[di Giovanna Zoboli]
Simona Mulazzani e io, fino a oggi, insieme, abbiamo realizzato sette libri illustrati: io scrivo i testi, lei fa le illustrazioni. Si può dire, un libro ogni due anni circa, di media. L’ultimo è del 2017, Gatto felice. Di solito non passano tre anni fra un libro e l’altro, perché c’è sempre un’idea che cova, pronta all’uso, appena abbiamo concluso l’ultimo albo. Non che sia tassativo avere un libro ogni due anni. E dietro non c’è un piano strategico particolare. Diciamo che finora è andata così, perché, più di ogni altra cosa, c’è sempre stata la spinta a proseguire questa collaborazione che è molto quieta, ma solida, che è a distanza – perché Simona sta a Pesaro, io a Milano -, e avviene senza nemmeno troppi scambi, anche telefonici. Si vede che funziona bene così, forse siamo telepatiche, sicuramente abbiamo due immaginari che insieme funzionano.
I sette titoli Zoboli-Mulazzani. L'ottavo che festeggiamo oggi è Un bravo elefante.
Dopo Gatto felice, però, nessuna nuova idea si è presentata all’appello per avviare un nuovo albo. Nessuno ci ha fatto caso o si è preoccupato, pensando che prima o poi sarebbe spontaneamente arrivata. Ma nemmeno dopo un anno dalla sua uscita, l’idea si era palesata. E questo, insomma, cominciava a sembrare un po’ strano. Infatti, a un certo punto, Simona mi chiese come mai non mi fossi ancora presentata con una nuova storia. Non avevo una risposta precisa.
Tutti i miei libri con lei, a parte i primi due, Filastrocca ventosa per bambini col fiato corto e Anselmo, sono nati da intuizioni venute guardando i suoi disegni, le sue illustrazioni. C’è sempre qualcosa, quando osservo il suo lavoro, che funziona da cellula madre, cioè qualcosa che, come spiega Leo Lionni nel suo mai abbastanza meditato Da dove vengono le idee, contiene in sé l’intero libro: è sufficiente metterla a fuoco e poi darle il tempo di svolgersi e crescere.
Questa immagine cellula madre, di solito, la noto fra molte altre per la forza magnetica che esercita. Quando la riconosco, e Lionni spiega bene come avvenga questo riconoscimento, la isolo, le faccio spazio e comincio a girarci intorno, finché riesco a far sì che da quel nucleo si sviluppi l’intera storia, attraverso un processo di tentativi e di errori guidato dalla scrittura stessa.
Nel luglio del 2018, l’idea era ancora di là da venire. Per una serie ragioni, in quel periodo decisi di trascorrere una settimana di vacanza a Fano: il mare casalingo della riviera adriatica e la bellezza delle cittadine e dei paesaggi delle Marche. Ogni mattina presto saltavo sulla bici e percorrevo la ciclabile che porta a Pesaro, 13 chilometri di beatitudine in riva al mare, con la brezza mattutina e nessuno ancora in giro.
Un giorno, visto che ero lì a godermi l’ozio pesarese, pensai di incontrare Simona. Oltre al fatto che mi faceva piacere salutarla, meditai che sarebbe stata l’occasione buona per farmi venire un’idea, visitando il suo studio e scartabellando fra le sue cose, in cerca di quell’idea che questa volta sembrava troppo timida per manifestarsi con la baldanza delle volte precedenti. E così feci.
Quella mattina costrinsi Simona a tirare fuori a tutto quello che, di nuovo e non, aveva nei cassetti, aspettando al varco la preda ambita. Ma niente, in mezzo alle immagini che mi mostrava, fra disegni, prove, schizzi, uno più bello dell'altro, niente pareva avere la facoltà di accendere la luce che mi sarei aspettata.
Metro to the moon and back, di Fabriano
Verso la fine della visita, quando ormai pensavo che il tentativo fosse stato improduttivo, Simona ricordò di avere una cosa che non mi aveva ancora mostrato e tirò fuori da un cassetto un’immagine che mi fece saltare sulla sedia. Si trattava di un elefante. Uno splendido, irresistibile elefante in camicia e pantaloni che, insieme a un gatto, a una giraffa e a un'oca, saliva su una scala: una illustrazione realizzata da Simona per il Metro to the moon and back, di Fabriano - quei metri che si appendono nelle stanze dei bambini per misurarne l’altezza man mano che crescono. Fu davvero una fulminazione. Suscitò in me un tale rimescolamento, una tale e immediata ubriacatura di contentezza che tornai a Fano sapendo che sarebbe stato di quell’elefante, su quella scala, che avrei raccontato nel nuovo albo. Infatti, scrissi la storia lì per lì, forse addirittura il giorno dopo l'incontro con Simona. Eleazar, quando lo vidi per la prima volta, non aveva nome, sono stata io a prendermi la briga di battezzarlo così: un nome che mi parve adatto perché in esso convivono azzardo, antichità e natura elefantina. Ecco, è in questo modo che è nato il libro che vedete: Un bravo elefante.
Schizzo di Simona Mulazzani per Un bravo elefante.
La storia di Eleazar si sviluppa in verticale, come ha suggerito, in modo ineludibile, l’immagine cellula madre: protagonista un giovane elefante che abita in una torre e, ogni mattina, per passare da una stanza all’altra, sale lungo una scala a pioli. Sarebbe stato più logico che, dalla stanza da letto alla cucina, scendesse anziché salisse, naturalmente. Ma negli albi illustrati, le case, soprattutto le case dove abitano gli elefanti, non seguono i consueti criteri della logica e sono edificate sulla base di princìpi architettonico poetici. Gli architetti delle case degli elefanti ragionano in un altro modo, insomma, e quando decidono come disporre le stanze, lo fanno in modo inconsueto perché, oltre ad avere uno spiccato senso dell'umorismo, conoscono bene quella inclinazione tipica dei pachidermi a farsi mediatori fra terra e cielo. Io e Simona ci siamo dovute adattare.
Schizzi di Simona Mulazzani per Un bravo elefante.
Eleazar fa parte di quella schiera di elefanti che, da molto tempo, popolano felicemente i libri illustrati per i bambini: animali meravigliosi che sfoggiano un’eleganza sopraffina, hanno un animo gentile e aspirano, più di ogni altra cosa, a librarsi senza peso sulle faccende della vita, circondati, naturalmente, dall’ammirazione generale. Se volete sapere quanto questi animali, poi, siano straordinari, ancora più straordinari di quelli di carta, vi consiglio di leggere Al di là delle parole (Adelphi 2015), del biologo Carl Safina, che dedica un’intera sezione del suo splendido saggio sull’intelligenza animale a questa specie miracolosa e, purtroppo, minacciatissima.
Schizzo di Simona Mulazzani per Un bravo elefante.
Schizzo di Simona Mulazzani per Un bravo elefante.
Illustrazioni definitive di Simona Mulazzani per Un bravo elefante.