Chiacchierando di ore blu...

L'edizione messicana di L'orablu

...unaconversazione di Massimo Scotti e Giovanna Zoboli.

L'ora blu è uno di quei libriche sembrano essere stati pensati in barba a tutte le regole non detteche sanciscono il potenziale commerciale di un libro illustrato. Troppepagine, troppo testo, testo difficile, età di lettura indefinita, temitrattati né di tendenza né di attualità. E poi un libro per ragazzi conrichiami letterari al romanzo francese settecentesco e con riferimentiiconografici alle stampe di paesaggio….

Non si fa! Pare male. Sa di scandalo. Mi chiedo sempre se libriper ragazzi come Peter Pan, Aliceo Pierino Porcospino incontrerebbero (scritti oggi)l’approvazione di un qualunque ufficio marketing o comitato criticodi settore. Ma una volta, dico proprio un tempo, nel secolo scorso,non si parlava di “libertà” e di “fantasia”, associateai libri? Certo sono termini molto difficili da usare, oggi, moltopericolosi. Sono felice di aver vissuto infanzia e giovinezza in tempimeno irreggimentati. Ed erano proprio i libri di allora, fra tantealtre cose, a renderli tali; certo, la follia al potere ha provocatovari danni. Di solito gli eccessi producono altri eccessi, ma di segnoopposto. Uno di questi è l’attuale tendenza esageratamente normativanelle scelte editoriali più miopi e stereotipate. Ha successo lasaga di Moonlight? Benissimo, si punta solo suivampiri. E via: interi settori delle librerie piene di volumi tuttiuguali, ognuno sopra le 600 pagine, con Il vampiro dimezzanotte, L’ombra del vampiro,Sangue sui tuoi denti, Caniniscarlatti, L’amore è un doppio foro sul tuocollo, A cena col vampiro, Pranziveloci per conquistare il tuo vampiro di Benedetta Parodi. Orapoi si profila un autunno molto nuancé, con50 sfumature di qualunque cosa….


Fra le incongruenze che manifesta L'orablu, anche quella di apparire un libro ideale per un pubblicoeuropeo, che dovrebbe cioè condividerne la cultura di appartenenza,per poi risultare invece a sospresa più accattivante per paesi esoticie lontani da noi: eccetto Naïve Livres, francese, gli editori che nehanno acquistato i diritti sono uno cinese e uno messicano. Lahora azul, edito da Oceano Traversía, ci è arrivato da poco. Eritrovarcelo fra le mani, dopo quattro anni (è uscito nel 2009), ci hafatto venir voglia di riprenderlo e sfogliarlo. Nel 2009, Le figuredei libri ha dedicato molto spazio al libro: con una recensionee due belle e lunghe interviste ad Antonio Marinoni e a Massimo Scotti.


Ora, siccome a mio avviso nei libri illustratiè l'immagine a fare la parte del leone, quando chi li edita sabenissimo che il testo ha il medesimo peso nella loro riuscita(così come sa che trovare buoni autori di testi per albi è quantomai raro, così come sa che la tendenza di chi produce immaginiè di non dare troppaimportanza al testo), ecco, per tutte queste ragioni oggi sotto iriflettori ci sarà il testo dell'Ora blu, moltopiù che semplicemente bello. Immaginatelo come una sorta di tortadiplomatica, fatto di tanti deliziosi strati diversi. Ho chiesto a Massimo Scotti, studioso di letteraturafrancese, di viaggio, e di letterature comparate, di illustrarci qualiingredienti abbia usato per confezionarlo, mettendo in evidenza quanteparole e libri di altri possano vivere all'interno di un raccontoe animarlo segretamente.


Massimo, la tua protagonista è una giovinetta, Hortensedes Orphées. O meglio è il suo diario il protagonista, quel chedetermina la messa in moto del racconto. In esso si legge in controlucela tradizione della scrittura privata, diaristica ed epistolare, poidiventata vero e proprio genere letterario. Nella voce di Hortense sicolgono timbri di voci femminili familiari, uscite da pagine più o menofamose. A chi ti sei ispirato per caratterizzarla?

Locandina del film diRoger Vadim, 1959.




Primadi tutto grazie per queste parole e per tutta questa attenzione, quindi,Hortense: avevo in mente molte educande e giovinette dei secoli scorsi,ma la prima a cui ho pensato è stata Cécile Volanges nelle Relazioni pericolosedi Choderlos de Laclos. L’epoca è più o meno quella, e Cécile,appena uscita dal convento, non conosce molto il mondo; le hanno dettoperò che le ragazze vengono riportate a casa dai conventi per convolarea nozze, così, alla prima visita maschile, per poco non sviene. Unosconosciuto si inginocchia ai suoi piedi, lei per l’emozione si mettea strillare. Scoprirà subito dopo che si tratta solo del calzolaio,venuto a prendere le misure per un paio di nuovi stivaletti.

Jean-HonoréFragonard, Le verrou, 1778, Louvre.
Fotoromanzodal film Les liaisons dangereuses di RogerVadim.



Glenn Close/Marchesa de Merteuil,Uma Thurman/Cécile de Volanges,
nel filmLes Liaisons dangereuses di Stephen Frears,1988.

GianaAnguissola.

E ricordavo che aquell’episodio sembrava ispirarsi un’autrice novecentesca,Giana Anguissola, nella sua serie dedicata aGiulietta. Un’altra ragazzina, di un’epoca diversa:Giulietta è innamorata del vicino, padre di famiglia, e quando luile chiede un colloquio, per parlare di una cosa molto seria, pensagià che il giovane signore voglia lasciare la moglie per lei; in unsusseguirsi molto comico di equivoci, scopre alla fine che il vicinovoleva solo chiederle di fare da baby-sitter ai suoi figli. Avevoscritto alcune pagine del diario di Hortense inserendo episodi simili,ma poi le ho eliminate dalla stesura definitiva perché occupavanotroppo spazio ed erano, tutto sommato, superflue. Rimane, di Cécilee di Giulietta, il tono ingenuo.

Ho cercato di riprodurre anche l’ironia di cuigli autori avevano intriso la presentazione dei loro personaggi;ma vorrei aggiungere un dettaglio, legato al discorso precedente:ho letto le Relazioni pericolose a dodici anni,senza traumi. Magari ho capito poco, ma mi sono molto divertito,e quella lettura mi è rimasta nella memoria; dunque un dodicennedell’aureo secolo scorso poteva leggere contemporaneamente Laclos eGiana Anguissola: un libro “proibito” e uno “per signorine”,con gran gusto e senza danno. In barba alle attuali – e inflessibili– leggi pedagogiche. Magari anche entrando per una volta in mondi nonsuoi, guidato dalla curiosità e dal desiderio di libertà, cose chenon fanno mai troppo male.

Quando sileggono diari e lettere di persone anche molte giovani vissute secolifa, da una parte può colpire l'ingenuità, e quello che chiamerei iltratto convenzionale dell'eloquio, la retorica; dall'altro, all'opposto,la maturità di pensiero, l'originalità, la ricchezza e l'eleganzadello stile soprattutto, rispetto alla capacità attuale di praticare lascrittura da parte dei giovani.

Sì,questo è assolutamente vero, anche se come al solito non dobbiamogeneralizzare. Saper scrivere e saper variare i toni del propriodiscorso è una pratica abbastanza difficile, che richiede un lungoesercizio; certo l’uso generale della lingua da parte dei mediain questo periodo è scoraggiante.

Mi stupisconotanti fenomeni diversi e contraddittori. Ci sono giornaliscritti incredibilmente bene e spaventosamente male. Traduzionieccellenti e traduzioni ridicole. Lingue nuove che nasconoogni giorno (il sistema comunicativo degli sms, dei socialnetwork ecc.) e sistemi di appiattimento generale della linguache fanno quasi paura.
C’è ora un film, nellesale, che tratta, fra tanti altri temi, anche questo,Tutti i santi giorni di Virzì. Può apparire anche tropposemplificante, troppo superficiale e manicheo nella divisione tra buonie cattivi, onesti e farabutti. Però osa affrontare per esempio il temadi due innamorati che parlano, letteralmente, due diversi linguaggi:anche in questo appare un po’ schematico e surreale, ma dopotuttoha lo stile di una favola moderna, a tratti anche drammatica, quindi amodo suo funziona; dunque, i due protagonisti hanno due modi comunicativitotalmente differenti, lui è colto e sofisticato nell’eloquio (perchéfa letture di altissimo livello e di altrissimi tempi), lei è semplice,perfino rudimentale, però in compenso scrive canzoni in inglese,dai testi lirici e raffinati (nel film come nella vita). Ora, trovospesso che il livello poetico, oltre che stilistico, di certe canzonicontemporanee sia notevole – e anche in questo caso, per contro,esistono cime abissali di orrore. Ma il suggerimento alla riflessioneche viene dal film è molto interessante: siamo anche fatti di come ciesprimiamo in parole, le nostre idee si moltiplicano quando i terminisi differenziano, il nostro linguaggio può definire e far scoprirela singolarità a cui tutti aspiriamo; in altri termini, perché tutticontinuano a dirci “sii te stesso”, “sei assolutamente unico”,e vogliono venderci a tutti i costi “prodotti esclusivi”, quando poitutto, intorno a noi, a cominciare dal linguaggio, tende a livellarcipesantemente? Nel film le persone ridono di come parla Guido, però molterimangono affascinate: Antonia, per prima, è conquistata dal suo stranolinguaggio, e così anche le hostess tedesche dell’albergo in cuilavora sono intenerite e sedotte dall’arcaico stile germanico dellesue frasi, imparate sulle pagine dei filologi ottocenteschi; dunque,come direbbe Carrie Bradshaw di Sex and the City,il linguaggio può diventare strumento di seduzione?


Sarah Jessica Parker, ovvero CarrieBradshaw.


Certo, se si differenzia da quello che Mallarmé chiamava “lingua della tribù”,piatta, ordinaria, comune. E bisogna notare che Guido non usa quel mododi esprimersi con sussiego o con presunzione. Viene direttamente dal suomondo di letture, dal piacere della lettura di testi che appartengonoad altri tempi e altri luoghi, perché anche questa è libertà: lapossibilità di trovare spazi personali, unici per noi, nella sconfinataampiezza della storia – un piacere oggi davvero sconosciuto. C’èuna frase di Hobsbawm, il grande storico morto di recente;l’ha citata Internazionale, e suona quasi come unallarme. “La distruzione del passato, o meglio la distruzione deimeccanismi sociali che connettono l’esperienza dei contemporanei aquella delle generazioni precedenti, è uno dei fenomeni più tipicie insieme più strani degli ultimi anni del Novecento. La maggiorparte dei ragazzi e delle ragazze alla fine del secolo è cresciutain una sorta di presente permanente, nel quale manca ogni rapportoorganico con il passato storico del tempo in cui essi vivono.”La parola antiquato è stata sostituita con antico, e questo haprovocato un grave danno. Si dà oggi all’idea di antico un sensodispregiativo. Probabilmente i ragazzi oggi temono di non risultareabbastanza “moderni” se non usano il linguaggio della tribù.

Édouard Manet, ritratto di StéphaneMallarmé.



StéphaneMallarmé.

Manon sospettano che l’antico e il nuovo siano perenni riciclidegli stessi contenuti in forme diverse, e si stupirebbero moltose scoprissero, per esempio, l’arcaicità del linguaggio deitelefonini: se io scrivo ke, ki,al posto di che e chi, per risparmiare sulle battute di unsms, mi esprimo esattamente nell’italiano arcaico degliautori del Novellino (XIIIsecolo). Ci sarebbe poi un lungo discorso da fare sui diversi modilinguistici, sugli stili adatti a vari tipi di comunicazione, sulfatto che non ci si può esprimere con tutti nello stesso modo,ma è divertente invece variare i propri sistemi di espressione aseconda della situazione e delle esigenze particolari, ma basteràdir questo: mi sono divertito molto a immaginare come potessescrivere Hortense, e mi sono immedesimato in lei anche attraversoquello che immaginavo potesse essere il suo linguaggio personale,privato (diaristico, appunto).


L'ingresso nel racconto dell'altro protagonista, il Contedi Saint-Germain, determina un repentino cambio di registro stilistico. Iriferimenti sono sempre a quel periodo che sta fra Settecento eOttocento, Illuminismo e Romanticismo, ma entriamo in un ambito moltodiverso: l'alchimia, le scienze occulte, la massoneria. Cosa ti hainteressato e divertito di più portare alla luce di queste esperienze eatmosfere?

I migliori autori del racconto fantastico insegnano chepiù l’inaspettato si sprigiona in un contesto realistico, borghese,quotidiano, anche banale, più ha speranza di emozionare il lettore,e quindi più risulta potenzialmente impressionante; è l’anticae comprovata idea del “vuoto”, in arte, che risalta meglio se èposto accanto al “troppo pieno”, oppure la suggestione visiva che siottiene affiancando colori complementari: un magnifico rosso carminioprende potere e luce se circondato da un blu cinerino. All’iniziodel racconto troviamo un commesso viaggiatore, molto grigio e moltousuale.
Non immaginerebbe mai di fare il solito viaggioin compagnia però di fantasmi; così, la piccola e candida Hortenseè pronta magari a innamorarsi di un agrimensore, come accade alla suaamica, ma non di un personaggio demoniaco.




 Il Conte di Saint-Germain è anzituttolo splendido tenebroso che andava molto in voga nei romanzi neridi quell’epoca, ma è anche un personaggio davvero esistito,benché molto favoleggiato ai suoi tempi; io ho una passione perquelle atmosfere e quelle storie, e in questo caso mi sono ispirato,oltre che alla figura reale del Conte, anche a una serie di raccontiin cui la figlia dell’alchimista o dello scienziato pazzo vieneimmolata sull’altare della sperimentazione occulta (La figlia diRappacini di Hawthorne, Il caso Makropulos di KarelČapek).

A che fonti hai attinto pertratteggiare questo sulfureo seduttore? 

Sul Conte di Saint-Germain hanno scritto intanti; pare che abbia incontrato di persona anche HoraceWalpole, “inventore” del romanzo gotico con Il castello d’Otranto,e qui il cerchio già potrebbe chiudersi, perché è un po’come se Bram Stoker avesse incontrato Dracula. Il romanzopiù bello dedicato al Conte di Saint-Germain è quello diAlexander Lernet-Holenia. D’altra parte, Saint-Germainè una specie di alter ego di GiuseppeBalsamo, Conte di Cagliostro
 

Il Conte diCagliostro.



Vlad IIIDracula.






Ritrattodi Horace Walpole, Joshua Reynolds,1756-57.
 Nathaniel Hawthorne, di CharlesOsgood, 1841. Il Conte diSaint-Germain.




A me è piaciutosoprattutto “umanizzare” la figura del sulfureo seduttore,come dici tu: ho guardato a lungo il suo unico ritratto conosciuto,mi ha fatto simpatia con quell’aria buona, un po’ mesta, e quelnasone, così ne ho fatto un uomo ferito per amore (ferito anche insenso letterale), che va in cerca della morte. Una situazione a dirpoco inusuale; la cosa che tutti temiamo di più, lui la desidera,anche perché potrebbe restituirgli l’essere amato; il legame frala morte e l’amore è un tema principe del Romanticismo come delDecadentismo, e mi accorgo, con un po’ di stupore, che tutte le miestorie scritte per voi parlano sempre di questo (un altro argomento chenon piace molto, forse, ai pedagogisti).




Infine, Tony Tanner:in questo personaggio c'è molto della letteratura contemporanea. Ilsuo tono colloquiale, piano, quasi dimesso, contrasta apertamente conquello dei due protagonisti.

Dunque, Tony Tanner è stato un grandissimocritico letterario, doveva essere una persona molto simpatica,a giudicare da quello che scrive, e ha un nome allitteranteche mi piace molto perché sembra finto. Ho voluto dare il suonome, per contrasto, al mio personaggio, che è un po’ il commesso viaggiatore diArthur Miller, un po’ il protagonista dellaModificazione di Butor, un po’ l’uomo qualunque che tuttisiamo, e che non sa di vivere un’avventura del tutto straordinaria,com’è sempre la nostra esistenza (solo che spesso non ce neaccorgiamo). Lui, il Tanner dell’Ora blu, alcontrario del suo omonimo critico, non conosce il mondo romanzescoin cui vivevano le persone – alcune persone – fra Settecento eOttocento. Noi, nel senso di noi contemporanei, abbiamo elaboratonell’immaginario quel mondo come romanzesco; se penso a un secolodavvero poderoso e sconfinatamente sbalorditivo, mi viene in menteproprio il XIX, ma ripeto, è la nostra costruzione culturaledi quell’epoca a renderla così stupefacente, proprio perchéla conosciamo soprattutto, principalmente e con maggior piacere,proprio dai romanzi e da tutte le storie ambientate in quel tempo(e in quel mondo).

Nel tuo raccontodialogano registri stilistici, personaggi, voci, sguardi, punti divista. E attraverso di loro dialoga il tempo: passato, presentee futuro. Cosa aspetta Tony Tanner, sceso dal treno e avviatosialla ricerca di Hortense?

Beh,ci vorrebbe un sequel, e poi magari un altro, e allafine un prequel; ovviamente, la prima cosa da faresarebbe seguire Tony Tanner nei suoi vagabondaggi. È il classico eroesenza una meta, ma anche i viaggi di ricerca sono diventati ormai unluogo comune. Metà dei film italiani, oggi, sono road movies, e ormai siripetono. Mi chiedo sempre come faccia la gente ad avere tanta voglia disapere dov’è finito lo zio Pino, scomparso da una balera: dove vuoiche sia? Si godrà in pace il suo panino con la porchetta, nascosto daqualche parte in modo che non glielo rubino. Ma anche, mi chiedo: ilmilionesimo assassino e l’ennesimo serial killer, interessano davverocosì tanto? Di certe cose talmente rifritte il pubblico non si stancamai?

IlDivin Marchese, di Charles-Amédée-Philippe vanLoo.

A voltesi ha paura di scrivere storie che assomiglino troppo a tuttele altre, poi salta fuori una tranquilla massaia con fantasiesadomasochiste, e il caso scoppia. Ma come? E gli innumerevoliromanzi libertini del XVIII secolo? E quel povero Marchese deSade, che non ha fatto altro se non scrivere storie di sadismo (acui peraltro ha dato il suo nome), ed è finito anche in galeraper questo? Tutti dimenticati. Però ho seguito un’intervistacon E. L. James, e devo dire che è una donna irresistibile,autoironica, un po’ matta. Varrebbe la pena di leggere uno deisuoi libroni solo per farla contenta.


Hai giocato con i piani narrativi legati ai tre personaggi,suggerendo al lettore molto di loro, del loro carattere, del modo chehanno di guardare la realtà, attraverso il modo che hanno di esprimersi:e con ciò implicitamente dichiarando quale sia la funzione dellostile.

Lo stile è tutto, punto.

Parlare dello stile e della sua funzionepuò sembrare scontato, ma non lo è. Oggi il romanzo (per ragazzi enon), può essere costruito al di fuori di preoccupazioni di stile,e la scrittura diventare  semplicemente funzione della tramae della definizione di precisi contenuti, per esempio di attualità,o di generi come il fantasy o la fiction.

Personalmente odio i libri che hanno una scrittura particolarmente– magari anche volutamente – piatta. “Lei è seduta accantoalla finestra. La apre. Accende una sigaretta. Il fumo sale nellastanza. Cade la cenere. Cerca un posacenere. Introvabile. Allora buttala cenere fuori dalla finestra. Poi butta anche la sigaretta. Vuolesmettere di fumare. Squilla il telefono”. Ecco, io non riesco ad andareavanti, è più forte di me, magari poi la storia si complica e diventainteressante, ma faccio troppa fatica. La scrittura diventa la didascaliadi un’immagine inesistente, e spesso prevedibile. Non mi raccontaniente di più rispetto a quello che posso percepire io della realtà,in ogni momento: la superficie senza niente dietro, anzi, con dietroil vuoto. Temiamo tutti, sempre, che dietro la realtà ci sia soltantoil vuoto, ma migliaia di anni di cultura e civiltà sono stati spesiproprio per nasconderlo. È quella la loro funzione, farci dimenticareche al di là di quello che vediamo non ci sia proprio niente.

Bela Lugosi ovvero il Conte Dracula,1927.

E più ci riescono,gli artisti e gli scrittori, più svolgono bene il loro compito; labellezza e l’armonia sono illusioni, certo, ma bisogna smascherarlesolo per poi passare la vita a nutrirci di squallore? Sai che noia. Lostile è fatto apposta per illuderci che le parole ne sappiano unpo’ più di noi su realtà diverse, nascoste e lontane, mi paremagnifico crederci, a costo di illudersi. Tanto, cosa cambia?
Un discorso completamente diverso da fare sarebbe quello della“letterarietà” e dei suoi misteri; tempo fa parlavo con unaredattrice che si mostrava molto stupita della mia passione per HarryPotter: “Ma non è mica letterario!” è sbottata. “Èscritto malissimo. ‘Ron disse’, ‘Hermione disse’,l’autrice non sa usare nemmeno dei sinonimi!”.


Daniel Jacob Radcliffe ovvero HarryPotter.

Questo è unvero equivoco. Un testo è davvero letterario, secondo me, e ha unostile inconfondibile, anche se non usa un linguaggio particolarmenteforbito (cosa non importante né essenziale), ma se riesce a crearecon il suo linguaggio un mondo, e se sa farci credere in quel mondo:l’esempio di scrittura di cui ho parlato prima non è scontato esoporifero solo perché usa termini comuni e insignificanti, ma perché leimmagini che crea, il mondo che costruisce sono opachi. Posso immaginareperfettamente cosa faccia una donna sola in una stanza alla finestra:se è una fumatrice fumerà, se è logorroica parlerà tre quartid’ora al telefono con un’amica, come lei nullafacente. Se non misi dice niente di quella stanza o di quella finestra, penso subito aquelle case in cui si è appena andati ad abitare, ancora senza mobili,e mi viene la malinconia. Se solo si aggiungesse che la sigarettaha un cerchietto d’oro intorno al filtro, penserei almeno a quellesigarette che fumavo io da giovane, per gasarmi un po’, costosissimee schifose. Magari al mentolo. Mi verrebbe in mente quel tempo là e midivertirei a ricordarlo; ma anche l’attenzione per gli oggetti, ledescrizioni accurate, sono ormai desuete. Molti libri vengono scritticome trattamenti cinematografici, in attesa di un film che magari nonverrà mai. E forse è meglio così, perché lo posso immaginare: lucilivide in una stanza, a febbraio, con un mondo grigio fuori, un’attriceimpacciata che guarda nel vuoto, del tutto inespressiva. E dal suosforzo visibile possiamo immaginare il regista, dietro la macchina dapresa, che la aizza: “A’ Tea, a’ bbella, deve fa’ vvedé chestai a suffrì! Soffri, cocca, dajje!”.

La passione per la letteratura comincia prestissimo per te, findall'infanzia e adolescenza. Cosa ti affascinava di più nei libri,cosa cercavi?

HeinrichHeine.

Cercavo discrivermi da solo i libri che nessuno aveva scritto per me, poiperò ne leggevo sempre di nuovi e scoprivo che i libri contenevanomolte più cose di quanto avrei mai potuto immaginare, perchéla fantasia si autoalimenta, quando c’è, e si spera che nonabbia mai fine. Mi piaceva però anche tutto quello che vedevooltre le pagine; sono sempre stato molto lento a leggere, perchésospendevo spesso la lettura per guardarmi intorno, e trovavo quasisempre stupefacente l’interazione fra la sfera del reale e quelladell’immaginario, nessuna delle due poteva esistere senza l’altra,erano due complici e il loro accordo segreto mi incuriosiva, proprioperché di solito erano ambiti opposti ed estranei. 

Un solo esempio:ogni volta che penso a Heine, uno dei miei scrittori preferiti,mi viene in mente una sera d’autunno in cui leggevo il suolibro Donne di Shakespeare nellacucina di mia zia Palmira, in campagna; c’era una luce fioca, la stufaaccesa, i grandi parlavano fra loro a voce bassa di problemi familiari; iotenevo il libro sulle ginocchia, era un bel volume illustrato, e pensavoalla vita diversa che facevano quei personaggi, tanto lontani da noi,però mi incuriosiva anche spiare cosa stava succedendo in famiglia,sperando in qualche scandalo. Così la zia mi sorprese a fissare ilmuro un po’ scrostato, invece delle pagine, e mi disse “C’ètroppo scuro, non riesci più a leggere?”. Come al solito, questeesperienze e questi ricordi hanno senso esclusivamente per chi li havissuti, però te li racconto per farti capire che anche l’occasionedella lettura entrava a far parte del fascino della lettura stessa: quelparticolare momento dell’anno, il buio e il freddo fuori, il senso diprotezione della stufa accesa e dell’atmosfera domestica, quei disegnibellissimi che vedevo, le parole che leggevo e il senso di mistero che sidiffondeva intorno: Desdemona era colpevole o no? Lady Macbeth sarebberiuscita nei suoi intenti? E cosa aveva combinato il nostro grassissimozio Carlo, di cui si parlava sottovoce?