Fare le cose in modo piccino

Oggi riprende il ciclo di interviste dedicato alle Case dei Topi, a cura di Beatrice Bosio. Oggi parliamo con Lucia Cipriani della Libreria Farfilò di Verona che quest'anno, fra l'altro, ha vinto il premio Gianna e Roberto Denti, assegnato dalla rivista Andersen alle migliori librerie per ragazziQui trovate le altre interviste alle nostre librerie fiduciarie: Libreria degli Asinelli, di Varese; Spazio Libri La Cornice, di Cantù; La tana del Bianconiglio di Maerne di Martellago; La Pazienza Arti e Libri, di Ferrara; Testolinee Libreria dei Ragazzi, di Manduria; Aribac, di Milano; 365 storie di Matera e la libreria Dudi di Palermo; la libreria Trame di Bologna. 

[di Beatrice Bosio]

 

Foto di Alejandra Amortegui

Cominciamo con una breve presentazione della libreria: raccontami un po' dove si trova Farfilò, quando è stata aperta e da chi, chi ci lavora adesso, in cosa è specializzata e com’è strutturata.

 

Farfilò si trova sulla sponda destra del fiume Adige, nel quartiere di San Zeno, accanto al centro storico di Verona. È stata aperta all'ombra di Castelvecchio, a pochi passi dalla più conosciuta Arena, nel caldissimo giugno del 2012, da me - Lucia Cipriani, bibliotecaria fino ad allora, e da Paola, esperta in pietre dure. Dal 2017 sono però sola nella gestione della libreria, anche se in questi anni ho avuto la possibilità di collaborare con persone molto diverse tra loro che hanno portato nuovi sguardi e competenze. Da più di un anno è con me Silvia Mengali, anche lei ex bibliotecaria, cara amica, studiosa e grande appassionata di infanzie e natura. Ha portato aria nuova e buona, lavorare con lei è speciale!

Farfilò è una bottega dedicata all'infanzia e a chi se ne prende cura, vende libri e giochi rivolti a chi nasce e cresce. Quando i nostri lettori diventano autonomi, con grande dispiacere li lasciamo andare, sapendo, però, che la città offre loro tante altre buone librerie fortunatamente.

Il negozio è formato da due stanze, collegate tra loro da un armadio: attraversandolo dall’ingresso si accede a una stanza bianca con grandissime librerie progettate per mutare lo spazio a seconda delle esigenze. Un tavolo centrale molto basso si trasforma in sedute o librerie quando proponiamo incontri con ospiti e altre attività. I libri e i giochi non sono divisi per età: occorre perdersi, occorre tempo, occorre curiosità. A terra si trovano giochi destrutturati per permettere anche ai più piccoli di godere ed esplorare in sicurezza e libertà la libreria.

Dal punto di vista architettonico, l'idea è tua (e di Paola)? E la scelta dell'armadio come collegamento tra le due stanze è un omaggio a "Il leone, la strega e l'armadio" delle Cronache di Narnia? Sempre per quanto riguarda la progettazione della libreria, come mai il nome Farfilò? E il logo?

 

All’inizio ci siamo fatti aiutare da vari esperti. Del progetto architettonico e dell'armadio – che è chiaramente un riferimento a Narnia: il passaggio dei passaggi! – si è occupato mio fratello, Alberto Cipriani, che è architetto. Vive a Hong Kong da molti anni, ma anche a distanza è riuscito a tradurre in spazio la nostra idea. Il mobilio è stato realizzato totalmente in legno massello da un'azienda artigianale veronese a cui sono molto legata, Modo 10. Al logo, che trovo ancora meraviglioso, ha lavorato uno studio grafico di Milano, i cui membri ora sono sparsi nel mondo. Tra loro, Samantha Mariuzzi, artista e visionaria con disponibilità eccezionale, ci ha accompagnato passo passo.

Infine, il nome è stato un’autentica epifania: all'improvviso, chiacchierando con mia madre, mi è venuto in mente proprio “Farfilò”. Mi piaceva il suono della parola, era la crasi di due parole che mi legavano al territorio, alla mia famiglia e alle mie radici. Rappresentava bene il senso di ciò che volevo fare e mi pareva piacevole e anche un po’ divertente agli orecchi bambini.

Sulla vostra pagina Facebook ho trovato una definizione che mi è piaciuta molto: “Farfilò è un sogno condiviso”. Cosa intendi?

 

Aprire una libreria era il mio sogno. Avevo, però, un'idea altissima, seria e nobile di questo mestiere e non mi sentivo all’altezza. Sono state le persone intorno a crederci fino in fondo, forse più di me: è con tutti loro che ho condiviso questo sogno. Loro sono stati la spinta che da sola non avrei mai avuto. Credo che capiti a tutti coloro che fanno della propria passione un lavoro, non è facile mettere a tacere tutte quelle vocine interiori che, per timore, insicurezza, rispetto, remano in direzione opposta.

Come sono la città e la provincia di Verona da un punto di vista culturale? Si tratta di un contesto vivace e ricco di proposte, oppure no? Ci sono stati cambiamenti nel tempo? E una volta aperta Farfilò, hai trovato supporto e collaborazione da parte di realtà simili o di altro genere presenti sul territorio?

 

Questa è una domanda ostica, molto. In città e provincia spiccano realtà molto belle, dedite da anni a coltivare pensiero, c’è tanta ricchezza: enti privati, fondazioni, associazioni, artigiani. Occorre fare ancora molta strada, però, in una provincia dove si tende a voler capitalizzare tutto e subito. Per quanto riguarda Farfilò, fa parte di una fitta rete di persone e realtà bellissime con le quali poter collaborare spesso. Chiaramente in futuro vorremmo comunque poter fare di più e fare meglio.

 

Che significato ha avuto per te ricevere il prestigioso Premio Andersen come miglior libreria per bambini e ragazzi? Non è forse una conferma del fatto che stiate già facendo molto e bene? Come ha risposto la città al vostro successo?

 

Sarò sincera: quando mi hanno telefonato per anticiparmi la notizia, non mi pareva vero. Non avrei mai pensato di vincerlo, mi sentivo – e tuttora mi sento – fuori contesto rispetto alle librerie tradizionali. A rincuorarmi è stata la motivazione, che, però, non ho saputo subito e sono rimasta per un po’ in pensiero. Nel leggerla mi sono sentita vista, è stata una sensazione strana, bellissima. Da Farfilò facciamo le cose in modo piccino, siamo lente, non abbiamo uno shop online, non facciamo festival importanti. Ci dedichiamo con maniacale serietà a bambine e bambini, rifiutiamo le collaborazioni che non rispondono alla nostra idea di infanzia, ci piace stare con le persone per davvero. Essere riconosciuti in questo è stato speciale. Gianna e Roberto Denti fecero qualcosa di grande nel ‘72, ma io credo che mai come ora sia tempo di militanza culturale dalla parte dell'infanzia.

Dopo aver ricevuto il premio è successo qualcosa di ancora più incredibile. La sindrome dell'impostore con cui devo fare ancora i conti è stata silenziata da un'ondata enorme di affetto, come se avessimo vinto tutti quanti insieme. Credo che sia proprio così: attorno a Farfilò c'è una comunità stupenda che si riconosce nella nostra “militanza”. Se possiamo fare quello che facciamo è solo grazie a loro: è sempre stato e continua a essere quel sogno condiviso di 12 anni fa da cui tutto ha avuto inizio.

Sempre a proposito del premio, in un articolo online ho trovato un tuo virgolettato, in cui spieghi come questo riconoscimento ti faccia sentire meno sola “in quella titanica impresa di raccontare un'infanzia più vera”. Qual è la tua visione di infanzia? Quando è più vera, autentica? E come fare per raccontarla?

 

Riassumerla mi è impossibile, non sono così brava con le parole, ma dentro di me è chiarissimo. L'infanzia è spesso vista come un’entità unica, ma per me non è così. È un plurale composto da individui singoli, differenti, imprendibili. Non possiamo imbrigliare l'infanzia in facili definizioni né ridurla a target, generi, età. Nessuno si sognerebbe di entrare in una libreria generalista e chiedere un libro per un uomo di 32 anni... Occorre sapere altro di questa persona, no?

L’infanzia è un momento della vita di continua scoperta, esplorazione, curiosità, creatività. Bisogna aiutare i bambini a tenere vivo tutto questo.

Prendersi cura dell'infanzia è un privilegio che ci viene concesso quando siamo adulti. Poter stare accanto ai bambini, osservarli, nutrirsi delle loro domande, dello sguardo che posano sulle cose è uno dei vantaggi più belli del mio mestiere.

Farfilò, quindi, è un sogno condiviso, una comunità, un “loro” più grande grazie al quale puoi fare ciò che fai. Tra questi "loro" immagino giochino un ruolo fondamentale i clienti. Chi frequenta a grandi linee Farfilò? Cosa cercano e trovano da te? E che rapporto cerchi di instaurare con loro?

 

Vorrei che i clienti fossero i bambini e le bambine, il nostro vero target, ma non hanno quasi mai denaro né carte di credito, accidenti, e quindi di fatto sono gli adulti: mamme, papà, nonni, educatori e professionisti della cura (psicologi, logopedisti, psicomotricisti...). Alle volte vengono accompagnati dai bambini, ma più spesso sono soli.

I clienti sono al centro della nostra attenzione, ci mettiamo a loro completa disposizione, hanno la precedenza su tutto – specialmente se sono più bassi di un metro. Facciamo in modo che si muovano autonomamente negli spazi, tendiamo fili di senso invisibili che li guidino nell'esplorazione. Se possiamo parliamo con le bambine e i bambini, ci rivolgiamo direttamente ai più piccoli, li rendiamo protagonisti.

Qualche cliente arriva con le idee chiare, cerca un gioco o un titolo specifico e sceglie di venire qui per sostenere Farfilò; tutti gli altri, invece, non sanno bene cosa vogliono. Credo che per molti conti il tempo trascorso qui in negozio. Un giorno una signora che abita a qualche palazzo di distanza è entrata per conoscerci, dicendosi incuriosita da tutte quelle persone che uscivano dal negozio sempre col sorriso. E pensare che non abbiamo carte fedeltà né facciamo sconti. Come molti clienti ci hanno confermato, ad avere valore in un'esperienza d'acquisto sono la condivisione di immaginari, la simpatia e la fiducia reciproca. Molti clienti sono amici che tornano e ritornano negli anni. Trovo che sia molto bello potersi identificare anche nelle botteghe che scegliamo – come clienti – di sostenere.

La relazione tra libro per l'infanzia e lettore bambino, come hai sottolineato, non è quasi mai diretta, ma implica inevitabilmente l’intervento di un intermediario adulto (genitore, nonno, insegnante, ecc.). Questo aspetto proprio della letteratura per l'infanzia richiede che chi se ne occupa (librai, editori, autori, altri esperti del settore) formi adeguatamente il pubblico adulto: bisogna educare in primo luogo loro a un certo tipo di estetica, a una certa idea di infanzia, ecc.. Infatti, se i bambini potessero scegliere da soli, probabilmente sarebbero molto meno diffidenti di fronte a determinati oggetti e prodotti artistici. In che modo voi cercate di formare i vostri clienti adulti?

 

È un'ottima domanda, difficilissima la risposta. Non abbiamo seguito alcuna strategia, piuttosto un sentire. Ti direi che il non tenere a scaffale le cose più conosciute porta a un iniziale disorientamento, che si fa però generativo subito dopo. Gli adulti non trovano ciò che sono soliti considerare un buon prodotto per l'infanzia e così sono costretti a dare un’occhiata al resto. Da Farfilò il gioco destrutturato, per esempio, è a disposizione dei clienti: quasi tutti i nostri prodotti sono “giocabili”, tutto si può toccare, manipolare, esplorare. Se ci sono bambini, sono loro a mostrare agli adulti “come si fa”. Qualcosa di simile accade anche con i libri. Nell'armadio o sul grande tavolo centrale creiamo delle connessioni, in modo che i volumi esposti si richiamino tra loro. Alcune volte il filo che li lega è il senso, altre la grafica, un particolare, il formato, il tema, una geometria. Ci divertiamo molto a pensare alla disposizione degli oggetti e a vedere poi quel che accade. Spostiamo continuamente le cose sui nostri scaffali: è impegnativo per noi, ma davvero gratificante.

Ai clienti adulti offriamo poi molte occasioni di formazione e approfondimento: incontri con editori, scrittori, illustratori, psicologi, operatori della cura. I cosiddetti “filò” servono a questo, raramente presentiamo le novità, e sono invece pretesti per riflettere a 360° sull'infanzia.

Hai parlato di fili di senso invisibili che orientano i clienti nell’esplorazione: cosa intendi esattamente?

Credo che ogni bottega abbia i propri fili invisibili: ne rappresentano il “pensiero”, la filosofia. Da cliente amo ricercare i fili che si nascondono nei negozi che frequento (di tutti i generi). Sono invisibili perché non dichiarati, ma sono capaci di raccontare scelte e visioni con più efficacia delle parole, se veramente in linea con chi gestisce il negozio.

In che modo ordini e disponi i libri da Farfilò?

 

La maggior parte dei volumi sono disposti sulle librerie in ordine per editore. Ci sono qua e là scaffali tematici che cambiamo spesso. Adesso, per esempio, ne abbiamo uno dedicato al consenso e al corpo, un altro alla terra, un altro ancora alla preistoria e agli estinti, e alcuni per i libri in lingue diverse dall'italiano. Sulle mensole, però, non c'è alcuna dicitura e accanto ai libri ci sono sempre anche giochi e oggetti legati al tema.

Dedichiamo molto tempo alla selezione e alla fruibilità, e ci piace moltissimo che tutto venga continuamente scombinato e giocato.

Mi affascinano molto queste connessioni a cui date vita di volta in volta accostando tra loro libri e oggetti. Puoi dirci cosa c’è adesso sul tavolo centrale e quali suggestioni hanno ispirato questo allestimento?

 

Al momento il tavolo centrale è una palette di colori che vira tra il giallo, il rosa e il verde. Non è dedicato ad un tema specifico, ma fili sottilissimi, forse invisibili ai più, connettono tra loro libri scelti tra le novità o tra i preferiti dei vari cataloghi con cui lavoriamo. Qua e là qualche gioco per innescare nuovi pensieri. 

Come scegli generalmente i libri, i giocattoli e gli altri materiali che proponi in libreria? Ti fai guidare da passione e istinto? Cosa non può mancare per te in un "buon" libro o in un "buon" gioco?

 

Questa è un’altra domanda tostissima. La mia è una continua mediazione. Di indole sarei molto più selettiva, ma poi penso che per i sentieri più arditi occorra allenamento e allora cerco libri e giochi che siano delle buone vie per chi compie i primi passi.

Rispetto ai giochi, per noi è importantissimo che siano belli e buoni non solo per chi li usa, ma anche per chi li produce. Per questo parliamo a lungo con i nostri fornitori. Prima di aprire Farfilò ho trascorso un paio d'anni dedicando le mie vacanze a conoscere aziende e realtà affini a quelle che avevo in mente.

Per quanto riguarda i libri, essendo la nostra libreria dedicata ai piccoli, abbiamo la fortuna di aver letto tutto ciò che è a scaffale e di averlo quindi selezionato sulla base dei nostri gusti, delle nostre opinioni, della nostra idea di infanzia. A guidarci è un insieme di molti fattori. Alcuni libri ci conquistano immediatamente, altri hanno bisogno di più tempo. Alcuni richiedono di essere messi nelle mani bambine e di vedere quel che accade: studiamo le loro reazioni, chiediamo feedback, leggiamo per loro quando ce lo concedono. Ci sono poi libri che amiamo immensamente, ma che capiamo subito non essere facili da proporre, e, viceversa, libri che non ci entusiasmano, ma che rivalutiamo a seguito delle reazioni dei clienti. Lavoriamo pochissimo con gli agenti, non siamo affatto facili e ce ne rendiamo conto.

Negli anni ho capito che una selezione serrata rafforza l’identità di una bottega, ne racconta scelte e gusti e la rende più facilmente riconoscibile a quei clienti che vi si identificano.

Sapresti dirmi quali libri e quali giocattoli avete venduto di più dall’apertura di Farfilò? E come interpreti questi dati alla luce dell'identità del negozio, della tua e di quella della clientela?

 

I libri che sono stati venduti di più sono: Il grande libro dei pisolini di Giovanna Zoboli e Simona Mulazzani (Topipittori); La grande traversata di Agathe Demois e Vincent Goudeau (L'Ippocampo); L'uccellino fa... di Soledad Bravi (Babalibri);

Pluk e il Grangrattacielo di Annie M. G. Schmidt e Fiep Westendorp (Lupoguido); I libri delle stagioni di Rotraut Susanne Berner, prima in tedesco (Gerstenberg Verlag) e poi in italiano (Topipittori); Mappe di Aleksandra Mizielinska e Daniel Mizielinski (Electa Kids).

Ci sono poi alcuni libri che vorremmo dare a tutti, ma non riescono a rientrare nella classifica dei più venduti a causa della loro difficile reperibilità (sono spesso fuori stampa, per esempio, tutti i libri di Chris Haughton e Oliver Jeffers).

I giochi più venduti sono quelli destrutturati, primo fra tutti l'arcobaleno di Grimm's. Sono giochi generalmente difficili da reperire nei negozi fisici e che portano spesso i clienti a raggiungerci anche da lontano. Discorso analogo vale per Grapat, un’azienda spagnola con cui ci piace molto collaborare. A chiudere la triade metterei le figure in legno di Ostheimer, una delle aziende che amiamo di più per coerenza, serietà, materiale, storia: i loro giochi sono realizzati ancora tradizionalmente a mano. Non sono prodotti facili da vendere, il loro costo può sembrare elevato se non si tiene conto di una serie di fattori, tra cui, in primis, il bambino. È vero che un'intera fattoria di animali in plastica costa come un maialino di Ostheimer, ma, al di là del senso etico di questo, noi crediamo fortemente che bambine e bambini non abbiano bisogno di molti giochi, ma di buoni giochi. Un solo maialino potrà far vivere loro un’esperienza di gioco più profonda e autentica che dozzine di animali. Comprendere il valore di un gioco, desiderarlo, attenderlo fa parte dell'esperienza di crescita di un bambino.

Foto di Alejandra Amortegui

Pensando al catalogo Topipittori, quali sono i tuoi titoli preferiti e perché (non necessariamente i più apprezzati dal pubblico, anzi)?

 

Il novellino La cosa nera di Kiyo Tanaka è entrato subito tra i miei libri del cuore. Amo la tecnica utilizzata dall’autrice, trovo che il suo sia un lavoro davvero considerevole e importante al servizio dell'infanzia. C'è poi un lieve perturbamento tra quelle pagine che incanta bambini e bambine. Lo definirei un libro onesto.

Tra i preferiti di Farfilò ci sono sicuramente tutti i volumi della collana PiNO, che riempie con grazia e cura un vuoto editoriale, proponendo una divulgazione per l’infanzia di alta qualità. Quelle di Cristina Bellemo e di Giovanna Zoboli sono poi le scritture che al momento apprezzo maggiormente nel panorama italiano. Anche la collana di narrativa ‘Gli anni in tasca’ offre sempre ottimi spunti di riflessioni sull'infanzia, aspetto che più preferisco.

Questi sono i miei gusti personali, in parte coincidono con quelli dei clienti, in parte no.

Quasi dimenticavo Beatrice Alemagna, ma immagino sia superfluo citarla. Ormai è così amata e conosciuta che la proponiamo raramente ai clienti, tanto la conoscono già quasi tutti.

Prima di diventare libraia, eri bibliotecaria. Qual è la tua formazione e quali altre esperienze lavorative hanno preceduto l'apertura di Farfilò? Come sei arrivata, insomma, a sognare una libreria?

 

Mi sono laureata a Bologna, al Dams. Durante gli anni universitari ho lavorato come impiegata amministrativa nei mesi estivi, e nella biblioteca dell’università in inverno. Così dove ho capito che quello era proprio ciò che mi piaceva fare. Poi ho frequentato un master a Roma legato alla Pedagogia. Rientrata a Verona, ho lavorato in una grande libreria di catena, ma in parallelo ho svolto un servizio civile nei servizi educativi, esperienza che mi ha aperto molte porte. Era il 2004, ho cominciato a unire libri e famiglie e da allora non ho più smesso. Sono diventata bibliotecaria, prediligendo sempre il settore ragazzi.

Di pancia, una cosa che ami della tua professione e una che non sopporti.

 

Amo il fatto che sia una professione che mi permette di rimanere accanto all'infanzia, lo trovo proprio un privilegio. Non sopporto, invece, gli aspetti commerciali, mi sento inetta, vorrei fare tutto bene e ordinatamente, e invece…

Una ragione che convinca i lettori del blog che ancora non conoscono Farfilò a rimediare subito venendo a trovarti.

 

Farfilò è sul fiume in una tra le città più belle al mondo (suggerisce la provinciale che è in me). Entrare nel nostro negozio significa poter fermare il tempo. E come disse la vicina, da qui escono solo sorrisi!