di Massimo Scotti e Pia Valentinis, 2006
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C’è, nel chicco di melograno, il motivo originario di un inno antichissimo di ascendenza greca, attribuito a Omero, e l’elemento ispiratore di una storia firmata da Pia Valentinis e Massimo Scotti per i bambini di oggi.
Rispettando la fisionomia della collana di appartenenza – “Fiabe quasi classiche” – Un chicco di melograno. Come nacquero le stagioni svela nei risguardi, con un testo di venti righe, la portata leggendaria di questa storia e il perché valga la pena continuare a raccontarla.
«Una ragazza coglieva fiori […] si chiamava Persefone […]. Coglieva le rose […] e il narciso, che era apparso sulla terra proprio quel giorno […]. Nell’istante in cui Persefone tendeva la mano verso il fiore splendente, la terra si aprì con fragore».
Un chicco di melograno è un libro che parla ai bambini del tempo, dell’eternità, del destino, dell’amore, dell’odio, della follia, della morte, della vita. Piante e animali sono presenze divine; i mortali, creature sciocche.
Il bambino che senta nominare per la prima volta Persefone, Demetra, Ade, Ecate, Helios, Celeo, Metanira, Demofoonte, Zeus, Iride, Hermes, è aiutato a riconoscerli attraverso scritte rosse. L’incombere di scenari immensi – l’ombra dei misteri eleusini, la vastità dell’universo mitologico, la ieraticità dell’arte antica – suscita stupore. Figure rosse, in mezzo al bianco e nero, richiamano l’attenzione del lettore su singoli dettagli. La vibrazione cromatica che li investe, è un gesto drammaturgico, da cui possono scattare la comprensione di una scena e l’apprendimento di nuove nozioni. […]
L’uso di una lingua sintetica, aliena a barocchismi e slang, è in linea con lo stile icastico della classicità che ripulisce il linguaggio dall’indeterminato e dall’assenza di logica che spesso lo travolgono. L’atteggiamento di Valentinis e Scotti coincide. Entrambi guardano con rispetto alla versione omerica della storia, dimostrando che la fedeltà all’originale non mutila la creatività né semplifica il mestiere: è una scelta. L’illustratrice si misura con un problema consistente: che ruolo dare alle immagini quando gli attori in scena, gli dèi, hanno statura incommensurabile? Valentinis fa della vicenda di Persefone una rappresentazione in dodici quadri. Le doppie pagine si spiegano come fondali di teatro perché siano le parole, con la loro forza drammatica, a mettere in scena il mito. Con nitidezza e discrezione, le tavole creano ambienti adeguati alla tonalità espressive ed emotive del testo. Coerentemente con quanto si racconta, perché le figure del mito nascono per porre e chiarire i grandi problemi dell’esistenza umana e fondano le categorie di base che servono all’uomo per comprendere la propria esperienza.
Da A colloquio con gli Dei, di Giulia Mirandola, Catalogone 2007.