Bibliolab: la biblioteca dei libri, delle cose, dei materiali

[di Federica Buglioni]

“Che cosa potrebbero fare le biblioteche scolastiche per stimolare una didattica più laboratoriale, e sostenere lo sguardo e il pensiero scientifico dei bambini?” mi ha chiesto Cristina Bellei, referente dell’Istituto comprensivo Stradi, che è Scuola Polo per la lettura della Regione Emilia Romagna. La domanda, converrete, è bellissima perché permette di sviluppare ipotesi e sperimentazioni interessanti.

L’idea che è venuta a me, descritta qui di seguito, è ancora lontana dall’essere un progetto articolato perché contiene più domande che risposte, ma provo a condividerla nella speranza che possa accendere la voglia di cambiare un po’ e magari stimolare una riflessione condivisa.

Che cosa c’è dentro le biblioteche scolastiche che conosciamo? Belle o brutte che siano, ospitano libri, giornalini, occasionalmente giochi e materiali digitalizzati come film e musica. Pensandoci bene, questa risposta è del tutto parziale perché descrive il contenuto solo in termini di oggetti. Basterebbe provare a rispondere alla stessa domanda guardando al patrimonio bibliotecario in termini di materiali, di sensi stimolati, di azioni proposte o di obiettivi educativi, ed ecco che la risposta cambia e si farebbe più interessante:

  • MATERIALI - carta, plastica, un po’ di metallo, oltre al legno di alcuni arredi
  • STIMOLI SENSORIALI – materiale progettato in prevalenza per la vista e l’udito
  • AZIONI che si possono compiere - leggere, guardare, ascoltare, giocare, scegliere, prendere in prestito
  • OBIETTIVI principali - offrire occasioni per apprendere, immaginare, svagarsi.

A questa piccola lista, ognuno si senta libero di aggiungere ciò che vuole.

Il terreno fertile

Dati questi contenuti, per rispondere alla domanda iniziale è necessario chiedersi se un simile modello di biblioteca sia o non sia funzionale allo sviluppo dello sguardo e del pensiero scientifico nei bambini, se sia terreno fertile per la scienza. Nella mia esperienza, che è prevalentemente laboratoriale, la scienza respira meglio dove:

  • Si può lavorare e ragionare sia singolarmente sia in gruppo, perché serve concentrazione, ma allo stesso tempo l’azione e il pensiero altrui sono uno stimolo indispensabile per aprire lo sguardo, proprio grazie al confronto.

 

©Mediamatic/Flickr

  • Il contesto non è giudicante e c’è liberta di sbagliare, tanto nell’agire quanto nell’esprimere opinioni: i bambini non devono autocensurarsi per timore di fare una figuraccia
  • C’è tempo per l’autovalutazione e l’autocorrezione, altrimenti si diventa dipendenti dal giudizio altrui e si abbandona il pensiero indipendente
  • Si fanno esperienze nuove e si incontrano materiali e procedure nuove, perché il nuovo accende l’attenzione e la curiosità
  • Si stimolano l’osservazione prolungata e la manualità lenta, perché se il guardare e il fare sono frettolosi, si resta imbrigliati in quello che si sapeva già: anche una semplice foglia, se vista sotto la lente d’ingrandimento, può rivelare l’esistenza di mondi sconosciuti
  • Si privilegiano non tanto le singole esperienze ma i percorsi grazie ai quali una cosa porta all’altra e c’è tempo per rifare, tornare indietro, approfondire, sentire di percorrere strade
  • Si lavora su pluralità di sguardi e linguaggi, con approccio interdisciplinare, passando dalle parole, alla scienza, all’arte in modo fluido e spontaneo
  • Ci si interroga - adulti e bambini - sul senso delle esperienze, ci si chiede “perché questa cosa che facciamo è o non è rilevante per me adesso?”.

Le biblioteche scolastiche che frequentiamo sono “terreno fertile” oppure manca qualcosa? La risposta che mi sono data è che qualcosa, effettivamente, manca e ho ripartito in quattro categorie ciò che mi piacerebbe ci fosse: libri, materiali, attrezzature, documentazione.

 

Partiamo dai libri

Due campionari antichi, di sete e cotoni, oggi in collezioni museali.

Mancano i libri dei materiali: forzando un po’ il concetto di libro, si possono includere in questa categoria il libro delle stoffe, delle carte, delle cortecce e di qualsiasi elemento che possa essere raccolto in una forma sfogliabile. Li immagino fatti in casa o in classe, magari recuperando e riadattando i campionari che spesso i tappezzieri regalano. Anche arredatori e colorifici hanno campionari interessanti: dei colori delle vernici, del legno per parquet e così via.

A cosa servono simili manuali? A osservare, toccare, cercare ispirazioni, creare collegamenti visivi e logici tra i materiali, i colori e le forme.   

       

I campionari dei commercianti di materiali per abbigliamento e arredamento sono interessanti per i nomi attribuiti alle tonalità dei colori, per il modo in cui tinte e texture sono associate e soprattutto per la praticità di consultazione di questi strumenti, progettati proprio per essere molto fruibili. Foto a destra: © freepik.com

Mancano i libri fatti dai bambini e interessanti per altri bambini (diversi da quelli che interessano solo a mamma e papà), con testi, disegni e fotografie: il libro dei giochi giocati in cortile, il libro dei calzini abbandonati, il libro delle formule magiche per addomesticare le maestre malmostose.

Mancano i libri dei grandi: se gli adulti si dilettano con i libri per bambini, perché i bambini non possono provare piacere a sfogliare libri per adulti? Tra gli scaffali si potrebbero inserire libri fotografici, di arte, di illustrazione, libri tematici su luoghi e fenomeni, vocabolari con parole “difficili”. I bambini le adorano.  



              Nell’immagine a sinistra, una selezione di libri sul tema degli alberi proposta dalla biblioteca Classense di Ravenna, con volumi per adulti e per bambini.

Mancano i libri per i grandi: esistono molti bei libri che raccontano esperienze pedagogiche interessanti o approfondiscono tematiche educative rilevanti ma, inspiegabilmente, nella biblioteca scolastica uno stimolante scaffale per gli insegnanti non c’è.

 

Materiali NON di consumo

Ho un campionario di una quarantina piccoli barattoli trasparenti che contengono semi trovati in cucina: legumi, cereali, caffè, mandorle, girasole e tutti i semi che normalmente buttiamo via, come quelli della pesca, dell’uva, della zucca. Lo porto ai laboratori e i bambini, che hanno un debole per le collezioni, ne sono molto incuriositi. Una raccolta così abiterebbe volentieri in una bibliolab, prestabile alla classe che ne ha bisogno per rendere più interessante un percorso sulle piante o sull’alimentazione.

Oltre a questo, sugli scaffali si potrebbero tenere tante piccole scatole con altri materiali naturali - rami e rametti, pigne e bacche, sassi, semi - magari con divisori interni per sperimentare classificazioni (sassi a macchie e sassi a righe, sassi di mare e sassi di montagna, pietre laviche…). Scatole, catini e barattoli non sono libri, certo, ma perché non provare a consultarne e osservarne il contenuto come se lo fossero? In fondo un libro è un contenitore di parole!

    

Foto a sinistra © Priscilla Patti. Foto a destra: ©freepik.com

Natura a parte, immagino anche scatole con materiali utili per costruzioni ed esperimenti: corde e nastri, bottoni, bulloni, tappi di sughero, fil di ferro, tessuti.

Le scuole che dispongono di un atelier possiedono già materiali simili, ma qui il punto non è che cosa usare per attività educative, ma dove collocare queste risorse perché anche il contenitore è contenuto. Metterli in biblioteca, anziché in classe, in magazzino o in atelier, fa una differenza sostanziale. Ciò che è in biblioteca è materiale culturale da consultare, sul posto oppure attraverso le regole del prestito bibliotecario, che comporta registrazione in uscita e in entrata. Il materiale va poi restituito integro e dunque bisogna averne cura. In questo modo risulterebbe chiarissimo che non si tratta di materiale di consumo. I materiali elencati sopra permettono di osservare, confrontare, classificare, ordinare, misurare, contare, descrivere, riprodurre: tutte attività connesse con la scienza che andrebbero ad arricchire l’elenco delle possibili azioni. 

     

Come organizzare e come utilizzare queste cose? Le soluzioni sono molte. Si può ricorrere a scatole trasparenti impilabili, cesti, scatole da scarpe, contenitori di legno. L’importante è che l’esposizione sia attraente e ordinata, che la curiosità si accenda. Queste immagini sono tratte da siti e blog di insegnanti che già sperimentano questo approccio.

Raccogliere materiali è di per sé un’attività educativa. Per riuscirci, infatti, occorre imparare a riconoscere. Educando a distinguere e valorizzare materiali come tappi, pezzi di legno, sassi, parti metalliche, pigne, si dà loro un valore economico, educativo, culturale e di relazione.

  

Sassi, conchiglie, semi e pezzi di legno sono usati qui in un’attività sulla simmetria bilaterale. Semplici bastoncini possono rivelarsi utili per contare, dividere, costruire. Fonti immagini: blog De mi casa al mundo, The Imagination Tree, Jennifer Paris/Flickr

 

Attrezzatura, la biblioteca delle cose

Oltre ai materiali descritti sopra, la bibliolab scolastica dovrebbe ospitare quell’attrezzatura di base utile per rendere il lavoro in classe e all’aperto un po’ più esplorativo, un po’ più agito e dunque più laboratoriale. Ecco allora lenti d’ingrandimento (di vetro e/o di Fresnel), calamite, un terrario, forbici che tagliano bene, guanti, bilancia, stetoscopio, pipette contagocce, specchi, palette, pennelli, un grande telo per lavori a terra, vaschette e catini, barattoli, una pressa, mappe, filmati, giochi. Anche in questo caso, tenere questo materiale in biblioteca, anziché in un magazzino, ha una valenza diversa.

 

Dopo la nascita della Toronto Tool Library, si sono diffuse nel mondo le cosiddette biblioteche delle cose o degli oggetti. Si tratta di luoghi dove prendere in prestito un trapano, un tagliaerba, un casco da moto, una macchina per cucire, pattini a rotelle, videogiochi o microscopi solo per il tempo necessario, in un’ottica di risparmio e consumo sostenibile.

A scuola la biblioteca delle cose non avrebbe solo finalità di risparmio e ottimizzazione delle risorse. Sarebbe un ponte di relazione, che ricorda le belle abitudini del Novecento, quando nelle case di ringhiera c’era un’unica scala a pioli, di tutti, e magari la si usava insieme per imbiancare una parete e così alla fine si era più amici di prima. Dunque risorse della scuola, sì, ma nel senso di risorse di tutti, condivise.

 

Documentazione

Ultimo elemento da inserire nella bibliolab è la documentazione del lavoro educativo e della cultura dell’infanzia. A cosa giocavano gli alunni in cortile, dieci o vent’anni fa? Dove sono le loro foto, le loro parole, la loro vita? Da che cosa si vestivano a Carnevale, negli anni Ottanta? Quali poesie imparavano a memoria? Quali giochini tenevano di nascosto sotto il banco? Perché a giugno la scuola si libera di ogni traccia del passaggio dei bambini? I bambini hanno diritto di appropriarsi della loro cultura, quella dell’infanzia, e soprattutto di vederla riconosciuta e valorizzata, specie ora che vivono tanto in gruppi di età omogenea. Quella cultura scorreva più fluida quando le famiglie erano numerose, si giocava in gruppi di età mista e dai più grandi si imparavano giochi, scherzi, conte, canti, filastrocche, bugie… Un gruppo di età omogenea trasmette poco.

Non si tratta, ben inteso, di mettere in biblioteca il materiale raccolto per le restituzioni alle famiglie, ma di scegliere ciò che è culturalmente significativo, di porsi questo interrogativo e conservare ciò che conta.

 

Chissà quante altre fotografie e quanti resoconti avremmo oggi a disposizione, se le nostre scuole avessero documentato di più la vita di bambini e maestri.

Le scuole sono i più importanti spazi culturali della nazione eppure non documentano la propria vita, non costruiscono o curano la propria identità culturale, non tengono traccia di quello che le maestre e i maestri hanno sperimentato e realizzato negli anni e non ne tramandano l’eredità. E così succede che quando i più bravi si trasferiscono o vanno in pensione, la loro impronta è persa per sempre. La bibliolab dovrebbe conservare le informazioni dei buoni progetti, delle buone pratiche, delle uscite didattiche che hanno fatto la differenza, dell’esperienza acquisita, di una soluzione insolita di utilizzo di uno spazio o di organizzazione di tempi o contenuti. Ogni scuola, come una nave, dovrebbe avere il proprio significativo e unico diario di bordo che ne descriva la rotta.

     

Tre buoni esempi replicabili (anche in bibliolab) di utilizzo delle pareti: riproduzione di lettere con materiale naturale, pannelli di feltro dotati di velcro per una proposta artistica ispirata alle opere di Josef Albers, un grande pannello sensoriale. Foto: a sinistra, Gartendeko; al centro, The House Lars Built

Alla fine di queste riflessioni mi sono convinta di due cose. La prima è che ogni biblioteca scolastica è una frazione di quello che potrebbe essere: le potenzialità sono tante. La seconda è che stiamo vivendo anni di grande fermento sul pensiero educativo. I corsi di formazione sono affollati e sempre più insegnanti leggono, studiano, si confrontano e si documentano, riuscendo così a compensare almeno in parte le farraginose lentezze normative. Senza attendere leggi speciali e senza clamore, ci sono molte persone che avrebbero voglia di trasformare la biblioteca in una bibliolab.