Peraltro lo amavano ancheprima di diventare Topi e per due ragioni: 1) perché aveva uncognome tipico modenese e anche loro sono mezzi modenesi; 2) perchéavevano scoperto che ha una casa sull'appennino tosco-emiliano,e anche i Topi ce l'hanno 3) perché avevano letto Sullafelicità a oltranza, il suo primo romanzo, quello dacui avevano tratto le notizie 1 e 2, e subito era diventato uno dei loropreferiti, e infatti i Topi da bravi si erano subito messi ad aspettareil secondo. E poi il terzo, il quarto eccetera. Poi sono diventati Topie gli hanno fatto scrivere loro un libro che s intitola Autobiografiadella mia infanzia(questa storia l'abbiamo già raccontata qui).
I Topi sono fra quelli a cui Cornia leggele cose per telefono prima che escano. Che già in sé ti fa capire chediventare editori non è la quotidiana e stratosferica pila di scocciatureda risolvere che a volte ti sembra (ed in effetti è).
Il nuovo libro di Ugo Cornia si intitola Animali.Topi cani gatti e mia sorella. E noi siamocontentissimi di questo libro e del racconto ai topi dedicato, checontiene un viluppo di complicate storie topesche. Direi quasi che nesiamo fieri perché nel nostro cervello rattone è come se pensassimoche l'ha scritto un pochino anche per noi. Per cui oggi più chestare a scrivere di come Cornia concepisce l'idea di animale, cosa cheperaltro è chiarita benissimo nella citazione in epigrafe al libro,di Ulrich Beck, che dice: "Lo sforzo di determinare questo concetto èsimile al tentativo di inchiodare un budino alla parete.", vi riportiamo questo brano sui topi che a breve andrete a leggere cheracconta dei topi che insieme a Cornia e a sua sorella abitavano nellacasa di Guzzano, che è quella che Cornia ha sull'appennino tosco-emilano,per l'appunto. E a un certo punto ci abitavano in troppi in casa, per cuisi è dovuto pensare a come rimediare a questa invasione.
E tornando a noi, comunque è verissima questa cosa deibudini attaccati ai muri. Specialmente da quando c'è facebook che èuna specie di collezione mondiale di filmati di un minuto dove animalidi tutti i generi, dagli scimpanzé ai bruchi, fanno di tutto e per lopiù cose stupefacenti, che si spera gli etologi stiano facendo unabanca dati di questi filmati e li studino e ci spieghino perché peresempio un gruppo di capretti si metta in coda per salire su uno scivoloe vada sullo scivolo venti volte di seguito. Che certo stupiranno anchemoltissimo le cose pazzesche che fanno gli animali sugli scivoli e non,ma ancora di più stupiscono tutti questi esseri umani che passano iltempo a filmare, postare e guardare filmati di animali su facebook,come se stessero cercando di farsi venire in mente delle cose di cuinon ricordano più niente.
Anche se dopoavevo pensato che se c’erano dei rapaci notturni che venivano a cacciadi topi nel granaio, ogni volta che uno si fa la derattizzazione al finedi fermare l’invasione, chissà anche quante civette e allocchi checi lasciano la pelle, perché riuscire a fare delle scelte equilibrate,e a far quadrare il tutto, è sempre una cosa di una grande difficoltà:i topi stanno iniziando a invadere il piano di sopra e tu decidi dimettere il veleno perché stanno diventando troppi, e se continua cosìfra poco troverai completamente invase le parti di casa abitate da te,e ti stufi di trovarti sempre i letti sporcati e di dover lavare tuttele lenzuola e le coperte, e i piatti e le pentole, ma visto che i topiti riempiono il granaio, anche l’allocco inizia a entrarti in granaio,che c’ha i finestrini aperti, e a mangiarsi tutte le notti qualche topo,che sarebbe una buona cosa, ma se tu avveleni i topi, il gufo mangia iltopo appena avvelenato, che da vedere è ancora vispo ma pieno di veleno,e visto che il topo era già pieno di veleno, va a finire che muore ancheil gufo che l’ha mangiato. E tutto questo ti dispiace.
Equesta cosa dei danni collaterali è sempre stata tremenda, non soltantoper i gufi, che muoia un gufo è una cosa che ti dispiace moltissimo, mati dispiace moltissimo anche che muoiano i topini piccoli, quelli tipole arvicole, che in casa si sono sempre infilate ma non mi hanno maidato problemi. Io li ho visti passare di qua e di là fin da piccolo,e quando io ero piccolo e un topino passava da qualche stanza infattic’era subito qualcuno che mi diceva Ve’ un topo… ve’che bel topino, guarda, ma queste frasi, dette magari dallazia Maria, o dal nonno o dalla mamma, mi sono sempre state dette con untono di voce che comunicava che era una piccola festa riuscire a vedereun topino, non che era una cosa da spaventarsi, e anche mia madre nonriusciva a cedere all’idea di avvelenarli e pensava e diceva Mache male ti fanno? Quindi li abbiamo sempre lasciati starein casa, bastava che non diventassero troppo numerosi. E tra l’altro,a ripensare a queste cose mi viene in mente che mio nonno, che è mortoche io non avevo ancora compiuto sei anni, e quindi io avrò avutoquattro o cinque anni a quell’epoca, e quello che mi viene in menteè che mio nonno metteva queste due o tre trappole, ma di quelle fattea gabbietta, non a molla, e poi andavamo insieme in cantina a vederese c’era rimasto il topo, e il topo spesso ci rimaneva, perché miricordo che poi metteva la gabbia sulla tavola e lo guardavamo, ma nonerano topini, erano già topi di taglia media, se no sarebbero passatiin mezzo alle sbarrette della gabbia, e il topo se lo guardi si vedeche un po’ si spaventa, perché si sistema sempre nell’angolo infondo della gabbia, ma c’ha anche il naso che ti punta, anche se unpo’ tirato indietro anche lui, perché si vede che ti annusa mentreguarda, e poi mi ricordo che andavamo
a mollarli in fondoall’orto, o giù nelle piantate (tra l’altro il topo, quando corre,con quel sedere un po’ grasso, e andando a saltelloni, fa piuttostoridere). E quindi non sono stato abituato alla paura e all’odio deltopo, quanto piuttosto alla meraviglia di vederli. E infatti in verità,se devo essere sincero fino in fondo, a me dispiace anche per i ratti,che sono animali che io ho sempre ammirato per i loro numeri di grandeequilibrismo su tubi, fili e mobilio: una sera entro in cucina e accendola luce, e c’era qualcosa di strano che era strano, e strano e basta,per un po’, forse cinque secondi, come quando appunto percepisciqualcosa che non percepisci chiaramente, giusto per cinque secondi,perché dopo lo percepirai chiaramente, e lo strano era che c’eraun ratto perfettamente fermo e in equilibrio su un tubo orizzontale,messo esterno per non spaccare il muro, e il topo era lì, immobile,e mi guardava con la coda dell’occhio, e poi l’ho visto anch’io,e gli ho fatto un urlo, e non l’avessi mai fatto, ha fatto il tuboa gran velocità, è saltato nella piattaia, poi nel lavandino, poisotto un mobile, e via che ti devi rilavare tutti i piatti. Ma quandoera immobile sul tubo era meraviglioso.
E quindi pietà,un po’ di pietà per tutti, anche per i ratti, tanta pietà per ilcadavere quanta pietà per il vivo che quel cadavere deve esser statouna volta, prima di morire, questo senso di pietà per il cadaverescoppiato e rinsecchito, con quella bocchina aperta e tutti i dentiniche si vedono, e gli occhi che non ci sono più, e anche un po’ dipietà per te, perché non ci puoi più restare in casa se ci stannocentocinquanta ratti, e quindi li avveleni, perché a un certo puntonon puoi fare altro che avvelenarli.
Anche se io i ratti liho sempre ammirati anche per la loro grande organizzazione sociale,così simile alla nostra. Tra l’altro, parlando di organizzazionesociale, Giuliano Della Casa una volta mi ha raccontato una storia suiratti che mi ha sempre lasciato così ammirato, perché nella casa incui abitava prima, in via Sant’Agostino, di fronte alla chiesa, luiabitava in questa casa al quarto piano, ma aveva il suo studio di pittoreal piano terra, che erano due stanzoni messi a L, e uno dei due stanzonisi affacciava su via Sant’Agostino, dove si entrava, ma dall’altraparte aveva una porticina che si affacciava sul cavedio interno dellacasa, e d’estate Giuliano la teneva sempre aperta, in modo che facessecorrente con l’altra porta, così tirava un po’ d’aria. E un giornoDella Casa era lì con qualcuno e di colpo vede una pantegana che si infila dentro, dalla porticina del cavedio, poi scappa fuori subito. Però,visto che questi stanzoni avevano per terra delle tele, e un sacco dialtra roba, e uno dei due stanzoni fungeva più o meno da magazzino, aGiuliano gli era venuta paura che quei topi magari si infilavano chissàdove e dopo eccetera eccetera, e facevano i figli e così via, e nonte ne liberavi più; quindi è andato in una ferramenta lì vicino perprendere del veleno e sistemare la situazione prima che si impiantasserodei ratti a vita stabile nel suo studio. Allora in ferramenta gli spieganocome funziona il veleno e lui dice No, perché glifaceva troppo senso, di conseguenza gli consigliano la famosa colla,e gli dicono di prendere un’asse di legno e spalmarci sopra la colla equando il topo è rimasto incollato uno va lì e gli spacca la testa conuna bastonata, oppure lo pesta. E Della Casa dentro di sé pensava cheil veleno non gli piaceva, ma anche la colla, lui non ce l’avrebbe maifatta a andar lì dal topo e spaccargli la testa a bastonate, allora hapensato che se per caso un topo finiva nella colla, lui lo lasciava lìincollato finché non moriva di fame. Quindi ha comprato la colla, hapreparato l’asse con la colla spalmata, poi l’ha messa nel cavedio,vicino al centro del cavedio dove c’era una buchetta dell’acqua chebuttava nella fogna, che doveva essere il posto da cui probabilmenteuscivano fuori i topi. La sera, dopo cena, a un certo punto è andatoa fumare una sigaretta a una finestra che dava sul cavedio, e anche seera tutto in penombra vedeva che c’era del movimento, perché mi erodimenticato di dire che nelle serate precedenti, andandosi a fumare unasigaretta da quella fi nestra aveva visto che appena veniva buio iniziavail grande movimento. Finita la sigaretta è tornato dentro a guardarela televisione, poi dopo una mezz’ora è tornato alla finestra e sisentivano dei versi, allora si è fatto luce con una torcia elettrica e havisto che c’era una pantegana, di quelle belle grosse, che era rimastainvischiata nella colla e faceva questi versi disperati, e che intorno alei c’erano altre quattro o cinque pantegane, della stessa dimensione,che trafficavano lì intorno e giravano su e giù con grande frenesia. Aquel punto si è ridetto che a andar giù a spaccarle la testa in mezzoa quel gran traffico di pantegane c’aveva troppa paura, tra l’altrogli faceva anche schifo, e ha pensato che ci andava domattina e domattinatraeva le sue conclusioni. E nel frattempo andava sempre alla finestraa vedere i topi, che giravano intorno al topo incollato che urlava, escancheravano. E la mattina dopo quando è sceso in studio e ha apertola porta del cavedio, per vedere che fine aveva fatto il topo, sperandoche fosse morto di qualcosa, così non doveva né spaccargli la testaa pedate, né sentirlo lamentarsi fino a quando non moriva di fame,c’è stata la grande sorpresa: il topo non c’era più, e Della Casaha visto che dove stavano i suoi quattro piedi incollati all’asseadesso c’erano rimasti quattro buchi, il legno non c’era più,si vede che le altre cinque o sei pantegane nel corso della notte gliavevano mangiato tutto il legno intorno ai piedi incollati, che Della Casaper ridere diceva Gli saranno rimasti gli zoccoli,e però diceva che era una cosa fenomenale a immaginarsela, tuttiquesti topi che rosicchiano, e rosicchiano, e stanno lì a lavorareper tutta la notte fi no a quando l’amico non è libero. E dopo questoavvenimento credo che Della Casa abbia comprato il veleno per risolvere lasituazione.
Per chi trovasse questo racconto troppo difficileda credere, e effettivamente anche io lo trovavo un po’ stupefacente,pur credendoci, mentre Giuliano me lo raccontava, mi permetto di rimandareal bel libro Il bonobo e l’ateo, di Frans de Waal,un famoso primatologo, dove si parla del comportamento dei nostri cuginiscimpanzé e bonobo, e anche di altre scimmie, e a pagina 177 si parla dialtruismo nei ratti; Frans de Waal racconta questo esperimento: un rattoviene messo in un recinto dove ci sono due contenitori di vetro chiusi econ uno sportellino che si può aprire soltanto dall’esterno. In unodei contenitori di vetro ci sono dei pezzi di cioccolato, nell’altrocontenitore c’è un altro ratto imprigionato e che dà segni visibili digrande agitazione e paura.
Quasi sempre il ratto che è liberoper prima cosa va a liberare il ratto prigioniero, poi va a mangiarsiil cioccolato. L’esperimento vuole sottolineare il fatto che il rattoè un animale che ha dei comportamenti di forte empatia con gli altriratti. Tra l’altro, andando subito a liberare il compagno prigionierodopo dovrà dividere con lui il cioccolato; se fosse stato più avido cheempatico sarebbe andato prima a mangiare il cioccolato e poi a liberarel’altro ratto.
Da Animali.Topi cani gatti e mia sorella diUgo Cornia, © Giangiacomo FeltrinelliEditore Milano
Siringraziano Ugo Cornia e Feltrinelli Editore per averci permesso dipubblicare questo brano.