Adolescenza zero. Hikikomori, cutters, ADHD e la crescita negata è il nuovo libro di Laura Pigozzi, psicoanalista. Dei temi della crescita mancata, del controllo e dell'invadenza dei genitori sulle vite dei bambini e dei ragazzi, dell'immaturità affettiva ed emotiva degli adulti, del narcisismo delle famiglie, fenomeni riassunti nel concetto di plusmaterno, Pigozzi si è occupata anche nel precedente libro Mio figlio mi adora. Figli in ostaggio e geniotri modello (di cui abbiamo parlato qui). Adolescenza zero si può leggere come il seguito ideale di quel primo saggio e approfondisce il tema della crescita, e in particolare dell'adolescenza. Cosa accade quando i bambini vessati da famiglie claustrofiliche che non sanno affrontare il conflitto con i figli e vivono con loro una relazione simbiotica, diventano grandi? O meglio, non lo diventano?
Il libro analizza fenomeni estremi come quelli che riguardano gli hikikomori, ragazzi reclusi in casa, o le cutters, giovani che si tagliano la pelle, e si interroga sulla continuità fra essi e la passività, la chiusura, l'assenza di desiderio e vitalità degli adolescenti contemporanei. In primo piano ci sono temi decisivi, come quello delle famiglie e della scuola, del rapporto con i genitori, della percezione del corpo, del legame con i propri pari con i quali appare sempre più difficile stringere legami. Uno degli aspetti più interessanti del libro è il suo andare oltre la dimensione strettamente psicoanalitica, per illustrare come quella del plusmaterno sia una patologia sociale, culturale, politica pervasiva e mortale, non solo per i ragazzi ma per tutti, a tutti i livelli. Un fenomeno culturale e sociale che per essere contrastato richiede una partecipazione collettiva, una presa di consapevolezza personale e generale che rimetta gli adulti nelle condizioni di riscoprire il proprio ruolo e di restituire l'autonomia alle giovani generazioni. E con essa una idea di futuro possibile. Ringraziamo Laura Pigozzi per averci permesso di pubblicare un brano dal capitolo 4 del libro, Genitori a scuola. Allievi invasi, dedicato a quello che per noi e pensiamo per i nostri lettori è un tema cruciale, quello dell'istruzione e dell'educazione.
Genitori a scuola. Allievi invasi
All’inizio dell’anno scolastico, giornali e blog offrono consigli di esperti ai genitori in ansia; alcuni presidi scrivono loro lettere aperte; le mamme vengono intervistate sulle emozioni che hanno provato al primo giorno di scuola del loro figlio. Il riflettore non è più sul passaggio del bambino dalle mani della madre al sociale della scuola, ma resta sul genitore e sulla sua difficile gestione del distacco dal bambino. Il nodo cruciale è infatti diventato la separazione della madre dal bambino! Ma senza quella non può prodursi il distacco del bambino dalla madre. Ratificando il disagio genitoriale alla separazione, dandogli legittimità, si smarrisce il senso della scuola come dispositivo separatore del bambino dalla famiglia, ancor più indispensabile se il lavoro di auto-castrazione della madre non è stato fatto. La scuola ha una funzione di filiazione simbolica che protegge il bambino dalla simbiosi con la madre, soprattutto ora che il padre è evaporato. Se il discorso sociale non sottolinea a sufficienza la necessità – e la bellezza – di ogni passaggio d’indipendenza, il collettivo muore e la polis agisce contro se stessa.
Scrive Freud che la scuola deve creare nei ragazzi “il piacere di vivere e offrire appoggio e sostegno in un periodo della loro esistenza in cui sono necessitati dalle condizioni del proprio sviluppo ad allentare i loro legami con la casa paterna e la famiglia”. Compito della scuola, prosegue Freud, è “offrire un sostituto della famiglia e suscitare l’interesse per la vita che si svolge fuori, nel mondo”. La funzione della polis, incarnata in questo primo passaggio dalla scuola, è incaricarsi di liberare i figli dalle mani della madre. Più che sul contenuto, è su questa difficile “liberazione” che è chiamata a lavorare la scuola, prima istituzione che, in ordine di tempo, incontra il bambino. La scuola, però, canta da sola, senza un sociale intorno che, come un coro, intoni la stessa canzone. Ciò rende questa voce solista, per quanto intonata, troppo fragile per sostenere un compito che sembra diventato impossibile. Non discuteremo dell’organizzazione interna della scuola, dei suoi programmi, della qualità dei suoi insegnanti, questioni che esulano dal nostro compito, ma ci occuperemo dell’impatto che l’invasione dei genitori a scuola produce sulla struttura della trasmissione del sapere e sulla posizione soggettiva del figlio, lacerato tra le esigenze scolastiche di crescita e quelle familiari di controllo. La scuola è un luogo sociale e la società si colloca, per definizione, in un luogo Altro rispetto a quello familiare e – diciamolo pure – anche a un livello superiore, dato che si fonda su patti istituiti al di là della consanguineità, su accordi generatori di cooperazione tra dissimili. La scuola dovrebbe portare i ragazzi a livelli più interessanti rispetto a quelli già vissuti nel nido domestico, invece – grazie a varie riforme, solo in apparenza diverse – è diventata il prolungamento delle abitudini familiari di allievi che “non vanno traumatizzati” dislocandoli dalla comoda e rassicurante vita casalinga. E quando si riesce a produrre l’incontro con ciò che è diverso, l’avvenimento viene reso familiare, incluso, svuotato di ogni potenza sovversiva. Invece di distinguersi dai genitori, alla scuola è chiesto di assecondarli: tale rovesciamento perverso è avvenuto anche grazie alle direttive dello Stato che, per tagliare i costi, ha gettato la scuola in pasto alle famiglie, le cui pretese diventano, per l’istituto scolastico, sempre meno negoziabili.
La scuola-mercato
La scuola è costretta a obbedire a un mercato dominato dalle famiglie, principali acquirenti dei pof – Piani dell’Offerta Formativa – imbastiti per allettare i genitori a iscrivere i figli a un determinato istituto scolastico. Le famiglie sono diventate le intoccabili “clienti” della scuola, l’autoritè di cui la scuola deve tenere conto. Lo Stato dà meno soldi alle scuole, costrette quindi a reperire fondi sul territorio, cioè, in ultima analisi, dalle famiglie: sono i titolari delle aziende locali a sostenere una scuola cui lo Stato ha tagliato i fondi; di conseguenza, soprattutto nei piccoli centri, non sono altro che i genitori o i parenti degli allievi della scuola stessa. Un cortocircuito letale ha gettato la scuola in pasto alle famiglie, al loro potere e al loro denaro. Costringere la scuola a organizzarsi in forma privata per rastrellare risorse sul territorio indebolisce l’autonomia di tutti. Insieme a Portogallo e Grecia abbiamo diminuito la spesa per l’istruzione, mentre il resto d’Europa l’ha aumentata, nonostante bilanci pubblici non brillanti per nessuno. Che tipo di messaggio passa una scuola con preoccupazioni commerciali? Trasmette l’idea che lo stare sul mercato sia la prioritaà assoluta. […]
Chi controlla la scuola
La scuola, da vettore di autonomia e sviluppo, si è fatta culla per tutti e accoglie – per statuto e con molti riguardi – anche i genitori che hanno diritto di esercitare un controllo reale. Dice il preside Lorenzo Varaldo: "Cosa c’è di più seducente del dire ai genitori che potranno controllare la scuola? Cosa c’è di più seducente dell’introdurre due genitori nel Comitato di valutazione dei docenti, che dovrà fornire ai dirigenti scolastici i criteri per premiare gli insegnanti piú bravi e punire i meno bravi?"
I genitori hanno la facoltà di intervenire “a gamba tesa” sui temi d’insegnamento e sul modo di presentarli: una maestra elementare è stata oggetto di proteste perché ha osato insegnare ben quattro tabelline in un giorno; un’altra perché ha proposto verifiche troppo lunghe e una terza perché si è arrischiata a introdurre un nuovo argomento dal titolo “Complichiamoci la vita: addizioni col riporto”, che è stato percepito dalle genitrici come ansiogeno per i loro bambini! Come può un dirigente scolastico far fronte a proteste tanto insulse di cui, però, è obbligato a tener conto, perché anche i genitori sciocchi sono in grado di valutare gli insegnanti e di spostare un numero elevato di iscrizioni di bambini, a detrimento dell’economia dell’istituto di cui è il responsabile? Attraverso gruppi WhatsApp, alcune mamme influenzano altre mamme e orientano gruppi di genitori verso una scuola o l’altra e, anche per questo, i piani dell’offerta formativa spesso si riempiono di attività laboratoriali, piuùo meno utili, per allettare le iscrizioni.
I genitori a scuola occupano il cuore stesso della direzione scolastica: oggi a capo del Consiglio d’Istituto – il maggior organo di una scuola – ci sono sempre una madre o un padre investiti della carica di presidente! I posti simbolici sono confusi: dove inizia e dove finisce il ruolo del dirigente scolastico se una figura genitoriale presiede un organo di vertice come il Consiglio d’Istituto, cioè l’organo politico deputato a indicarne le linee-guida? Il preside fa funzione di capo dell’esecutivo, ma l’organo di potere che approva il programma annuale e decide dove collocare le risorse è governato da un genitore. Nonostante ciò, è sul dirigente scolastico che ricadono le responsabilità del funzionamento dell’istituto che di fatto, però, non dirige in maniera compiuta. Il genitore-presidente del Consiglio d’Istituto si incarica anche delle convocazioni di quest’organo che è costituito da 8 genitori, 8 insegnanti e 2 membri del personale di servizio. Insegnanti e genitori sono in numero equivalente in seno al Consiglio direttivo di un istituto: non stupisce dunque che ci siano rapporti burrascosi tra famiglia e scuola, dal momento che le due istituzioni sono costrette a una convivenza ossimorica, strutturalmente impossibile, essendo ciascuna di esse nata con finalità, funzioni, territori e competenze differenti. Risulta, inoltre, poco credibile che un genitore – spesso incapace di far rispettare regole minime di convivenza in casa, almeno a giudicare dai comportamenti dei ragazzi in aula – possa avere la statura etica che serve per dare valutazioni o gestire strumenti di controllo sui docenti del figlio. I padri, soprattutto quelli separati, a causa dei disguidi informativi di cui sono oggetto – la doppia comunicazione della scuola a entrambi i genitori non è ancora costume esteso – di fatto risultano gli unici genitori tenuti realmente fuori dalla scuola. Alcuni non hanno ancora il polso del cambiamento che la scuola sta vivendo, altri non sono d’accordo con questa nuova tendenza plusmaterna dell’istruzione e, quindi, ne restano ai margini: hanno sperimentato – già dai tribunali – che opporsi al materno è oggi compito impervio. Tuttavia, se un padre mantiene un atteggiamento di non invadenza può venire accusato di negligenza e disinteresse per l’andamento scolastico dei figli. Se è vero che i decreti delegati degli anni settanta hanno dato vita al Consiglio d’Istituto con il genitore a capo, è altrettanto vero che la cosa non ha mai dato seri problemi fino ai nostri giorni. Quindi la responsabilità di questo assalto alla scuola non è dei decreti delegati in sé, ma di qualcosa che è radicalmente cambiato nella posizione della famiglia e nelle sue pretese verso la scuola. L’invaso non è solo il corpo del figlio, ma anche il corpo docente.
Nelle mani della madre
Lo sviluppo psichico di un ragazzo non trae giovamento dal sapere che la scuola dipende dalla sua famiglia perché, in lui, si può insediare l’idea, nient’affatto evolutiva, che anche l’autorità scolastica si fondi su quella genitoriale. Una scuola indipendente sarebbe una garanzia anche per un figlio: gli sarebbe utile per capire che non tutto il mondo che lo circonda obbedisce alla madre, e che, anche lei, deve sottostare ai limiti definiti dal collettivo a cui entrambi appartengono. Se non c’è legge al di sopra della famiglia, tutto il mondo che circonda un figlio è nelle mani della madre. Il sociale è l’ultimo appello inconscio che resta a un bambino per una rettifica laddove si sia prodotto il fallimento della castrazione materna. Ma una scuola così concepita lascia i bambini senza protezione, in ostaggio del godimento familiare.
Ciascuno ha la necessità di sentirsi parte di un organismo piuù vasto di quello familiare, di una struttura più articolata che non necessariamente si accordi con ciò che si pensa in casa. La psicoanalisi conosce i fantasmi che nascono in famiglia e, dunque, è lecito chiedersi che senso abbia ampliare a dismisura la sfera d’influenza familiare se già sappiamo che del soggetto essa non offre che una versione da rielaborare. Il compito di ciascuno è quello di smarcarsi dalla famiglia invece che farsi rappresentare da essa. La famiglia a scuola non è solo un’illecita invasione, ma diventa il dispositivo attraverso il quale tutta una società si infantilizza. Viene il sospetto che implicare massiccia- mente le madri nelle attività extrafamiliari del bambino costituisca una compensazione al progetto di sottrazione di massa delle donne dal mondo del lavoro, ora che i posti disponibili sono più limitati. Il discorso sociale sembra suggerire alle neo-mamme l’idea che sia meglio restare a casa a seguire i bambini dimenticando che la funzione materna si articola in due tempi: un primo tempo in cui la madre abbraccia il bambino e un secondo in cui, aprendo le braccia, lo lascia andare. Forse la nostra civiltà tecnico-economica, in cui le fertilità sono passate dalla competenza della donna e della coppia alla competenza medica e alla manipolazione genetica – l’uomo e la donna ridotti alle loro cellule primitive – rende più fragile l’identità della madre. E così la madre esagera, eccede, si fa proterva, diventa plusmadre. Le madri implicate massicciamente nelle attività extrafamiliari del bambino non lasciano che un Altro sociale possa avere competenza su di lui, non riescono cioè ad affidarlo ad altre mani, come se il figlio vivesse fuori da un collettivo che, invece, fin dal momento in cui nasce, lo comprende. La recente polemica sui vaccini ha dimostrato che molti genitori considerano i figli come una proprietà privata, come oggetti propri, non come soggetti appartenenti a una comunità che si dà delle regole di convivenza. Alcune famiglie, socialmente incompetenti e contagiate dal fanatismo, invece di portare avanti un dibattito civile, o di organizzare una protesta per vie democratiche, hanno fatto interventi scomposti, totalitari e talvolta illegali, come quella madre che ha chiamato la forza pubblica per obbligare la scuola ad accettare il figlio che lei non aveva intenzione di vaccinare. I genitori contrari ai vaccini potrebbero formare gruppi di pressione, invece di mortificare pubblicamente un bambino che, come nel caso specifico, è stato costretto a restare fuori dall’edificio scolastico. Per sottrarsi all’obbligo delle vaccinazioni, diversi genitori hanno fatto la scelta dell’homeschooling, l’educazione parentale a casa di cui parleremo. Al di là dei privati convincimenti, è evidente che sui vaccini non esiste una parola ultima: la scienza è sempre un’ipotesi, ma è sulle ipotesi che noi organizziamo il mondo, almeno fino alla formulazione di una nuova teoria: “La scienza stessa altro non è che compito infinito”, scriveva Walter Benjamin. È solo il fanatico che crede di detenere l’ultima certezza, che non crede al “compito infinito” del sapere. Le posizioni più intransigenti e rigide – pro o contro vaccini – sono state una guerra di assoluti, di idealismi e di narcisismi. Non è stato abbastanza sottolineato il lato totalitario e antisociale del narcisismo. Il narcisismo è, nella sua struttura autoreferenziale, una infrazione al bene comune: “I tipi narcisistici”, ci ricorda Freud, “che siano esposti, nonostante la loro proverbiale indipendenza, a una frustrazione da parte del mondo esterno, hanno in sé una particolare disposizione alla psicosi, e presentano inoltre le condizioni essenziali per l’esplosione della delinquenza”. C’è un legame tra narcisismo, psicosi e anti-socialità: il lato psicotico del narcisista è totalitario. La società attuale, dopo aver promosso il narcisismo consumistico, si trova a non saper trattare, né riconoscere, il suo derivato radicalizzato: il narcisismo totalitario. È un tratto che appartiene a molti, in ogni ambito. Lo riconosciamo facilmente nei genitori che cercano un palcoscenico, enfatizzando il loro ruolo, imponendo al collettivo la loro visione ristretta. Considerando la salute della famiglia contemporanea, metterla al centro del sistema educativo non può che risultare folle e fallimentare.