[di Silvia Vecchini]
Qualche giorno fa Topittori mi ha chiesto di poter condividere su questo blog questa intervista tratta dal settimanale Sabato Sera del 26 marzo 2020, dal titolo Oltre Casa Piani, dialogo con Silvia Vecchini / 8, realizzata da Valter Baruzzi, pedagogista, docente e narratore. Ringrazio il settimanale che me lo ha permesso. All’intervista ho voluto aggiungere alcune mie riflessioni su queste giornate di clausura casalinga e su come adulti e bambini possano condividerle.
«Adulti spaventati dal virus, i bambini hanno soluzioni»
Silvia Vecchini in febbraio ha trascorso due giorni a Imola, incontrando ragazzi e ragazze degli istituti comprensivi 6 e 7, insegnanti e genitori a Casa Piani, al Mosaico, a Book City e presso le scuole coinvolte. Poeta, autrice di libri per ragazzi - alcuni insieme al grafico e disegnatore Sualzo - e di saggi che raccontano e approfondiscono la sua esperienza laboratoriale con bambini e ragazzi. Silvia fra i suoi legami con Imola ha anche quello di aver realizzato alcuni libri di successo con la casa editrice Bacchilega Junior.
Da queste note si evince che conosce i luoghi imolesi di produzione e diffusione della letteratura per ragazzi e la passione di chi vi lavora. In febbraio Vecchini ha proposto alle classi laboratori di scrittura creativa e con gli adulti ha dialogato sul rapporto fra poesia, albi illustrati e vita interiore dei bambini, tema che ha approfondito nel suo saggio Una frescura al centro del petto. L’albo illustrato nella crescita e nella vita interiore dei bambini, edito nel 2019 da Topipittori.
Da dove nasce questo tuo interesse?
Ho spesso occasione di incontrare bambini e ragazzi in tutta Italia. Si tratta di situazioni molto varie, che mi consentono di leggere ad alta voce, scrivere insieme, rispondere a domande e anche riflettere con loro. Questo mi dà la possibilità di ascoltare e accogliere i loro pensieri.
Che cosa significa accogliere?
Che ogni idea ha diritto di cittadinanza e i loro pensieri vengono ascoltati senza alcuna intenzione valutativa. In questi momenti molto spesso i bambini pongono quelle domande che riguardano i grandi temi della vita, che hanno una dimensione spirituale.
Come si pongono gli adulti di fronte a questi temi?
Sono spesso in difficoltà. Qualche volta perché non vogliono precocemente orientare i piccoli verso una risposta religiosa. Ma la prospettiva religiosa è una delle possibili risposte, mentre le grandi domande sulla vita vengono prima delle risposte e se ne può parlare in una prospettiva laica.
L’età dei perché è ricca di aneddoti.
I perché sono il segno dell’intelligenza dei bambini che si interrogano e ci fanno domande… da scienziati (siamo più forti noi o i virus?), da filosofi (perché si muore? dov’ero prima di nascere?) o da economisti (perché vai a lavorare?). Sono il segno di una vita interiore ricca.
Molti adulti rinunciano ad entrare in sintonia coi piccoli, su questo piano.
È un errore. Evitare la dimensione spirituale significa non rispettare l’intelligenza, la curiosità e la sensibilità dei bambini, che vogliono capire. Le loro domande sono difficili e spesso si sottovalutano o si alza un muro.
Con quali conseguenze?
È come dir loro che la spiritualità non è importante, non serve per vivere. Così si ignora una grande occasione per condividere il dubbio come realtà esistenziale, ma anche la consapevolezza che ci sono cose che non si sanno e che richiedono una ricerca personale che, se avviata da bambini, tornerà utile nell’adolescenza come abito mentale e culturale.
Come si fa ad accettare questa sfida? Nel tuo saggio dedicato alla spiritualità, proponi un itinerario.
Sì, oltre alla disponibilità all’ascolto e a dedicare attenzione ai bambini e alle bambine, propongo albi illustrati attenti alla dimensione spirituale. Quando li si sfoglia insieme ai piccoli, consentono agli adulti di porsi in un atteggiamento di ascolto, di rilancio di domande e di dialogo attento ai pensieri dei bambini, all’ascolto del mistero della vita. Ma non solo.
Cosa altro vedi in questo?
Le domande dei bambini, nel momento (che poi passa) in cui le rivolgono agli adulti di riferimento, sono un aiuto per riattivare anche in noi le grandi domande di senso. È come se la loro ricerca appena sbocciata andasse a rivivificare la nostra. È una grande opportunità per gli adulti di mettersi alla scuola dei bambini, veri investigatori del mistero della vita.
Il clima che le famiglie vivono chiuse in casa, per evitare il contagio da Coronavirus, potrebbe favorire un atteggiamento coerente con la tua proposta?
In questo momento siamo tutti molto spaventati e confusi. Cerchiamo subito risposte, anche per i nostri bambini che siano figli o alunni. Ma usare la frase “andrà tutto bene” con l’arcobaleno sullo sfondo non mi ha proprio convinto. Capisco la preoccupazione e l’intenzione di tutelare i bambini, ma così facendo non rispettiamo la loro intelligenza. Ci sono molti malati, ci sono morti, l’economia è in crisi, per molte persone non va e non andrà tutto bene. Questo clima lo avvertono, ci stanno osservando e vedono la nostra fragilità. Non è scrivendo “andrà tutto bene” che loro si tranquillizzano, a mio avviso. E non tocca ai bambini dirlo, scriverlo, colorarlo perché sia più scenografico. Sono gli adulti a dover trasmettere un messaggio positivo facendo gli adulti: rispettando le regole, incoraggiando con la propria presenza il più possibile equilibrata e serena. I bambini per natura sono ottimisti e sperano sempre con tutte le forze che vada bene. Ma occorre stare al loro fianco con onestà.
Cosa si potrebbe dire?
Non si tratta certo di dire “andrà male”, ma si può riconoscere che viviamo un momento di difficoltà, che ci sono dei problemi, ma la famiglia è unita, insieme si rispettano le regole e ci si impegna per evitare il contagio. E poi è meglio evitare di stare sempre di fronte alla Tv, al computer o col telefono in mano. L’adulto è chiamato a fare l’adulto, a contenere intanto le proprie emozioni, filtrare le notizie e scegliere di volta in volta che cosa dire. E soprattutto a pensare e non riversare sui bambini qualcosa che non ha ancora sufficientemente meditato per sé stesso.
E quindi?
Con i più piccoli: «Eccomi sono io con te, ti prendo in braccio e ti leggo un libro», oppure… «facciamo un gioco, mi insegni tu un gioco, mi racconti tu una storia?». I bambini fanno delle domande non banali, hanno pensieri grandi e grandi risorse. A loro modo possono indicarci anche alcune soluzioni. Come rallentare, stare più vicini e prendere sul serio la loro intelligenza.
*
Questo è lo scambio con Valter Baruzzi uscito sulle pagine di Sabato Sera.
In questi giorni ho continuato a stare dentro questi pensieri perché le cose cambiano velocemente (cambia la nostra esperienza dei divieti, cambia l’umore, aumenta la fatica, pare di abituarsi e poi ci si ritrova insofferenti…) e allo stesso tempo rimangono uguali (il nostro essere chiusi in casa e l’impossibilità di fare le cose che amiamo e che ci porterebbero fuori e a contatto con gli altri).
Quello che più mi interessa è il legame tra adulti e bambini e la possibilità che in questo periodo possa esserci qualcosa da cogliere, nonostante tutto. Personalmente, un soccorso non piccolo mi arriva da alcune poesie che incontro, non scritte per questi giorni ma che mi sembra che abbiano qualcosa da dire anche su questi giorni e su questi giorni con i bambini.
Uno degli aspetti che questo momento mette più a fuoco è il nostro rapporto con il tempo. Intanto, il passare dei giorni. Senza il tempo scolastico, le mattine, le sere, i giorni feriali, i festivi rischiano di somigliarsi tutti. Da sempre sta agli adulti separare/congiungere, cucire insieme i giorni e allo stesso momento distinguere un giorno dall’altro.
Separare congiungere
spargere all’aria
racchiudere nel pugno
trattenere
fra le labbra il sapore
dividere
i secondi dai minuti
discernere nel cadere
della sera
questa sera da ieri
da domani
[Goliarda Sapienza]
Ma è non soltanto questo. Sganciato da quello produttivo, il nostro tempo ci sembra fermo, sospeso, vuoto. Tuttavia, invece che avvicinarci per guardarlo come qualcosa di nuovo, può succedere di fuggirlo o di correre a riempirlo.
«Quando avrò tempo» dico
e so che non l’avrò:
mai l’afferro o lo fermo,
non mi sta in mano il tempo,
palpita stride becca vola via.
E io che intanto
ingombro questa casa come un bimbo
che sparge intorno i giochi
e di far ordine non è mai il momento
e nemmeno è capace, se non viene sua madre.
[Anna Maria Carpi]
Finisce che gli adulti somigliano ai bambini che non vogliono mettere in ordine i propri giochi. Non per pigrizia o capriccio. Ma perché non ne sono capaci.
Può accadere in queste settimane di trovarci così. Troppo tempo, l’illusione di averne e di consumarlo con tante cose, una dopo l’altra, una sopra l’altra. In questo modo, nella casa che abbiamo dentro, c’è una grande confusione. E la mamma che dovrebbe venire, non viene mai perché siamo noi. Anche questo influenza il nostro modo di stare con i bambini. Forse per stare meglio con loro, prima dovremmo rimettere un po’ in ordine i nostri giochi così da fare spazio al vuoto. E stare, rimanere.
Anche sentirci colpiti, feriti da questo tempo, ma estrarre la freccia, non rimproverare nessuno, stenderci. Come in una poesia di Chandra Livia Candiani che un’amica mi ha ricordato in questi giorni.
Estrai la freccia
non rimproverare nessuno
ma stenditi
come fa la bestia ferita
con il cielo
e non pregare nemmeno
solo conta conta i respiri
come fossero monete
per passare oltre te,
l’orizzonte opaco
del nome.
Non anticipare
niente, non essere
a proposito, abìtuati
all’improvvisazione musicale,
a farti invisibile
nota tra le note,
vuoto capace
di urlo, di riconoscimento:
ecco, a casa
si sta così.
Il tempo vuoto può essere un tempo buono anche per i bambini. Le cose che si dicono sulla noia non sono invenzioni romantiche ma affinché la noia faccia il suo lavoro, porti i suoi frutti a servizio dei bambini, serve che anche l’adulto l’accetti. Certo che sono utili i consigli, le proposte, le attività che sono fiorite in questi giorni ma senza farsi tirare e strattonare da una parte e dall’altra in ogni momento. I bambini non vanno per forza e sempre intrattenuti, distratti. Anche la modalità con cui accediamo alle proposte è in sé stancante, assorbe tante energie e non è paragonabile allo stare faccia a faccia con qualcuno. Lo sperimentiamo noi, vale per loro.
Il tempo vuoto invece può farci ritrovare accanto ai bambini. Di fronte a loro. Occhi negli occhi. Anche con le mani vuote e senza qualcosa di prestabilito da fare. Anche senza istruzioni. La via ce la indicheranno i bambini. Per capirlo basta cadere dentro un gioco o una storia, senza fare finta. Ne parlo spesso quando sfoglio con gli adulti un albo bellissimo, Le fate formiche di Shin Sun-Mi edito da Topipittori.
«Una madre accudisce il suo bambino malato; quando alla fine, per la stanchezza, si addormenta, il bambino si sveglia. Intorno a lui ci sono piccoli esseri perfettamente abbigliati che conversano e lo circondano di cure premurose: sono le fate formiche. Le fate formiche rivelano al bambino di conoscere sua madre da quando era piccola. Gli raccontano di una piccola storia di amicizia e di crescita, di un anello regalato. Quando la madre si sveglia, il bambino è guarito; le fate appaiono di nuovo e riportano la madre al tempo della sua infanzia» [dal sito della casa editrice].
Ne ho scritto anche nel mio libro perché, insieme a tante altre cose, è un esempio di incontro adulto-bambino davvero luminoso. L’oggetto magico che fa accadere questo è un anello. E quando leggo questo albo torno sempre a una misteriosa e bellissima poesia di Ida Travi.
Il bambino e l'animale
sembrano fratelli, sono uguali
aspettano così tranquilli
Li chiamo, e non girano la testa
sono d'oro, sono nel tempo d'oro
io non li stacco dalla loro eternità
Dovrebbero farci scuola, dovrebbero
dirci cosa c'è nell'oro
perché io l'ho perduto l'anello
e tu?
I bambini sono davvero nel tempo d'oro. Occorre che ce lo ricordiamo noi che abbiamo perso l'anello. Così da poterli ancora incontrare davvero. Non è così strano. Succede quando siamo con loro con tutti noi stessi. Questo i bambini lo riconoscono. Colgono un guizzo diverso del nostro fare, pensare, parlare, inventare per loro.
Ho letto con grande interesse e sollievo un’intervista di Chandra Livia Candiani in cui la poetessa dice di considerare questo tempo «non una sospensione dalla vita», piuttosto il suo opposto, «quintessenza dell’osservazione di cosa sto facendo della mia esistenza, del mio pensiero, del mio tempo, di quello che conta e di quello che è superfluo, delle relazioni buone e di quelle che non nutrono o fanno danno. Di come ricevo il mondo e di cosa gli porto in dono» [da un'intervista al magazine 7 del Corriere della Sera in edicola il 27 marzo].
Forse accogliere questo tempo e farci trovare anche dai bambini a mani vuote, può permetterci di ricevere il loro mondo e portargli qualcosa in dono.
Forse c’è un anello da indossare e un tempo d’oro pronto a farci scuola. Un’improvvisazione musicale che possiamo tentare.