Intervista a Sergio Ruzzier
[di Giulia Mirandola]
Sergio Ruzzier, immagine tratta da Gli uccelli (Despina, 2002).
Con la voce delle parole raggiungo Sergio Ruzzier nella sua casa di Montalto Vecchio, in provincia di Modena. Vent'anni fa circa la piccola casa editrice Despina pubblicava in Italia Gli uccelli, ma l'editore che lo ha fatto conoscere e lo ha reso popolare nel nostro paese è Topipittori, il quale dal 2015 pubblica ogni anno un nuovo libro di Ruzzier. Ciascuno è un capolavoro. Le sue storie sono pubblicate, inoltre, da La Grande Illusion, Bompiani e Nuages.
Sergio Ruzzier è un autore e un illustratore, ma è anche tante altre cose. Per esempio è una persona in grado di usare frasi semplici per esprimere questioni non semplici. Da come parla di paesaggio e da come lo disegna, si sente che non lo contempla, bensì ci vive dentro e lo fa essere la casa dei suoi personaggi. Ruzzier è vissuto a Milano, a New York, adesso abita in cima a una collina, in un borgo di quattro case e quando ha voglia di latte fresco va a comprarlo direttamente dal contadino.
Sergio Ruzzier, immagine tratta da Fox + Chick. La festa e altre storie (Topipittori, 2018).
Sergio Ruzzier, immagine tratta da Una lettera per Leo (Topipittori, 2015).
Sergio Ruzzier, immagine tratta da Guarda sotto il letto se c'è della poesia (Topipittori, 2020).
G: Che paesaggio vedi in questo momento davanti a te?
S: Oggi dalla parte dei monti c’è una nuvola piatta che sembra un mare di latte. In questi giorni mi trovo a pensare al mio rapporto con il paesaggio. La prima cosa alla quale penso sono i paesaggi immaginati, poi vengono quelli veri. Forse perché io sono nato a Milano negli anni Sessanta e ho sempre guardato il paesaggio da un appartamento, un paesaggio fatto di brutti palazzi. Vivo qui, nella provincia di Modena, dal 2018. Prima ho abitato ventisette anni a Milano e ventiquattro anni a New York. L’unico paesaggio di cui mi sono circondato per gran parte della mia esistenza è quello urbano delle grandi città. A New York c’è molto più cielo che a Milano. Da ragazzino abitavo in un palazzone di nove piani e andavo sul tetto per scorgere le Alpi. Per arrivare al tetto dovevo scassinare la cassetta di metallo che custodiva la chiave. Da lassù era bello vedere le montagne.
G: Qual è il primo ricordo associato a un paesaggio diverso da quello metropolitano?
S: Il primo paesaggio naturale che ho sperimentato del quale ho memoria è la Val Serina, in provincia di Bergamo. Lì sentivo le campane e i latrati dei cani. All’epoca ero piccolissimo, sono ricordi che risalgono a cinquant’anni fa. Adesso qui in Appennino è simile ad allora: sento quello che non vedo e trovo che ciò sia molto affascinante. Mi piace particolarmente il suono delle campane, inoltre qui c’è una chiesa che non usa l’impianto elettro-automatico. Si sentono anche gli asini ragliare.
G: Qual è il tuo paesaggio ideale?
S: Sono più di uno. I paesaggi disegnati dai pittori senesi del Trecento, penso a Simone Martini e ad Ambrogio Lorenzetti in particolare. L’Arizona che fa da scena alle strisce a fumetti di Krazy Kat di George Herriman. Il deserto del Sud Ovest degli Stati Uniti delle storie di Popeye che leggevo da ragazzino nelle riviste di fumetto Linus e Il Mago. La prima volta che sono stato in Toscana, in particolare nella Val d’Orcia e nel Senese, ho capito di essere giunto in un luogo che sentivo e sento essere la mia terra. Non avevo mai visto, né avevo mai fatto parte di un paesaggio ai miei occhi più bello.
Immagine tratta dal ciclo di affreschi L'Allegoria ed Effetti del Buono e del Cattivo Governo di Ambrogio Lorenzetti, Palazzo Pubblico di Siena, 1338-1339.
Simone Martini, Guidoriccio da Fogliano, Palazzo Pubblico di Siena, 1330.
G: Cosa ti ha spinto a trasferirti in Appennino?
S: Credo una certa stanchezza per la città. Sento di essere fortunato a non trovarmi lì, ora, in questo periodo di pandemia, tanto complicato soprattutto nelle metropoli. La casa qui è grande. In città avevo l’impressione di invecchiare male, ero stanco fisicamente e mentalmente. Abitavo a Brooklyn, una zona di New York che sta cambiando velocemente, in peggio e, sembrerebbe, senza regole. C’è una speculazione pazza, questo mi lascia molta amarezza. A Manhattan da un decennio costruiscono palazzi stretti e altissimi che rovinano completamente l’aspetto della città.
G: Cosa c’è qui che a New York non c’è?
S: Spesso, prima di trasferirmi in Italia, andavo in vacanza da amici ad Anghiari, vicino ad Arezzo, un luogo meraviglioso. E stavo bene. Stare tra le pietre vecchie in un paesaggio non moderno ho scoperto che mi fa bene anche quando non sono in vacanza. Qui nell’Appennino modenese mi sono sentito subito a casa. Abito in un edificio del Cinquecento con una vista a trecentosessanta gradi su luoghi che non mi erano affatto famigliari prima di qualche anno fa. Quando mia moglie Karen e io abbiamo iniziato a cercare una casa in campagna, abbiamo proiettato questo desiderio in una località che fosse vicina a Bologna. Al principio abbiamo cercato lungo la Porrettana, perché lì c’è il treno. A Montalto Vecchio, dove ci siamo poi stabiliti, i servizi di trasporto pubblici sono pessimi e se desidero spostarmi devo usare l’auto, cosa che per me è una novità, essendo stato tutta la vita un ciclista urbano.
Sergio Ruzzier, immagine tratta da Fox + Chick. Un giretto in barca e altre storie (Topipittori, 2019).
G: Dove si trova Montalto Vecchio? Quanti abitanti ha?
S: Siamo nel Comune di Montese, in un borgo davvero di quattro case. La prima è disabitata; la seconda è di proprietà di persone che vengono solo per le vacanze; la terza è quella dei nostri vicini, un’abitazione ricavata da una stalla e hanno l’unico ristorante pizzeria della zona, tra l’altro molto buono. Lei è tedesca, lui è italiano, prima di stabilirsi qui abitavano in città, come me e Karen. Questa è la zona del Parmigiano e delle famose patate di Montese, deliziose patate di montagna. Per fare la spesa e comprare i giornali andiamo a Zocca, a circa 8 km da qui. A piedi raggiungiamo i caseifici, lì ci riforniamo di ricotta. Mi piace da matti il latte crudo, me lo vendono direttamente i contadini. Anche le uova me le bevo crude come facevo da bambino.
La vista dalla casa di Sergio Ruzzier a Montalto Vecchio.
G: Che cosa è cambiato nella tua quotidianità in seguito all’emergenza sanitaria?
S: La pandemia, qui, la viviamo in questi termini. Spesso andavamo a Bologna e ora non lo possiamo fare con la stessa libertà. Qualche mese fa avevo un libro finito, avrei dovuto spedire gli originali negli Stati Uniti, ma per utilizzare Federal Express sarei dovuto uscire dal mio Comune e rischiare di prendere la multa. Sulle regole c’è stata molta confusione e tutto lasciato secondo me un po’ troppo all’interpretazione. Una cosa molto positiva che coincide temporalmente con il periodo della pandemia, è legata a un elemento di questo paesaggio. Dietro casa c’era un pendio impraticabile, pieno di rovi e detriti, ma un poco alla volta l’abbiamo un po’ trasformato in terreno coltivabile, con due terrazzamenti. Adesso c’è anche un campo da bocce.
G: Cosa ti trasmette il paesaggio che ti ospita?
S: Qui mi sento vicino, per la prima volta, al tempo naturale. Vedo il sole sorgere, vedo il sole tramontare. Questa è terra di caprioli, cinghiali, volpi, tassi, ramarri, ghiandaie, gazze, rapaci, upupe, lupi. Un amico farmacista aveva delle pecore e il lupo le ha sbranate. Noi abbiamo tre gatti. Un amico mi ha detto: «Hai trovato la casa che avresti disegnato tu.»
Sergio Ruzzier, immagine tratta da Due topi (Topipittori, 2016).