sembrano tante. E tutte forti e necessarie. Per cominciare, la sua capacità di andare oltre il racconto mediatico prevalente in “tema” di “migranti”: parole talmente lise da non rimandare più alcuna luce semantica, nonché quella terribile tendenza a ridurre il vissuto individuale nell’indistinto brutale del destino seriale, di massa – cosa da cui ci aveva messo in guardia Susan Sontag – nel bollettino numerico degli sbarcati, dei sopravvissuti, dei morti.
In questo, la letteratura – e penso per esempio a Bordiglioni, ad Antonio Ferrara o al lavoro più recente di Catozzella – o ancora un certo cinema come quello di De Seta, Olmi o Andrea Segre possono essere cruciali per riprendersi quella vita, quella soggettività, che la politica nel paese d’origine e, per motivi diversi, in quello d’approdo, tendono a erodere, a cancellare.
Qui poi, l’autrice ha dalla sua una bruciante materia autobiografica, da lei direttamente raccolta lavorando presso l’Associazione Asinitas di Roma (attiva dal 2005 nella cura psicologica e nell’accoglienza delle persone con vissuti di migrazione e violazione dei diritti umani, nonché nella comunicazione interculturale): quella di Taiba, coraggiosa donna etiope, esule attraverso Sudan, Libia, Italia e infine Norvegia, a causa della sua militanza nell’Olf, il Fronte per la Liberazione degli Oromo, comunità tra le più vessate del suo Paese.
È così che, dalla pienezza di vita e di vicissitudini del colloquio con la donna (2007), che Cecilia Bartoli, a distanza di qualche anno, ha immaginato la narrazione in prima persona di Robera, undicenne figlio di Taiba, nato a Khartoum a causa delle persecuzioni subite dai genitori.
Ne è scaturito un racconto – dedicato a tutti i ragazzi in bilico tra due mondi e alle loro madri – talmente curato, vivido ed empatico, da indurre Topipittori ad accogliere Gli amici nascosti tra le autobiografie de Gli anni in tasca, e Guido Scarabottolo a corredarlo di sensibili epifanie per inchiostro.
Da LiBeR n.104, recensione di Maria Grosso.
Robera è un bambino etiope nato in Sudan nella città che significa proboscide di elefante, Karthum. È venuto al mondo in quella città gialla come il deserto che la circonda perché i suoi genitori appartengono al gruppo etnico degli oromi e, spesso, si sono visti costretti a viaggiare in tanti altri paesi per trovare gli “amici nascosti”, persone disponibili e dall’animo buono, persone come loro, persone per le quali basta un semplice sguardo per riconoscersi in qualunque posto si trovino. Robera e sua madre Taiba, tra i tanti viaggi che vestono sempre gli abiti di una fuga hanno fatto anche quello tormentato via mare verso l’Italia prima di stabilirsi definitivamente in Norvegia…
Cecilia Bartoli nella sua attività di psicoterapeuta all’interno dell’associazione romana Asinitas ha conosciuto Robera, un bimbo etiope figlio di perseguitati politici. Tra le tante storie che la Bartoli ha ascoltato negli anni quella di Robera si è imposta tenacemente, non ammettendo di rimanere relegata in silenzio tra i suoi appunti, quasi dimenandosi per saltar fuori: è così che è nato questo piccolo libro che racconta, appunto, con gli occhi e la semplicità di un bambino, vicende tragiche e tristemente attuali che, a tratti, assumono il colore di una favola anche grazie al lieto fine tanto sospirato che è, in fondo per il bimbo etiope e i suoi genitori, solo il desiderio di una vita normale, del riconoscimento di diritti che dovrebbero essere naturali, di un briciolo di serenità. Il racconto, pubblicato nella collana Gli anni in tasca - come il famoso film di François Truffaut del 1976, che ha come obiettivo quello di offrire al lettore storie autobiografiche di infanzie e adolescenze - è accompagnato dalle illustrazioni, tutte in bianco e nero, di Guido Scarabottolo che danno un valore aggiunto a una storia già toccante e tenera.
Da Gli amici nascosti, di Sonia Argiolas, in Mangialibri.