È uscito per Treccani nel novembre del 2019 Le figure per dirlo. Storia delle illustratrici italiane di Paola Pallottino, già autrice di importanti volumi come Storia dell’illustrazione italiana e Atlante delle immagini, oltre che di centinaia di studi e contributi su questi temi, editi in Italia e all’estero. In un’intervista realizzata da Massimo Iondino per Avvenire, il 9 aprile 2019, Pallottino spiega la ragione del titolo: «Lo spunto me l’ha dato il famoso romanzo femminile e femminista di Marie Cardinal Les mots pour le dire, in italiano Le parole per dirlo. In questi anni di lavoro la scoperta più importante non è stata però artistica, ma di una rimozione: quella delle donne, anche se alcune sono diventate lo stesso famose in virtù della loro bravura.»
Le figure per dirlo esamina l’opera delle “decoratrici” attive in Italia dal Seicento a oggi, con particolare attenzione alle illustratrici attive a partire dai primi anni del Novecento. La storia comincia con le antesignane: le miniaturiste e le ricamatrici che operarono fin dal Medioevo, per proseguire poi con le incisore, le pittrici, le calcografe, le litografe e le illustratrici attive in Italia fra Settecento e Ottocento. Ma è sul Novecento che il saggio, corredato da un apparato di referenze iconografiche magnifico, colto e documentatissimo, concentra il proprio sguardo, mettendo a fuoco per la prima volta biografie, ambiti di intervento, tecniche, stili, fortune di un esercito di artiste attive nel settore dell’immagine riprodotta, spesso dal talento eccezionale quanto sconosciuto. Il risultato è un affresco ricchissimo di dettagli, vicende, opere, personaggi, riferimenti. Un viaggio visivo, storico e critico, realizzato con l’obiettivo dichiarato e meritorio di restituire alla presenza femminile il posto che ha e che le spetta nella cultura artistica del nostro Paese. Sfogliando le pagine di questo volume davvero imperdibile, frutto di oltre quarant’anni di ricerche e fondato sull’ineguagliabile archivio personale della studiosa, quello che, infatti, è impossibile non pensare è come mai il talento di queste formidabili artiste, doppiamente emarginate - da una parte perché donne, dall’altra perché operanti in settori minori come la moda, la pubblicità, la caricatura, i calendari, le etichette, l’illustrazione per l’infanzia - non sia stato riconosciuto, e non abbia trovato posto, nelle storie ufficiali, accanto a quello dei colleghi. Le illustrazioni con cui corrediamo questo articolo, tratte dal volume, ve lo potranno confermare. Un volume dunque di grande importanza, che va a colmare una lacuna e a ristabilire un’evidenza a lungo negata.
Domani giovedì 6 febbraio, alle ore 18, presso la Sala Igea dell’Istituto della Enciclopedia Italiana (Roma), Paola Pallottino presenterà il suo libro insieme a Luciana Castellina e Giorgio Bacci. L’incontro è il quarto appuntamento dei “Giovedì alla Treccani”, la rassegna dedicata ai nuovi progettidell’Istituto (#leparoleperdirlo, Il Tascabile, Treccani Arte, Treccani Libri, Treccani Scuola).
Vi proponiamo in lettura un brano dell’introduzione di Paola Pallottino.
In modo analogo [al modo in cui la creatività femminile si realizzò in ambito artistico nel Novecento], nell’illustrazione, la condizione femminile si ripropose incessantemente nella scelta obbligata di percorsi, soggetti e opzioni stilistiche, ma le affioranti nostalgie di un “altrove” impossibile e le allusioni a un riscatto conseguibile solo attraverso implacabili rituali di ordine, eleganza e bellezza, stanno a indicarne il travaglio. La donna nell’illustrazione, infatti, ossia la donna che si andava esprimendo creativamente attraverso quella forma di comunicazione visiva che, per la sua natura di multiplo e di merce, non attiene solo al creativo e la cui tradizionale marginalità rispetto alle “arti maggiori” era, all’epoca, ancora più spietata – viene dunque emarginata due volte.
Come altre storie, anche quella dell’illustrazione femminile è la storia di una cancellazione. Negati negli assunti, progetti e aspirazioni riemergeranno prepotentemente nell’abbandono a una sensualità repressa che si colora di lirismo nelle insistite descrizioni del mondo dell’infanzia, di una natura dominabile solo attraverso carezzevoli antropomorfizzazioni e di un misticismo languido e ambiguo nella divulgazione religiosa di un cattolicesimo orrorificamente seducente nelle sue interdizioni e nelle sue promesse di ricompensa. L’irresistibile fabula di angeli, fanciulli, vergini e madonne esplicita, attraverso la sublimazione, la volontà di fuga da una condizione imposta. Interpreti del linguaggio iniziatico di animali e piante, o artefici di estasi mistiche e di edulcorate trasfigurazioni, prima ancora che con gli utenti di quell’età rigidamente scandita dagli stessi cataloghi editoriali che le destinavano esclusivamente alla “decorazione” di libri per la prima infanzia, pagina dopo pagina, intrecciarono il loro delirio autoreferenziale proprio con quelle “fanciulline” neglette e ribelli che avevano dovuto troppo presto imparare a nascondersi sotto le mimetiche fattezze delle illustratrici stesse.
Neli Marchese, copertina per «La Donna», n. 339, dicembre 1920.
Maria Augusta Rasponi del Sale (Gugù), illustrazione per En Mer!, Hachette, Parigi, 1901.
Adriana Bisi Fabbri. Manifesto litografico bicolore. Bergamo maggio-giugno 1913.
Titina Rota, illustrazione per Il giglio della notte, in Noi e il mondo, 1916.
Emma Teresa Bonazzi (Tigiù), 1919 ca. Calendario litografico.
Ma l’esame di una produzione che, dalle artiste più prolifiche che illustrarono centinaia di libri a quelle che disegnarono una sola illustrazione, consente anche una serie di considerazioni sulla sua collocazione complessiva. Essenzialmente legata alla pubblicazione di fiabe, leggende e riduzioni di storia sacra per la prima infanzia, la presenza femminile si assottiglia fino a scomparire all’interno delle opere di avventura, di divulgazione scientifica e nella grande letteratura destinata agli adulti. Non risulta, per esempio, nessuna illustratrice nelle centinaia di interpretazioni iconografiche de I promessi sposi; solo Maria Augusta Cavalieri, ma al seguito del padre Luigi, illustrò fino a tutti gli anni Cinquanta Le avventure di Pinocchio. La stessa Scala d’Oro, una tra le più popolari collane graduate per i ragazzi degli anni Trenta, accolse, fra i 18 illustratori che si alternarono ai suoi 93 volumi, una sola donna: Marina Battigelli, che non a caso illustrò Quo vadis? di Henryk Sienkiewicz.
Escluse di fatto dall’avventura e dalla grande letteratura, le illustratrici mettono il loro epos al servizio di una microstoria fatta degli eventi ciclici del quotidiano e del volgere delle stagioni, registrate non nei loro fenomeni più appariscenti ma presagite nei sintomi minuti e spiate nei minimi trasalimenti, cogliendo e raccordando il fluente e torrentizio coro delle “piccole voci”. La rappresentazione coatta degli accadimenti che potevano verificarsi all’interno di quel perimetro, che dal gineceo immette direttamente alla nursery, attiva la grande saga iconografica del “territorio infanzia” con risultati di irripetibile seduzione e di un fascino che appare direttamente proporzionale alle “esterne” conquiste tecnologiche, e prima ancora all’avvento dell’era industriale, alle quali le illustratrici oppongono un esorcizzante ottimismo.
Natalia Azzoni (Lia), Ragazze da marito, illustrazione, per «Satana-Beffa», 1919.
Leonella Nasi, Cappuccetto rosso, 1922,
Hirene Hruska (Irina Chruska), Albatros, 1927.
Vera D’Angara (Vera Natensen Nankoski in Erenburg), «Vita Femminile», copertina, 1922.
Maria Ciccotti, illustrazione per La leggenda del bel Pecopino e della bella Baldura, 1931.
All’immagine che la donna introietta su se stessa si sovrappone quella che la cultura maschile, già dall’epoca vittoriana, aveva assegnato all’infanzia e che, saturata dalle pulsioni di un materno oscuro e magmatico, finirà per generare il bambino che ricorre nell’illustrazione. Come quello struggente mondo dell’infanzia – popolato da eleganti e spensierati happy few – i pochi bimbi felici – ambientato da Kate Greenaway, Jessie M. King o Winefred Smith in giardini e interni pre-raffaelliti, inseguito in gioiosi pic-nic e in aggraziate mosca-cieca, esplorato negli emblematici oggetti d’uso, dal tenero abbigliamento ai rassicuranti balocchi, che sarebbe venuto d’oltralpe con la poetica della nursery. Ignaro di guerre o tragedie, illustrazione dopo illustrazione e in uno stile che non possiamo che definire nursery-déco, questo grandioso monumento all’infanzia, rappresentava la proiezione lancinante di un sogno collettivo di felicità e giovinezza... Ma anche in Italia le illustratrici sognavano. Il loro “felice mondo dell’infanzia” avrebbe narrato l’ininterrotta fiaba di una gaiezza mai incrinata, nella quale tutti i diversi: “poveri”, “zoppini” e “muratorini”, verranno evocati nello specchio rovesciato, al solo rassicurante scopo di sottolinearne e sancirne il teorico quanto irraggiungibile diritto alla felicità.
Maria Augusta Cavaliere, copertina per Otto giorni in soffitta, 1931.
Provenienti anche loro da quella alterità alla quale è inibita la parola, le illustratrici cercavano un altro linguaggio, trovando proprio nel segno le figure per dirlo. Un segno che, nella rivoluzionaria fisicità alla quale allude l’illustrazione, si fa già “politico” e che esprime nell’impegno creativo del divenire immagine una sorta di protomilitanza. Lo spazio dell’illustrazione vede allora aggregarsi artiste di varia esperienza e formazione che realizzano la loro vocazione dalle opzioni più diversificate, determinando intrecci e morfologie che si sottraggono a qualsiasi catalogazione che non si eserciti per grandi linee di prevalenza operativa. Molte di loro, infatti, si rivolsero all’illustrazione solo occasionalmente anche se con risultati significativi, mentre per altre l’illustrare costituì solo una tappa giovanile di passaggio, una forma espressiva da affiancare all’attività artistica, o una fugace occupazione alla quale titoli e censo vietarono di trasformarsi in realtà professionale. Prevalente, fino a configurarsi come vera e propria professione, sarà invece l’opera di poche solitarie illustratrici.
Giana Anguissola, copertina per L'armadio misterioso, 1937.
Maria 'Marù' Viviani, copertina per Il carrettino di Tespi, 1937.
Rosetta Cavallari (in Tofano), Pagliaccio, «Sipario», 1938.
Mimi 'Mimmy' Dotti, illustrazione per Il viaggio di Checco Mirasoli, «Il Balibba», 1939.
Colette Rosselli, illustrazione per Il primo libro di Susanna, 1941,
Flora Capponi, illustrazione per L'oca vanitosa, «Il Pioniere», 1953.
Per altre, la vocazione si paleserà e si affermerà intrecciandosi con il privato di una tradizione artistica famigliare: figlie, sorelle e mogli di pittori, grafici e architetti. Arse dalla necessità di esprimersi, come testimonia la storia di tante autodidatte, l’urgenza di “rappresentare” il proprio mondo separato indurrà molte illustratrici – e non solo la significativamente cospicua schiera delle scenografe professioniste – a mettere in scena e allestire sulla pagina vere e proprie rappresentazioni. Per non parlare delle scrittrici-disegnatrici, il cui linguaggio letterario avrebbe assegnato all’illustrazione un livello espressivo che non richiedeva ulteriori specializzazioni. E mentre apostoli del rinnovamento tipografico quali Raffaello Bertieri e Cesare Ratta, nell’incoraggiare l’opera degli incisori così funzionale al rigore delle loro pagine, cominciavano a valorizzare anche l’opera delle donne, limitatamente a quella delle xilografe e delle acquafortiste, la grande editoria italiana si sarebbe avvalsa del contributo delle illustratrici molto tardi e solo a fronte del crescente mercato dei libri per l’infanzia.
Maria Enrica Agostinelli, Sembra questo sembra quello, Emme Edizioni, 1969.
Pia Valentinis, illustrazione per Le afflizioni, Bompiani, 2016.
Francesca Ghermandi, copertina The Wipeout, Fantagrphics Books, 2003.
Chiara Carrer, illustrazione per La roca, Editorial Kòkinos, 2013.
Anna e Elena Balbusso, illustrazione per Walking, The Creative Company, 2017.
Tuttavia, una volta accesa la miccia, il coraggio e l’ostinazione di molte illustratrici avrebbe cominciato a palesarsi attraverso immagini ribelli di straordinaria originalità, sempre più personali e competitive, che dalle sedi più disparate invocano solo il giudizio dello sguardo. Ed è soprattutto questa la storia che vogliamo indagare; ma per ritrovare tono e colore di un clima così ardente e articolato, del quale ogni notizia può illuminare una sfumatura, restituire un profumo e raccogliere un fiato, rimandiamo, storia per storia, alle relative schede e a quelle citazioni che, ripercorrendo cronologicamente tante vicende, nel continuo sovrapporsi di pubblico e privato e nella somma di tante unicità, si offrono a un primo recupero di quella storia sommersa dell’illustrazione, scritta in Italia da migliaia di donne.
[Tratto da Le figure per dirlo. Storia delle illustratrici italiane di Paola Pallottino, Treccani Libri 2019, pagg. X-XI. Per gentile concessione dell'Editore.]