[di Elisa Galeati]
Le sorelle Olivier a Limpsfield, c. 1895.
Quattro sorelle, quattro piccole donne d'oltremanica, cresciute anch'esse in un'enclave progressista come le figlie di Amos Bronson Alcott, sono le protagoniste di una storia mai raccontata nel nostro Paese. Chi ha letto quel capolavoro di A.S. Byatt che è Il mondo dei bambini, testo denso e popolato da moltissimi e affascinanti personaggi, sa a quale particolare comunità di fanciulli io mi riferisca. Per chi, invece, ancora non ne avesse fatto esperienza citerò un breve brano della Byatt: «I fabiani e gli scienziati sociali, gli scrittori e gli insegnanti videro, in modo diverso dalle generazioni precedenti, che i bambini erano persone, con identità, desideri e intelligenze. Videro che non erano né bambole, né giocattoli, né adulti in miniatura. Videro, in molti casi, che i bambini avevano bisogno di libertà, avevano bisogno non solo di imparare, e di essere buoni, ma anche di giocare e di essere selvaggi».
Nel libro si narra di bambini che non venivano segregati nelle loro stanze come dettavano le abitudini vittoriane, che erano presenti ai pasti di famiglia e che prendevano parte a lunghe passeggiate in campagna. Nondimeno questi bambini conducevano anche vite separate, molto indipendenti da quelle degli adulti.
Le quattro sorelle Brynhild, Marjorie, Daphne e Noel Olivier vengono nominate nel romanzo ma agli occhi del lettore italiano esse appaiono come caratteri di fantasia, proiezioni dell'universo incantato della scrittrice. Esse furono, tuttavia, bambine in carne e ossa le cui azioni di gruppo destarono non poche reazioni avverse nei loro contemporanei. Nate tra il 1886 e il 1892 e cresciute nelle colline del Surrey, attorno a Limpsfield, in una campagna che all'epoca poteva ancora dirsi relativamente selvaggia: un angolo di campagna inglese che ospitò il “Dostoevskj corner”. Poco lontano, a The Cearne, abitava Constance Garnett, donna dalla vista fragile e dalle simpatie socialiste, che ferma a letto per una gravidanza e munita di dizionario, iniziò un lavoro monumentale che la portò a tradurre settanta volumi e tra gli altri tutto Dostoevskij, tutto Tolstoj, Cechov e il suo preferito, Turgenev. Suo figlio, David Garnett, futuro scrittore ed eminente membro del Bloomsbury Group, giocava nei boschi di faggio che circondavano la tenuta, avvolto da un mantello di pelle di coniglio (da cui il soprannome Bunny) e veleggiando su di una barca, che in un giorno di vento, Joseph Conrad aveva costruito per lui ancorando un vecchio lenzuolo al puntello di uno stendipanni. Nella sua autobiografia The golden echo, Garnett scrisse «non c'erano chiese nel raggio di due miglia, nidi di corvi, olmi secolari, mattoni rossi, acqua corrente o suolo fertile. Invece c'erano un grandioso orizzonte, solitudine e una manciata di persone che sembravano i primi pionieri nei territori del New England. La loro scelta era dovuta alla consapevolezza di voler rigettare ogni presupposto della gerarchia sociale vittoriana. Ovviamente questo aveva svantaggi e vantaggi. Certa gente ci chiamava "the wood people" e crescendo in quell'ambiente ero cresciuto timido, selvaggio, spaventato dalle persone e convinto che l'antisocialità fosse una virtù. D'altra parte i vantaggi erano che avevo acquisito una forte indipendenza di carattere, una prontezza nel seguire la mia indole e un amore per la natura: impugnare un'ascia, accendere un fuoco, sentirsi a proprio agio ovunque, con qualsiasi clima».
Qui le piccole donne fabiane, le Olivier, si arrampicavano sugli alberi come scimmie, si tuffavano nude da antichi ponti e divennero le compagne di gioco ideali di David che, al tempo stesso, le ammirava e temeva. Le definì spietate valchirie. Le vedeva come crudeli infante, che come selvagge si aggiravano nei boschi, indossavano abiti bianchi di jersey, mutandine blu scuro e vecchie gonne avvolte come turbanti sulle loro altere teste.
Le Olivier nelle Chart Woods (fotografia di Anne Olivier Bell, c. 1890).
Crockham Hill Road 1929, Limpsfield Chart, Surrey.
Noel, per lui la più importante tra le sorelle, era la meno appariscente e chiusa in se stessa. Assieme percorrevano i sentieri dei boschi, accompagnati dal fedele cane Nietzsche, e tornavano baldanzosi con discutibili trofei quali pelli di coniglio o di talpa e cadaveri di ranocchio da dissezionare (non per niente Noel sarebbe diventata medico). Marjorie, la più anziana, era alta coi capelli e occhi castani, molto bella e di una cordialità impulsiva alternata a momenti di freddezza, caratteristica di tutti gli Olivier. Brynhild, l'artista e designer di gioielli, viene descritta di una bellezza eccezionale, bellissimo incarnato, occhi verdi e guance color porpora, sguardo lucente. Daphne, che contribuì a portare l'eredità dell'educazione steineriana in Inghiltera, era più scura, sognante e amava sin da piccola avvolgersi nella pelle di una bestia che le era stata donata dal padre e coronare i suoi capelli con i fiori. Scrive Garnett che «Insieme inscenavamo spettacoli nei boschi, a me e Noel spettavano le parti comiche mentre Daphne era la divina eterea creatura che vagava tra gli alberi ammantata di una pelle di leopardo. La loro esistenza ha dominato la mia giovinezza. Raramente serie ma sempre nobili nell'aspetto e nei modi, esse potevano diventare in un attimo crudeli e selvagge. Un loro grande passatempo era arrampicarsi e lo facevano con grande coraggio. Oscillavano tra i rami e si osservavano felici e poi qualcuna finiva col tuffarsi nell'abisso del laghetto. L'orgoglio era la forza motrice delle loro vite, potevano diventare spietate verso gli altri esseri umani ma mai verso gli animali. Le loro menti erano libere, ma quando venivano offese esprimevano un feroce disprezzo e credevano che non ci fosse più bisogno di analizzare la questione. Molte delle principali forze motrici della società le disgustavano. Anni più tardi, quando queste forze avrebbero preso possesso di loro, trovarano l'esistenza difficile da affrontare e da accettare».
Figlie di Sir Sidney Olivier, fondatore fabiano e governatore della Giamaica, furono cresciute con l'idea di lasciare la propria impronta nel mondo. Vennero educate al bello e a una vita relazionale emancipata dal cupo vittorianesimo nonché dalla riscoperta del rapporto con la natura, col corpo e con le arti manuali. In un'epoca in cui si pensava che l'istruzione inibisse il processo riproduttivo femminile, queste ragazze ebbero la fortuna di avere genitori interessati a far frequentare loro istituti educativi all'avanguardia che privilegiavano la coeducazione e la vita all'aria aperta. Scelsero per loro una bambinaia dalle convinzioni progressiste, Gertrude Dix , autrice di una New Woman Novel, The girl from the farm. Quell'estate la prole degli Olivier e la ventiquatrenne Gertrude, con le sue lentiggini e i suoi capelli rossi, correvano attraverso la campagna muschiosa in totale libertà ma fu la tata ribelle a sottolineare come: «Qualche volta mi domando se tutti i figli di socialisti siano cosi massacranti. Se sono cosi i socialisti, figuriamoci quelli degli anarchici!».
Margery, Daphne, Brynhild e Noel Olivier (Limpsfield, Surrey, 1900).
Sir Sydney Olivier a cavallo con le sue quattro figlie (Giamaica, 1903).
Le quattro furono fortunate a crescere in un contesto dominato da donne eccezionali, donne impegnate in interessi e affari spesso indipendenti da quelli dei loro mariti e che a causa di questo attivismo venivano vessate da forti pressioni psicologiche da parte della società dominante.
Rileggendo oggi alcuni passaggi delle lettere che Sir Olivier scriveva alla moglie, non si può non ravvisare quanta attenzione entrambi rivolgessero alla questione educativa e lo facessero tramite interrogativi e ragionamenti: «Non ho mai trovato una soluzione definitiva alla questione se sia peggio per un bambino oggi essere cresciuto dai suoi genitori in modo religioso o antireligioso ...»; «non credo che i libri di grammatica e di esercizi siano l'unico strumento per insegnare ai giovani le lingue straniere. Credo che le nostre figlie dovrebbero imparare direttamente da libri interessanti, da storie nella loro lingua originale. La difficoltà sta nel trovare queste storie».
Il padre fece recapitare alle figlie i volumi dell'Enciclopedia Britannica affinchè potessero consultarla anche in sua assenza. Dare un nome alle cose è importante. Lo sa bene Alice che in Attraverso lo specchio arriva al bosco in cui le cose non hanno nome. Ha paura ad entrarci perché non vuole perdere il suo di nome e quando ormai sarà troppo tardi per ricordare la propria identità sarà un cerbiatto che le ricorderà chi è: «E tu, o povero me! sei una bambina dell'Uomo!». Una di quelle figlie finì per perdersi totalmente, altre rischiarono la stessa sorte, una volta che approdate nel mondo reale dovettero fare i conti con collassi psicologici, maternità paralizzanti, processi di rimozione e conseguenti spostamenti verso fedi o destini totalizzanti in grado di appagare pulsioni che difficilmente quella società era in grado di assorbire.
Le sorelle Oliver con il padre Sydney (al centro) e alcuni amici, durante un picnic.
Le sorelle Olivier nude in Cornovaglia, 1914 (fotografia di Sherrill V. Schell).
Attraverso lo specchio, illustrazione di John Tenniel, 1871.
Chi poi fosse interessato a conoscere i destini di queste bambine potrà leggere l'ottima biografia in inglese di Sara Watling, pubblicata nel 2019 col titolo Noble Savages (edizioni Jonathan Cape) e scoprire quanto lo spietato rasoio della storia ce l'abbia messa tutta per demolire e piegare le ambizioni e radicalizzarne le coscienze.
Ce lo dice già la Byatt che facendo parlare un suo protagonista, ci induce a riflettere su quest'idea mitica di infanzia in cui «Questi ragazzini, pensò Julian, sono stati affascinati e abbindolati come se un pifferaio magico li avesse indotti a seguirli docilmente sottoterra». Cioè, dove esattamente? In cupe faggete, nella campagna più remota di una contea inglese, sempre e soprattutto lontani dalle città, in una natura che richiama le origini: qualcosa a cui vorremmo sempre far ritorno, specie gli adulti. Furono infatti gli adulti a ispirarsi a una visione di infanzia perpetua, raccontandone protagonisti così pieni di meraviglia e in comunione con il mondo vivente. Barrie inventò I ragazzi naufraghi per i fratelli Lewellyn-Davies, Kipling pubblicò Kim, Grahame il Vento nei salici e la Nesbit, scrittrice spiritosa e anticonformista, calò i suoi fratelli Bastable in pagine indimenticabili in cui reale e fantastico si mescolano a una arguta critica del potere, auna spiccata predilezione per l’utopia e a una vocazione ecologista totalmente priva di intenti moralisti. Un pò di quella “mistica fabiana” la potete trovare anche lì. Mi piace pensare che la breve storia delle Olivier, e della comunità in cui crebbero, non diventi a ogni costo esempio (in negativo o positivo) delle tensioni opposte che si generarono dalla parabola fabiana e bohémien.
Di recente ho scoperto un piccolo, ma potente libricino, scritto nel 1956 da Rachel Carson, dal titolo Brevi lezioni di meraviglia. Sarebbe piaciuta ai fabiani quest'idea per cui la natura è un'arena piena di gioie (e ombre) da condividere esperendole, un infuso di meraviglia così indistruttibile da durare «anche contro il disincanto degli anni futuri». «Tutte le manifestazioni della realizzazione dell'essere umano sono manifestazioni della forza vitale che la terra e la natura hanno su di esso» chiosò Sir Olivier in una lettera alla moglie.
Esistono diverse foto delle quattro sorelle in rete, ma il mio suggerimento è di cercarle in un paravento dipinto da Vanessa Bell nel 1911, Bathers in a landscape. Anche se questa è un'altra storia.
Qui potete trovare tutti gli articoli di Elisa Galeati.
Bathers in a landscape (paravento opera di Vanessa Bell, 1911).