La notte è un posto

Il primo libro del 2025 è la raccolta Poesie notturne di Cristina Bellemo, illustrata da Flavia Ruotolo.

[di Cristina Bellemo]

«Caro Einaudi,

ho ricevuto le “filastrocche” e tocco il cielo con tutte e dieci le dita. Devo proprio dirle grazie dell’edizione bellissima, molto più bella di come potevo aspettarmela. […] In famiglia mi guardano e trattano con accresciuto rispetto, e per la prima volta posso chiudere la porta del mio studio (anche se ci vado a leggere un libro). Insomma, ho ricevuto i calzoni lunghi: se ha dei nemici, disponga di me.»

[lettera di Gianni Rodari a Giulio Einaudi, Roma, 6 gennaio 1961]

Finalmente ho potuto dedicare un libro alla luna. Che, come dico a lettrici e lettori, è per me una collega d’ufficio, compagna di scritture. La notte è da quando scrivo uno dei miei habitat preferiti. Prima ancora lo è da quando facevo il liceo. Nessuno in famiglia è stato nottambulo, eppure ho sempre sentito la dimensione notturna così intima e fertile: di concentrazione, di intuizioni, di studio, e poi, quando sono arrivati i libri, di storie e di parole per raccontarle.

La notte per me è un tempo e un luogo. Come me lo spiego? Non so, forse lì dentro mi sono sempre sentita libera. Ho sentito che non rubavo nulla a nessuno (solo il riposo a me stessa), non venivo meno a incombenze ed esigenze, a richieste e compiti: l’unica che stava sveglia ero io. La notte era la porta chiusa del mio studio, la stanza tutta per me.

Di sicuro queste considerazioni hanno a che fare con la dignità riconosciuta al proprio lavoro, che sta anche nel tempo dedicato, sgombro da sentimenti di sottrazione ad altro. È un percorso, con gli anni si matura (anche se continuo a scrivere di notte, per quanto l’età abbia accorciato la resistenza fisica e mentale).

Quasi tutte le cose che ho scritto sono nate di notte, alcune nella loro totalità, altre in sostanziosa parte. Penso a La leggerezza perduta, a Tuttodunpezzo, a Due ali, a Io e il falco, e quei momenti - uno per uno - li ricordo limpidamente.

   

Come ho spesso raccontato, c’è addirittura un orario preciso - le quattro della mattina - in cui idee, storie e parole sgorgano copiose ed esatte, sorprendentemente felici, con una fluidità come in nessun altro istante del giorno. Se fossi riuscita a mettere nero su bianco tutto ciò che si affaccia a quell’ora, sarei un’autrice pericolosamente prolifica.

Non mi ero mai spiegata questa puntualità nello schiudersi prodigioso delle fonti: qualcuno mi aveva forse blandamente accennato di qualche misteriosa connessione astrale. Finché una volta, avendo richiamato con un po’ di ironia questo strambo funzionamento in un incontro pubblico, fui nel momento del firmacopie avvicinata da una giovane donna molto gentile.

- Sono una fisioterapista - disse. - Forse le posso dare qualche elemento di interpretazione sul suo procedere notturno -. Alla mia curiosità corrispose mandandomi alcune semplici nozioni sui meridiani energetici secondo la medicina tradizionale cinese. Una rivelazione!

Scoprivo così che il meridiano polmone inizia alle tre di notte e finisce alle cinque, dunque alle quattro ha il suo picco energetico. Ecco spiegato l’arcano! Ma c’era di più. Nel suo messaggio scriveva che il meridiano del polmone rappresenta il respiro come relazione con il mondo esterno. Definisce i nostri confini sul piano fisico, emozionale, mentale e spirituale. Sovrintende agli scambi assorbendo l’essenza per la nostra sopravvivenza, l’ossigeno attraverso l’inspirazione, e rilascia all’esterno l’anidride carbonica attraverso l’espirazione, stabilendo un rapporto e un confine con il cosmo. Viene considerato meridiano di superficie, e sovrintende la pelle. La pelle è il secondo polmone. Mette in connessione interno ed esterno, non solo a livello fisico ma anche più personale: lo spazio che respiriamo quando siamo con gli altri. Ecco, c’era moltissimo qui del mio nottambulismo, quasi tutto.

Mi viene in mente un’altra connessione rivelatrice: durante il periodo del Covid, nell’ambito di un ciclo di incontri online progettato da Sara Costanzo e che da Christian Bobin mutuava il titolo, Abitare poeticamente il mondo, il professor Paolo Mottana aveva parlato dei benefici della notte. Ripercorro gli appunti. Di come la nostra civiltà costantemente vuole sconfiggere il buio, l’oscurità, il mistero. Di come abbiamo messo al centro il potere del vedere, il fare luce su tutto, tutto svelare, tutto spiegare, in una sorta di idolatria del giorno. La parola stessa ha a che fare con la comunicazione e la relazione diurne. La nostra è la società dell’esserci, apparire, esporsi: dell’estimità contrapposta all’intimità.

La notte è il tempo e il luogo del silenzio, del mistero, dei corpi in contatto, del sogno, e dell’ego che si spaesa. Dell’abbandonare le posture eroiche e gli atteggiamenti dominatori, il potere del controllo. L’immaginazione chiede di chiudere gli occhi. Il notturno è sterminato. È il luogo dell’ascolto di ciò che è infinitamente piccolo, di ciò che non ha la pretesa di crescere. È il luogo del non parlare non fare non capire, della capacità di ammutolire. Dove si respira all’unisono con il mondo che riposa, che si abbandona senza difese. Dove si sospende, almeno per qualche ora, la pretesa di cambiarlo, il mondo, di dominarlo.

Questa lunga introduzione a dire che la notte, per me, è attraente e familiare.

Conosco il buio profondo e la luce lunare, che talvolta mi viene a toccare entrando col suo raggio candido nella mia stanza. Scrivo nella compagnia delle stelle, o delle nubi, so l’incanto delle neve notturna, che potrei contemplare per ore, e il canto degli uccelli svegli nel buio, e le loro grida, e l’abbaiare dei cani, che si rispondono, da una casa all’altra. So i lavoratori notturni, passano sui camion che fanno vibrare il pavimento, sulle auto, sulle moto, so chi torna tardi da qualche festa, o appuntamento, magari con la radio della macchina a tutto volume, o passando a piedi chiacchiera per la via, poi apre e chiude cancelli e porte. So i colori dell’alba e dell’aurora, quando il cielo piano s’infiamma, il buio in dissolvenza: un miracolo. E il vento che s’incanala nella valle e ulula addosso alle finestre e nelle canne fumarie. So la frenesia di cinguettii degli uccelli diurni, appena schiara.

Ricordo le notti da studente (e la mezzanotte estiva celebrata in corte a caffè e biscotti e risate con la nonna Emma); le notti giovani in vacanza o in viaggio, le notti dormite in stazione a Londra aspettando i nostri treni; le notti di mamma nuova, coi figli piccoli e le ninnenanne, le storie e i sussurri, i pannolini, i brutti sogni, i pianti, le paure, le ore trascorse distesa per terra, accanto alle culle per le febbri, i Babbi Natale e le Befane, le trasgressioni, i pensieri.

Anche allora scrivevo di notte, per lavoro e per l’urgenza delle storie. E le vicine di casa, mamme nuove anche loro, a dirmi la vediamo la tua luce accesa, anche tua figlia non ti lascia dormire, vero? E io tante volte per solidarietà annuivo, perché Cecilia aveva dormito subito di notte, e la luce stava accesa per scrivere. Sui quaderni, sempre.

Ho osservato con attenzione e attrazione la relazione dei nostri figli, e di bambine e bambini che incontro, con la notte: l’oscurità, le presenze, i suoni, gli odori, gli accadimenti. Le soglie, che l’alternarsi di giorno e notte, buio e luce, attività e tregua, condivisione e solitudine, è un succedersi di soglie, da oltrepassare per poi tornare indietro.

Un quaderno è l’origine di questo libro.

Portato dall’India da Massimiliano, un quaderno-casa blu notte a fiori d’oro, con un chiavistello di legno a custodire il mistero. Perfetto per delle poesie notturne, avevo pensato, e di getto avevo buttato giù una lista di parole della notte così domestica per me, semi da cui far fiorire i versi. E così avevo cominciato scrivendo e riscrivendo, cancellando, limando, correggendo, sconvolgendo, ricominciando più e più volte.

Riempite quelle pagine, avevo ricevuto ancora in dono un quaderno nero: e lì avevo trascritto le poesie con penne di luce, accompagnando i versi con disegni fatti di ritagli di carte. Tutto un lungo e paziente lavorio, anche attraverso la materia - carta, penne, colla, forbici - per distillare, accogliere, forse capire e forse arrivare ai testi che potevo sentire compiuti. Ho portato quei quaderni con me in tante occasioni, per mostrare come accade il comporsi delle parole, che ha in comune con la notte il mistero.

Infine ho pensato: mando a Giovanna Zoboli questa raccolta. E quando mi ha risposto che le poesie le piacevano molto e che desiderava farne un libro per la collana Parola magica, ho sentito che era una sorta di consacrazione. Ora si trattava di attendere chi le avrebbe illustrate: la sapienza di Giovanna negli abbinamenti è straordinaria e sempre - per i miei libri - mi ha sorpreso, spalancando il mio immaginario verso prospettive inaspettate.

 

Giovanna mi ha poi raccontato che teneva d’occhio da tempo Flavia Ruotolo, attendendo la cosa giusta da affidarle. E intorno alle Poesie notturne è nata la nostra fortunata collaborazione. Flavia ha fatto un lavoro straordinario - curando anche il progetto grafico - nel restituirmi questa domesticità della notte: intessendo la scena di piccoli oggetti, dettagli, metafore così capaci di stare nelle notti bambine. Di questo sono fatte le notti bambine: oggetti, presenze, corpi, rumori, respiri, coraggi e spaventi, attraversamenti.

Flavia ha assecondato - sconfinatamente arricchendolo di tonalità - il ritmo di questa raccolta, che si muove tra la levità e l’ironia, e la fatica - il dolore perfino - e le domande giganti, il commuoversi del tempo, nei giorni, nelle settimane, nelle stagioni, in relazione strettissima con la natura, gli elementi, le persone che con noi coabitano la notte.

Che cosa c’è tra queste pagine blu notte o bianche di luce? Lucette rotte balene a branchi domeniche la culla delle voci delle cose fratellini nasi cuscini dubbi coperte scudi mostri lampioni orologi fagotti occhi aperti (per poco…) ladri orsi di peluche pirati bambine sonno dita termosifoni diari stelle desideri mille carabattole tazzine segreti bagni di mezzanotte terrori chinotti culle cicale respiri neve sorprese angeli custodi alberi di Natale semafori dormire litigi ricordi altrove pile fumetti lenzuola…

Ripenso alle meravigliose cose che mi raccontano bambini e bambine quando chiedo: - Vi è mai capitato di stare svegli di notte? Cosa avete visto? Cosa avete sentito? -.

Grazie ad Anna Martinucci, che ha collaborato con Flavia per l’impaginazione.

Grazie a Paolo Canton, che con la consueta accuratezza, la competenza, la lunga e appassionata esperienza ha accompagnato la stampa.

Grazie, sempre, a Giovanna.

Come sono felice per questo libro! Non vedo l’ora che arrivi nelle vostre mani.