L’albo illustrato nella pratica della filosofia con i bambini
Questo articolo fa parte del nuovo numero della rivista Hamelin, Stavo pensando: albo e filosofia, interamente dedicato a filosofia e bambini. Un numero molto bello, nato dal lavoro congiunto di Associazione Hamelin con un gruppo di docenti di Filosofia e Scienze dell’Educazione dell’Università di Bologna, impegnati sia nella ricerca teorica sia nella pratica quotidiana con bambine e bambini. Vi proponiamo una parte di un articolo di Sara Gomel, che descrive esperienze effettuate nelle scuole e prende in considerazione diversi nostri titoli utilizzati durante le conversazioni con i bambini. Ai titoli in questione si riferiscono le immagini. Ci fa molto piacere trovare traccia del nostro catalogo in diversi contributi di questo numero, a riprova della vocazione alla riflessione e al pensiero che crediamo sia una delle caratteristiche salienti della nostra ricerca editoriale.
[di Sara Gomel]
Una volta era giorno
Come adesso
E tu hai detto
Buongiorno
Ma io non ho detto nulla
Perché
Stavo pensando
Quando si lavora a lungo e a fondo con un gruppo di bambini e bambine può capitare a un certo punto – se si è attenti – di provare una particolare sensazione di stupore. Talvolta può accadere sin dal primo incontro, ma più spesso accade dopo un primo tempo di acclimatazione, di studio reciproco, di titubanze e timidezze. Quando finalmente bambini e bambine si rivelano, immancabilmente giunge anche la sensazione chiara e netta – quasi un’evidenza – di essere di fronte a un pensiero ricchissimo e complesso. Come accade nel bel testo di Sandol Stoddard, Stavo pensando, illustrato da Ivan Chermayeff ed edito da Topipittori, ci vuole poco per capire che l’infanzia pensa continuamente a moltissime cose, cose anche piccole, strane, che numerose popolano il mondo:
a quella bella polvere che balla
e brilla
dentro la luce gialla [...]
a limoni, banane, arance e mandarini [...]
[...] all’acqua
a secchiate, a ruscellate, a vasche piene
e a cose fredde come pietre lisce
e a tutte le conchiglie, le campane e le fontane
E tutto questo accade mentre noi adulti ci affaccendiamo come di consueto con richieste, compiti, programmi, spezzando il più delle volte il ritmo naturale del loro pensiero. Questo non significa che non si debba introdurli alla nostra realtà, a cui crescendo sono naturalmente avviati, ma che è ugualmente importante provare a sostare nella loro, concedendo uno spazio di articolazione dei pensieri che sia riconosciuto come tale, dove poter esprimere i propri interrogativi e le proprie osservazioni.
Questo è ciò che tentiamo di fare quando proponiamo laboratori di filosofia per bambini e bambine, dando la possibilità, a ognuno di loro, di dire “stavo pensando che...”, sia in termini individuali che di comunità. Il metodo da cui nasce la nostra pratica, quello della Philosophy for Children, ideato da Matthew Lipman in America negli anni Settanta, trasforma un gruppo di bambini e bambine con le loro idee individuali in una comunità di ricerca in cui, sul modello di una comunità scientifica, si ragiona insieme alla ricerca di possibili orientamenti e interpretazioni, in un’esperienza di articolazione del proprio pensiero e di ascolto delle ragioni dell’altro. Da quando ho cominciato a tenere laboratori di filosofia nelle scuole, più o meno sette anni fa, moltissime sono le domande profonde emerse nel corso dei nostri incontri. Ne cito qui di seguito solo alcune: Cosa c’è dopo la morte? Perché sono fatto così? Quando nasciamo abbiamo già un carattere? Quali sono le origini del tutto? Perché esiste il male? La vita ha un senso? Come distinguere tra giusto e sbagliato?
Come si può notare, la maggior parte di queste domande affronta questioni che sono state o sono tutt’ora centrali nel dibattito della Storia della filosofia. Affrontano, per esempio, questioni metafisiche come quelle che riguardano il senso della vita e l’origine del mondo (qualora non siano sufficienti le risposte della fisica, che non rispondono al perché ma solo al come dell’origine dell’universo, benché in modo ancora parziale), o questioni etiche come quelle che interrogano il problema della giustizia e del male. Si tratta, il più delle volte, di domande precise e puntuali che evocano questioni generali e sostanziali. O, in altre parole, di dubbi personali – ma in gran parte condivisi – a cui è possibile rispondere facendo uso di concetti.
La discussione filosofica in comunità di ricerca, quindi, è uno strano ibrido che implica una parte narrativa, di esposizione dei propri pensieri e delle proprie considerazioni, e una parte di lavoro più strettamente filosofico, in cui i pensieri di bambini e bambine vengono riformulati e riletti in chiave più teorico-concettuale, in modo che la comunità non diventi un ricettacolo improvvisato di consigli psicologici, ma un luogo dove imparare a identificare concetti e a fare uso dell’argomentazione. Se ai concetti si tenta di giungere, è chiaro tuttavia che non si possa portare la filosofia ai bambini e alle bambine – salvo dovute eccezioni – partendo dall’astrattezza di un concetto. È fondamentale, invece, che possano visualizzare ciò di cui stiamo parlando, che riescano a vedere nella loro esperienza i riflessi di un concetto filosofico come possono essere i concetti di male, libertà o causalità. Per questo, nel corso dei nostri laboratori, ci serviamo il più delle volte di stimoli (immagini, testi, video, esperienze creative/di manipolazione, musiche) che permettano ai partecipanti di entrare da subito nel vivo della questione. È molto più difficile rispondere a freddo – per così dire – a una domanda come “Che cos’è la libertà?” che rispondere dopo aver introdotto la questione, passando da diverse possibili strade. Il pensiero non è mai perfettamente autonomo, ma si mette più spesso in moto di fronte a esperienze, accadimenti, osservazioni. O, in altre parole: abbiamo bisogno di mondo per poter pensare.
Susanna Mattiangeli e Cristina Sitja Rubio, Gli altri (Topipittori, 2014).
Cristina Bellemo e Mariachiara Di Giorgio, Due ali (Topipittori, 2016).
Ci è sembrato naturale quindi, sin dall’inizio, introdurre nel nostro fare filosofia l’albo illustrato che, grazie alla fioritura e al lavoro di alcune case editrici, negli ultimi decenni è diventato un vero e proprio patrimonio di bellezza, sapienza narrativa, grafica e immaginifica per l’infanzia e non. Se fare filosofia, nel nostro senso, è un mezzo per arricchire lo sguardo, dare a vedere il mistero e l’interrogativo lì dove ci è stato tolto, “forare” il velo dell’abitudine, del già visto, già noto, allora un buon albo illustrato riesce perfettamente a farsi carico di questa missione, facendoci entrare in mondi che rendono vivo lo stupore e che incarnano il pensiero.
L’albo, infatti, è uno stimolo nel senso più letterale: scelto di volta in volta a seconda del tema che si vuole trattare, riporta l’infanzia a un’esperienza del mondo che, seppur inusuale, gli è vicina, e ha così un vero e proprio effetto di “accensione” del pensiero. Come scrive giustamente la scrittrice Silvia Vecchini nel suo Una frescura al centro del petto, «l’albo illustrato come oggetto in sé rappresenta un concentrato di possibilità di incontro», e ancora, citando un’espressione di Lorenza Farina: «Gli albi a cui facciamo riferimento sono oggetti in cui tutto concorre a far capire e pensare».
Silvia Vecchini, Una frescura al centro del petto (Topipittori, 2019).
La lettura dell’albo può essere proposta all’inizio di una sessione di filosofia, in conclusione o ad un certo punto del dibattito, se si vuole approfondire la riflessione sottolineando alcuni concetti piuttosto che altri, oppure per dare a vedere una complessità che a volte manca nelle prime considerazioni dei bambini, spesso dettate da un affidamento istintivo al senso comune più che da un ragionamento.
Nell’ambito della pratica della filosofia, a seconda dei momenti in cui si decide di utilizzarlo, l’albo illustrato può essere quindi uno strumento di introduzione a un tema che si vuole discutere, uno strumento di arricchimento del dibattito o di rielaborazione delle idee formulate nel corso della discussione in comunità di ricerca.
[L'articolo continua nel numero che potete acquistare qui].
Sandol Stoddard e Ivan Chermayeff, Stavo pensando (Topipittori, 2013).