[di Elena Lunardi*]
Alcune settimane fa, Claudia (maestra della scuola dell’infanzia in pensione e amica) mi ha invitata a Mantova per fare un laboratorio legato alle istallazioni di yarn bombing realizzate da lei e dalle persone da lei coinvolte nel progetto. Un pezzo di Mantova, per tutto il mese di settembre, si è vestito di colore. Sarebbe bello, ho pensato, che lo restasse anche dopo.
Letteralmente la traduzione in italiano di yarn bombing è: bombardamenti di filati. Si tratta di una forma di street art: manufatti a maglia o all’uncinetto con cui si decorano e rivestono superfici e arredi urbani.
Interessante, rifletto pensando al nome: bombardare con fili. L’espressione evoca grandi e piccoli che si tirano gomitoli di lana colorata che poi si srotolano e fanno un gran garbuglio, un nido dove immagino di tuffarmi. La mia fantasia divaga come sempre, ma, tornando allo yarn bombing, il suo obiettivo primario, se così possiamo definirlo, potrebbe apparire quello di abbellire strade e piazze con opere fatte a mano. Ma è davvero tutto qui? La riflessione che si apre è un’altra: riuscire a vedere il pensiero che si nasconde dietro al risultato.
E io vedo un percorso in cui le mani con pazienza hanno costruito pian piano e lentamente, perché se si sbaglia un punto, bisogna tornare indietro, disfare, rifare… Se annodo il mio filo a un filo di un altro colore, cosa succede?
I fili mi ricordano le relazioni. Si costruiscono pian piano. A volte, se si va troppo di fretta o si fa poca attenzione, può succedere che qualcosa diventi un ostacolo, un nodo, o che si faccia un buco. Ma il nodo è veramente solo un ostacolo? E gli intrecci dei fili sono sempre ben tesi? Come si può riparare un buco, uno strappo?
I fili mi ricordano la vita. Fili diversi, di lana, di stoffa, fettuccia, lana cardata, fili di rafia, di cotone. Fili che tengono, che si tengono, che ci sostengono o che si sfilacciano fino a spezzarsi: proprio come le relazioni. E se un filo si rompe e lo riannodiamo, cambia? Costruiamo qualcosa di nuovo. Ricominciamo.
Per me il filo è simbolo di percorso, viaggio, legame, accoglienza dell’altro e di noi stessi, da qui deriva l'idea, tempo fa, di costruire intorno a loro e ai loro sgnificati alcuni laboratori da proporre ad adulti e bambini.
Anche i libri per me sono un filo da tenere in tasca e srotolare. Fili e libri hanno tabto a che vedere. L’inizio di una storia è un filo che annodo alla storia di qualcun altro. Il mio filo ha un colore, è di un certo materiale, ma se lo unisco a quello di qualcun altro, faccio un nodo (che leggo come possibilità): unendo filo a filo, le storie e i fili, nostri e degli altri, diventano parte della nostra vita. Il filo sono io e io sono una storia. Ne sono portatrice. Ho ricordi d’infanzia, vissuti personali. A volte la nostra mente sbarra la porta, ci sentiamo confusi, i fili delle nostre storie sembrano perdersi.
Succede, però, che a volte qualcosa li faccia riemergere. Il nostro prima riprende forma: il nostro c’era una volta. Tra i diversi albi che ho usato durante i miei incontri e laboratori, due in particolare hanno risuonato in me, mentre li preparavo. Quando entro in un albo, questo diventa una parte di me. È come stare dentro a un bosco, ma senza perdersi.
L’uomo dei palloncini di Giovanna Zoboli e Simone Rea abita con me da molto tempo. L’ho guardato tante volte e letto e osservato: «L’uomo dei palloncini è stato un bambino molto tempo fa. Così tanto che nessun bambino può immaginarlo. L’uomo dei palloncini, infatti, viene da quel tempo favoloso di cui tutti i bambini hanno sentito parlare: il tempo che c’era prima di loro.»
Anche C’era una voce di Alessandra Berardi e Alessandro Gottardo, sta da tempo insieme a me. La prima volta che i miei occhi ci si sono posati, ho pensato alla gratitudine.
Dio si tuffò coi piedi.
L’onda salì alla vita
E da quel bagno- vedi-
Ebbe vita la vita.
Prima di nascere abbiamo già intessuto la nostra esistenza di legami importanti. Siamo già portatori di sogni, rumori, voci, movimenti, pensieri. Quando nasciamo ci affi-diamo all’altro. In questo modo nasce un cerchio. Se l’adulto è in ascolto, saprà vedere il palloncino che ci appartiene: «…una stella, un orso bianco che guarda lontano, un fiore, un leopardo…»
Se l’adulto è in ascolto, saprà avvicinarsi al mondo bambino ed entrandovi, potrà sperimentare la sua profondità e risalire alla superfice, avendo imparato a guardare le cose da un’altra prospettiva, e a utilizzare parole preziose per entrambi.
L’uomo dei palloncini, difatti, è stato bambino molto tempo fa. Lo siamo stati tutti e ce ne dimentichiamo. Stare con i bambini è andare in quel prima. Solo così potremmo accogliere ogni risorsa e talento e non limitarci a vedere che limiti e mancanze.
Siamo stati in quel prima. Ogni storia è come un filo che si intreccia a quello di un altro. I legami nascono, esistono, si trasformano, cambiano e ci rendono riconoscenti. Di quel prima che è dentro di noi, del presente che è la vita. Dio si tuffò con i piedi e da quel bagno ebbe vita la vita.
Un laboratorio sul filo quindi si può sviluppare in più percorsi. Può essere importante per parlare di legame, accoglienza, attesa, diversità, della nostra storia, e per trovare le parole che dialoghino insieme a quelle degli altri.
Si può ricorrere alla simbologia del filo per creare un laboratorio che inneschi una riflessione sull’essere e lo stare, sul rapportarsi, sulle relazioni, sulle storie che si dipanano come fili di diverse consistenze, come ciò che accade e che incontriamo nella nostra vita. Siamo un frammento di filo, troviamo una parola, la uniamo alle parole degli altri e facciamo nascere una poesia.
Si può lavorare sul filo come strumento e ponte per fare riflettere su tutti questi concetti e per dare avvio ad attività in cui il suo utilizzo sia protagonista. Qualche esempio:
- per costruire di un libro dove è punto di partenza per giocare con la fantasia e raccontare una storia;
- per promuovere un lavoro sul corpo;
- per avviare attività apparentemente singole, ma che sfociano in un lavoro di gruppo;
- per creare percorsi sulle relazioni: passarci in mezzo, passarci sopra, passarci sotto;
- per realizzare ritratti;
- per cucire la propria visione dello stare con gli altri.
Filati e tecniche di cucito e di ricamo sono stati spesso adottati come tecniche di illustrazione. È interessante mostrare, allora, i libri e gli albi in cui il filo diventa l’illustrazione stessa: Tous emmitouflés di Marie-Noëlle Horvath (La Joie de Lire), Profili (Edizioni Fulmino), Douze di Gwen Le Gac (Actes Sud), Nel Paese delle Pulcette di Beatrice Alemagna (Phaidon), Moi J’attends di Davide Calì e Serge Bloch (Sarbacane), Il Rammendo di Isol (Logos).
Poiché promuovono uno sguardo aperto e un ascolto sincero da attivare nella relazione con i bambini, i laboratori sul filo e sugli albi che conduco insieme agli adulti sono esperienze formative che spesso, successivamente, vengono portate in diversi contesti educativi.
Per concludere: i fili intrecciati mi ricordano anche un nido. Un nido si costruisce con amore e pazienza. Ci vuole tempo, un nido è una casa ed è fragile. E quando accogliamo nel nido, abbiamo cura. Come nell’incontro con noi stessi e con l’altro. Fare casa. Essere casa. Un nido accoglie e lascia partire.
Nella vita, a scuola, abbiamo bisogno di incontrare gli altri. E di fare il nido.
I bambini in questo sono maestri. Un gesto gentile. Una mano verso e per l’altro. Un filo che si annoda a un altro filo, in un percorso fatto di attesa. In un percorso da affrontare assieme.
[*Elena Lunardi è nata in provincia di Padova e vive ad Arzergrande. Dopo l’istituto magistrale si laurea in Scienze dell’Educazione avendo come relatrice di tesi Daniela Lucangeli, suo punto di riferimento. Ha un master in coordinamento di servizi socio-educativi. Ha vissuto due anni a Parigi dove ha potuto toccare con mano esperienze di scuola diverse, redigere la tesi e imparare da contesti nuovi. Da cinque anni, dopo una lunga esperienza di insegnamento, ha deciso di dedicarsi, in particolare, a incontri per adulti che promuovano la condivisione e la contaminazione, e soprattutto la capacità di ascolto e di attenzione nei confronti dei bambini, per migliorare la relazione adulto-bambino a scuola, in famiglia etc.. Crede fortemente nella collaborazione con autori e illustratori, nel fare rete e portare nell’esperienza delle persone bellezza, colore, poesia (anche attraverso la fotografia nella natura; organizza letture e laboratori per bambini, a scuola e non, per seminare attraverso le storie. Promuove l’albo illustrato come ponte e strumento capace di aprire all’incontro, di arrivare lontano, di custodire e costruire significati. Promuove la fotografia per giocare con la fantasia e conoscere meglio la Natura. Nei suoi laboratori mostra come utilizzare l’albo e leggerlo attraverso diversi punti di vista, aprendo sentieri educativi e didattici condivisi. Dopo anni di formazione personale (che è ancora fonte per migliorarsi) e lavoro nel sociale e nella scuola, ha compreso che desiderava mostrare questa sua maniera di vedere i libri, il mondo dell’infanzia, della natura e del fare come processo, in più contesti. È sposata con Alessandro e mamma di Giovanni, Gianmaria, Gabriele e Ismaele.]