Bere a una fonte molto antica

Dall'inizio di settembre è in libreria il secondo volume della nostra collana I topi saggi, dedicata alla pubblicazione di strumenti di riflessione e analisi pensati per supportare il lavoro e la cultura di chi svolge professioni accanto ai bambini. Si intitola Una frescura al centro del petto. Le risorse offerte dall’albo illustrato nella crescita e nella ricerca spirituale dei bambini, lo ha scritto Silvia Vecchini. Alcuni anni fa Silvia ci spiegò, chiedendoci il nostro benestare, che le sarebbe piaciuto svolgere la sua tesi in Scienze teologiche sul tema della lettura e della vita spirituale dei bambini. Voleva concentrarsi, disse, sui libri del nostro catalogo fra i quali aveva notato un filo rosso a collegarli: il riferimento a un luogo segreto e intimo dell'interiorità del lettore, una sorta di appello naturale a quella zona così viva nei piccoli, aperta ai grandi misteri e all'avventura del pensiero. Fummo posmolto colpiti dal suo progetto e dal suo sguardo che aveva saputo cogliere un aspetto nascosto, ma sicuramente ben presente fra i criteri di scelta dei testi e delle immagini dei nostri libri. Quando poi, terminata, leggemmo la tesi, ci parve così interessante, approfondita, seria, che decidemmo senza esitazione di pubblicarla nella neonata collana. Naturalmente ci sono stati alcuni cambiamenti rispetto al progetto originale, come è normale quando da una tesi si passa a un saggio pensato per un pubblico di lettori più ampio. Oggi vi presentiamo questo saggio, proponendovi in lettura una parte dell'introduzione. Il primo volume dei Topi saggi, A scuola con gli albi. Insegnare con la bellezza delle parole e delle immagini ha avuto, al di là di ogni possoibile aspettativa, un successo che non accenna a diminuire, cosa che fa riflettere sulla necessità di strumenti nuovi dedicati alla didattica e alla riflessioni sui bambini e sulle relazioni fra mondo adulto e mondo dei piccoli. Speriamo che anche questo testo sia accolto da altrettanto entusiasmo, ma soprattutto che possa servire a tante e a tanti, nel grande lavoro che svolgono quotidianamente a fianco dei bambini e dei ragazzi in un momento così complesso come quello che stiamo vivendo.

[di Silvia Vecchini]

Nella mia esperienza di scrittura dedicata all’infanzia e all’adolescenza, mi capita molto spesso di avere occasioni di incontro, formazione, confronto con bambini e ragazzi in tutta Italia. Mi capita di leggere ad alta voce, rispondere a domande, riflettere insieme, fare laboratori e spesso di scrivere con loro. Una delle attività che propongo più volentieri e che più mi viene richiesta è proprio quella della scrittura. Può trattarsi di un laboratorio con un tema, di una serie di incontri strutturati, di sessioni di scrittura più o meno lunghe.

Attraverso varie modalità mi capita, insomma, di stare a fianco di bambini e ragazzi avendo il privilegio di ascoltare i loro pensieri nel momento in cui si fanno strada e vengono raccontati per la prima volta. Spesso l’accesso alla scrittura prende spunto dall’autobiografia, anche se mediata da alcuni esercizi, immagini, figure-schermo che da una parte svelano e dall’altra proteggono l’identità del soggetto che scrive.

In ogni caso, in queste occasioni di ascolto, ho riscontrato più e più volte quanto per i bambini che hanno la possibilità di sperimentare un ambiente di dialogo accogliente, aperto, in cui ogni idea ha diritto di citta- dinanza e per la quale non si prospetta nell’immediato una finalità di misurazione / valutazione, possa essere facile, direi quasi naturale, sconfinare dal racconto della quotidianità e toccare temi spirituali, porsi di fronte a grandi domande, proporre agli altri la propria visione del mondo e del divino.

Parallelamente a questa facilità di approccio da parte dei più piccoli, ho riscontrato invece una crescente difficoltà, a volte diffidenza, da parte degli adulti (genitori, insegnanti, educatori), e spesso una vera e propria rinuncia, davanti all’idea di proporre ai bambini attività o più semplicemente narrazioni che contemplino il richiamo alla spiritualità. Sempre più di frequente ho notato che gli adulti indietreggiano rispetto alla possibilità di aprire con loro tali conversazioni o esplorazioni.

I motivi di difficoltà da parte degli adulti nell’approccio a questi argomenti possono essere diversi. Qualche volta questo accade perché non si vuole fornire ai bambini una determinata credenza strutturata in riti e pratiche, cioè non si intende trasmettere già dai primi anni una specifica fede. Spesso questo tipo di soluzione è giustificata dalla riluttanza a compiere una scelta al posto loro. Tuttavia, l’evitare l’argomento o le tematiche riguardanti la dimensione spirituale non è una strategia rispettosa dell’intelligenza dei bambini e della loro curiosità, che non prevede zone intoccabili o inaccessibili. Sono da considerare con particolare attenzione i primi anni di vita, che rappresentano quella che viene comunemente chiamata “l’età dei perché”.

Pagine tratte da Una frescura al centro del petto (illustrazioni di Francesco Chiacchio, Marina Marcolin e Alessandro Gottardo).

Fra i due e i quattro anni, i bambini non smettono mai di domandare. Uno studio britannico del 2013 sostiene che le madri sono sottoposte a una raffica di circa 300 domande al giorno.

Le madri delle bambine attorno ai quattro anni arriverebbero a beccarsi 390 domande al giorno, in media una ogni minuto e 56 secondi tra la prima colazione e la cena. Lo studio è ripreso dal Telegraph senza fornire i link alla documentazione scientifica: dunque, sembrerebbe opportuno considerare con qualche cautela i dati numerici, anche se ampiamente reperibili in rete.

Ma diversi studi accademici offrono dati solo di poco inferiori, o uguali. Uno studio del 2009 dell’Università del Michigan esamina la letteratura in materia, conferma i dati e specifica che tra i due e i quattro anni i bimbi fanno domande semplici circa un terzo delle volte, e domande più complesse due terzi delle volte. La percentuale di domande complesse cresce con il crescere dell’età. Nella maggior parte dei casi, gli adulti rispondono senza fornire una reale spiegazione. Quando succede così, i bimbi ripetono la domanda, o provano a darsi una risposta da soli (perché metti le mollette nel cestino? Ah, devono andare a nanna). Facendo domande, i bambini costruiscono, e gradualmente precisano, la loro immagine del mondo: entità, cause, effetti, relazioni.

I bambini chiedono “come?” e  “perché?”. Non fanno domande solo per chiacchierare instaurando una relazione affettiva con gli adulti, ma per capire. Fanno domande da scienziato (perché l’acqua è bagnata? Come fanno i pesci a respirare nell’acqua? Perché i miei cracker non parlano?). Fanno domande da filosofo (perché il nonno è nel cielo? Perché ci sono le persone cattive?). Fanno domande da sociologo, da psicologo o da economista (perché devi andare a lavorare? Perché non ho un fratellino?).

Dopo i quattro anni la quantità di domande poste decresce in modo rapido e significativo (guardate il grafico: è piuttosto impressionante).

Scrive a questo proposito Pina Tromellini nel testo Cosa pensano i bambini di Dio:

I bambini sono fatti così: sperimentano il loro mondo in lungo e in largo, senza tralasciare nulla, e anche ciò che non si vede, la dimensione ineffabile che comunemente viene definita trascendenza, fa parte dei loro pensieri. È una dimensione integrante dell’infanzia, che scompare e riappare costantemente, riempendo la mente del bambino di rappresentazioni, di invenzioni e di costruzioni concettuali; anche le idee metafisiche sono per lui oggetti da manipolare, attorno ai quali egli costruisce ipotesi.

Inoltre, un’osservazione piuttosto scontata è che non compiere nessuna scelta sia già di per sé una scelta. Scoraggiare le domande di un bambino in ambito spirituale, o semplicemente non rispondere rimandando il confronto a un tempo non meglio definito, è già una risposta che produce un effetto concreto. Di fatto un atteggiamento simile non “sterilizza” la domanda ma comunica al bambino che la spiritualità non è degna di ricerca, non è importante per la vita.

Pagine tratte da Una frescura al centro del petto (illustrazioni di Alicia Baladan, Albertine e Kitty Crowther).

Particolarmente delicato è il caso di chi, non credendo, sceglie di dire al suo bambino, fin da subito e apertamente, che “Dio non esiste”. È una scelta che potrebbe sembrare legittima e intellettualmente onesta. Tuttavia, trovo interessanti alcune riflessioni espresse da Natalia Ginzburg in un breve saggio intitolato L’infanzia e la morte. La scrittrice afferma, senza mitigare il suo punto di vista, che:

uno che non crede in Dio non ha però il diritto di dire al suo bambino: «Dio non esiste». Non può mettergli davanti questa sua convinzione personale come universale certezza. Lo può fare con altre sue convinzioni: ma con questa no. In primo luogo, le parole “Dio non esiste” sono parole di un’estrema angoscia per un bambino. In secondo luogo, possono essere false. Anche altre convinzioni personali, che uno mette davanti al suo bambino come universale certezza, possono essere false; ma in altri casi può non essere tanto importante sbagliare, e affermare il falso. Invece le parole “Dio non esiste” sono inesorabili; e se sono false, uno ha detto una cosa inesorabile e falsa […].

Uno che crede, e dice al suo bambino: «Dio esiste», dice allo stesso modo una sua convinzione personale come universale certezza, e compie un arbitrio. Inoltre, anche lui dice una cosa che forse è falsa. Tuttavia, un bambino che sente dire “Dio esiste” potrà pure se vorrà, un giorno, se Dio gli sarà inutile, buttarlo via. Non è mica difficile, e anzi è quasi semplice, per uno che non vuole Dio, fare come se per lui non ci fosse mai stato. Questo arbitrio è dunque necessario: perché un bambino viene così provveduto del superfluo, cioè di quello che per qualcuno è superfluo. Ma un bambino che si sente dire “Dio non esiste” vede alzarsi intorno a sé mura inesorabili: e se un giorno vorrà avere Dio, dovrà cercarlo di là da quelle mura deserte.

Come sia possibile a chi non crede rispondere a un bambino che lo interroga riguardo a Dio, non lo so […]. Uno che non crede, risponda piuttosto: «Io penso che Dio non ci sia. Però non lo so. Altri pensano che ci sia. La verità non la sa nessuno».

Ginzburg afferma, infine, che l’onestà di chi, non credendo in Dio, condivide questo pensiero con il proprio bambino, è “un’onestà che tiene conto di noi stessi, ma non del prossimo” e che “in definitiva non è onestà, ma un furto”.

Altre volte accade invece che, pur desiderando che il bambino esplori la dimensione spirituale con naturalezza e curiosità, si teme la propria insufficienza attorno alle domande che possono emergere trattando temi come l’origine e il senso della vita, la morte, il sacro, la divinità. Si teme d’inciampare. Eppure, scrive Massimo Recalcati:

l’inciampo rende prezioso l’oggetto su cui si inciampa, ancora più dell’oggetto che si trasmette. Perché è lì che si gioca la vera partita. Allora la forza del maestro è, per un verso, portare la luce nel testo, perl’altro preservare l’impossibile da dire nel testo. Ma è questo impossibile che mantiene vivo il desiderio di sapere.

Pagine tratte da Una frescura al centro del petto (illustrazioni di Simona Mulazzani, Marta Sironi, Geena Forrest e Joanna Concejo).

È proprio a partire da queste pietre d’inciampo, dall’impossibile da dire, dalla consapevolezza di non sapere tutto che si possono offrire occasioni di scoperta e conoscenza. Non è detto infatti che l’“oggetto che si trasmette” debba essere per forza una credenza strutturata o delle pratiche religiose. Nell’ambito della ricerca spirituale, l’oggetto della trasmissione ai bambini può essere la domanda stessa, il desiderio stesso di interrogarsi e scoprire.

Brevemente accenno subito che con l’aggettivo “spirituale” non si intende qui “religiosa” o appartenente a una confessione in particolare, ma proprio relativa allo spirito e alla ricerca personale.

Riprenderò la questione del rapporto religione/spiritualità nel corso del primo capitolo. Ora è sufficiente dichiarare che per la definizione di “spiritualità”, attorno alla quale tanto si è scritto e si continua a scrivere nel campo della psicologia della religione,  il mio riferimento è la definizione contenuta nel libro The Spiritual Child di Lisa Miller. In questo testo l’autrice, docente, ricercatrice e psicologa clinica, conosciuta per i suoi lavori sulla spiritualità in psicologia, tratta proprio dell’importanza della ricerca spirituale per la crescita dei bambini e degli adolescenti e riflette sui benefici per la salute mentale e il benessere derivanti dalla consapevolezza spirituale.

Ecco cosa intende per “spiritualità personale” nella sua ricerca:

Una spiritualità intesa come una sensazione interiore di vivere un rapporto con un’entità superiore (Dio, natura, spirito, universo, il creatore, o qualunque sia la vostra definizione per la suprema e benevola forza vitale onnipotente).

Una risorsa, dice l’autrice, poco sfruttata ma che può essere fondamentale per lo sviluppo umano, la resilienza, la guarigione, la consapevolezza, la ricerca dell’identità e la capacità di relazione. Senza dimenticare che lo sviluppo spirituale dei bambini può svolgere anche un’importante funzione rispetto al futuro lavoro interiore dell’adolescente di fronte alle domande esistenziali.

Bibliografia di Una frescura al centro del petto (illustrazione di Sergio Ruzzier).

L’intento della mia ricerca è quello di dimostrare che uno splendido strumento per avviare questo dialogo con i bambini (a partire dai primi mesi di vita fino all’arco descritto dall’età scolare), svilupparlo nel tempo mantenendo “vivo il desiderio di sapere” come soltanto le storie e le immagini artistiche sanno fare, è quello che ci viene offerto dagli albi illustrati, o picture book. Nello sviluppo del mio lavoro mi riferirò in particolare agli albi della casa editrice italiana Topipittori, che ho avuto la possibilità di studiare.

Tra i libri pubblicati da questa casa editrice, albi composti di immagini e parole in un connubio indivisibile, se ne possono rintracciare alcuni che mettono al centro la ricerca spirituale, il tema della vita e della morte, dell’origine e della natura dell’universo, della conoscenza di sé e degli altri, delle grandi domande di senso, delle tradizioni e dei miti che troviamo al cuore delle culture e delle grandi religioni. Ma soprattutto, molti titoli, pur presentando i temi “classici” dei libri per l’infanzia (la famiglia, la crescita, l’amicizia, il gioco, l’identità…), propongono narrazioni, punti di vista, soluzioni particolarmente interessanti a un occhio attento a cogliere richiami spirituali. In particolare, direi che il leitmotiv che percorre questi albi potrebbe essere riassunto in un appello lieve, costante, affettuoso all’ascolto del mistero della vita, un invito a bere a una fonte antichissima, ma che nei libri proposti è continuamente rinnovata dalla creatività, dall’immaginazione di artisti e scrittori. La lettura condivisa tra adulti e bambini di libri così preziosi ha il merito di “aprire” questa fonte invece di chiuderla.

Una frescura al centro del petto: conclusioni. (illustrazione di Massimo Caccia).