[di Paolo Canton]
Benché mi vanti, con scarso fondamento, di sapere tutto, ma proprio tutto, su come si fanno i libri, non è raro il caso che, aprendone uno, mi domandi, pieno di meraviglia, come abbiano fatto a farlo. Poi, superano l’iniziale stupore, assumo un atteggiamento nonchalant e, a domanda, rispondo che certo, è evidente che quel libro è fatto così e cosà. Forse è per questo che mi è sempre piaciuto il personaggio di Gufo della saga di Winnie the Pooh.
Fatta la confessione, e confidando nell’assoluzione e in una penitenza non troppo severa, è venuto il momento di circostanziare. Perché, certo, ci sono un sacco di cose che non so della produzione libraria ma, in particolare, non so proprio un bel niente della produzione di libri pop-up. E potete immaginare la mia frustrazione di fronte alle straordinarie, meravigliose produzioni che i miei colleghi editori hanno proposto negli ultimi quindici anni.
Dico quindici anni non a caso: il 1 ottobre 2005, infatti, vide la luce la prima edizione di One Red Dot di David A. Carter (Simon & Schuster). Ve lo ricordate? In Italia lo pubblicò simultaneamente Franco Cosimo Panini, con il titolo …e un punto rosso (e vinse meritatamente il Premio Andersen come Miglior libro fatto ad arte in quello stesso anno). Fingeva di essere un libro per imparare i numeri, ma era un’esplosione di sculture astratte geometriche tridimensionali fra le quali si nascondeva un puntino rosso che i lettori erano invitati a cercare. Una delle cose più sorprendenti era che l’inevitabile scricchiolio che deriva necessariamente dal dispiegarsi dei meccanismi di carta veniva usato per creare anche effetti sonori.
Quattro anni dopo, accadeva di nuovo qualcosa di straordinario: due studenti dell’ESAD di Strasburgo, Anouck Boisrobert e Louis Rigaud, sotto la guida di uno dei migliori e più fantasiosi book designer della nostra epoca, Gérard Lo Monaco, hanno realizzato Popville, pubblicato dalla parigina Hélium. In questo libro (proposto successivamente in Italia da Corraini) i meccanismi sono utilizzati per raccontare l’evoluzione di uno spazio umano: come, intorno a una cappelletta di campagna, si sviluppa una comunità e come questa comunità cresce fino a diventare una moderna megalopoli. Una storia già raccontata più volte (rammentiamo il meraviglioso Alle Jahre wieder saust del Presslufthammer nieder oder Die Verändungen der Landshaft, pubblicato nel 1973 da Sauerlander in forma di portfolio, riproposto l’anno successivo da Emme Edizioni in forma di albo, con il più maneggevole titolo di Dove c’era un prato) ma che qui assume particolare forza poiché la tridimensionalità e l’animazione contribuiscono all’effetto scenico e mettono in mostra tutto il fascino e la bellezza di una delle pulsioni umane più primitive: costruire.
A guardare questi libri, e i molti che li hanno succeduti e imitati, portando a una vera e propria rinascita del libro animato, penso che a molti venga quell’allegro pizzicore alla punta delle dita che annuncia il desiderio di cimentarsi in un’attività creativa manuale. Io personalmente, come rappresentante della specie homo faber, ma anche come editore, mi sono sempre però arreso all’apparente complessità di questa modalità di costruzione. Mi mancavano i fondamenti e non avevo idea di quale fosse il punto dal quale cominciare e quale il modo di procedere.
Non dico che Pop-up. Manuel Élémentaire, di Anne Goy e Nadia Corazzini (Les Grandes Personnes, 2019) sia la soluzione definitiva al problema della progettazione, della prototipazione e della realizzazione di libri animati tridimensionali, ma indubbiamente aiuta. Anzi, finalmente aiuta. Perché i manuali di paper engineering (così si chiama la disciplina) ci sono sempre stati, e anche più dettagliati e approfonditi di questo. Ma qui la differenza è che il manuale su come fare i pop-up è a sua volta un pop-up.
Lo apri e, invece di trovarti spiegazioni particolareggiate di come fare, con schemi, tracciati, disegni e apparati teorici, ti salta fuori dalle pagine o dalle bandelle un bell’esempio.
Come tutti i manuali propedeutici, anche Pop-up comincia proprio dalle basi. Gli ingredienti per tutte le ricette sono pochi e semplici: la piega mediana, la piega valle e la piega monte; ma tutto si articola intorno alla piega mediana, meccanismo primordiale che mette in moto il dispiegarsi delle meraviglie con la propulsione del semplice gesto di aprire una pagina. Anche gli strumenti sono limitati, e le tecniche chiare e ben descritte con schemi grafici efficaci.
Insomma, è un po’ come un libro di cucina di quelli veri, di quelli buoni. No, non confondiamo le carte in tavola: non un repertorio di ricette ma un libro che espone i principi cardine dell’arte e lascia poi alla fantasia del lettore (cuoco o grafico/illustratore) l’allestimento di preparazioni personalizzate.
Ho il timore che ci attendano ancora alcune settimane di tempo dilatato, fra clausura obbligatoria e progressiva rimozione dei limiti al movimento e alla socialità. Sarà una magra consolazione, ma dedicarsi all’apprendimento delle tecniche di una nuova, affascinante arte potrebbe essere un ottimo investimento. Il libro, se lo volete, lo trovate da Spazio Bk. Ne ha sedici copie: cerchiamo di fargliele esaurire? Lo trovate qui e ve le spedisce in tutta Italia.