I pani d'oro della vecchina

di Annamaria Gozzi, Violeta Lopiz, 2012
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«In un paese abbracciato al corso del fiume, dentro una casa bislacca, abitava una vecchia. Si dava ogni giorno un gran daffare per cucinare tante golose pietanze, e poi, la sera, sedeva alla finestra e si cullava allo spettacolo della nebbia che, salendo lentamente dal fiume, inghiottiva ogni cosa. I giorni passavano, uno dietro l'altro, senza che la vecchina della casa bislacca se ne preoccupasse. Ormai era talmente vecchia da aver perso il conto dei suoi anni.» Siamo all'inizio della storia. In copertina e sui risguardi, la vecchina è comparsa due volte, mentre è intenta a raccogliere pagnotte rosse. Della stessa scena fa parte una figura scura, senza volto, ha gambe corte, piedi e mani piccole. Pare aiuti la vecchina nella raccolta dei pani. Forse si conoscono, forse stanno per conoscersi. Non pare che l'uno disturbi l'altra, nell'aria c'è concentrazione e
silenzio. [...] Quella della vecchina è una presenza ardente, come dimostrano le pagine successive. La sua casa nel bosco è il cuore della scena, ha in comune con la sua padrona il calore che emanano i corpi vivi. Siamo certi della presenza della vecchina dentro quelle mura, perché da esse procede la stessa energia proveniente dalla figura della donna, quando si mostra esteriormente. Questa corrispondenza tra corpo visibile e corpo invisibile, è particolarmente importante in una storia dove le dimensioni della comparsa e della sparizione sono determinanti. I Pani d'Oro della Vecchina racconta ai bambini la storia di una vita che continua in una morte. Potremmo affermare anche il contrario, cioè che I Pani d'Oro della Vecchina racconta ai bambini la storia di una morte che continua in una vita. [...] Cosa c'entra la bontà di un pane con la bontà d'animo? Scrive Simone Weil, in un breve saggio intitolato La persona e il sacro (Adelphi, 2012), che «Dalla prima infanzia sino alla tomba qualcosa in fondo al cuore di ogni essere umano, nonostante tutta l'esperienza dei crimini compiuti, sofferti e osservati, si aspetta invincibilmente che gli venga fatto del bene e non del male. È questo, anzitutto, che è sacro in ogni essere umano.» È questo che trattiene e sconcerta la morte tutte le volte che le si presenta l'opportunità di rapire la vecchina e poi non lo fa. Per le stesse ragioni, la morte narrata da Gozzi e Lopiz non è temuta, le si può parlare, la si può incontrare, si può con essa cercare il dialogo e ad essa accompagnarsi senza provare paura, pur sapendo che chi è vivo trapasserà. Della morte abbiamo talvolta una percezione parziale, primitiva, intrisa di negatività e di violenza. Escludiamo di poterci avvicinare a lei, comprendendola con dolcezza, come fa la vecchina e dubitiamo che l'infanzia possa entrare in questi discorsi senza subire traumi. I Pani d'Oro della Vecchina disarma l'esercito di tabù che cinge l'argomento “morte” nella società contemporanea e mette in moto modi di pensare e di guardare alla morte e alla vita che non credevamo possibili, prima di avere letto il libro. Tra arte di impastare e filosofia scopriamo esserci punti di contatto. «Il sapore dolce e speziato scompigliò la Morte, il pane sapeva tanto di Vita. […] “Squisita,” disse la Morte masticando. “Ma non mi farò incantare un'altra volta, ormai il tuo Pane l'ho mangiato. Non perderò altro tempo. Vieni con me. Adesso.” “Ma signora Morte, non è certo per il Pane Dolce che ho abbrustolito tutte queste mandorle. I bambini aspettano ogni anno che io le impasti in una dolce spuma bianca e le trasformi in tanti torroni. L'impasto morbido deve raffreddare e solo il giorno dopo diventa croccante. Il segreto è solo aspettare.” Non siamo tra le pagine di un ricettario, ma vorremmo vederli e assaggiarli per
davvero, una notte di Natale, i dolci di questa vecchina.

Da La storia dei cambiamenti, di Giulia Mirandola, in Catalogone 2013.