L'enfant d'en haut,in italiano Sister, è uno di quei film chemettono a disagio, in cui gli adulti appaiono solo per fare orrendefigure, a fronte di ragazzini eroici e indistruttibili che simuovono miracolosamente integri attraverso prove che metterebberoin ginocchio ben altre tempre. Diretto dalla regista austriaca UrsulaMeier, interpretato da Kacey Mottet Klein, il protagonista,Simon, e da Léa Seydoux, la protagonista femminile, il film racconta lavita di espedienti di Simon, su cui grava il sostentamento di una anomala,sgangherata famiglia, di cui poco si sa e molto si intuisce.
Privo di tutto quello di cui, secondo gli esperti, il buon sensoe l'opinione comune, un ragazzino avrebbe necessità – affettistabili, autorevoli figure di riferimento, dignitosa condizioneeconomica, sicurezza, serenità, ascolto, e via discorrendo –Simon riesce a sopravvivere grazie a una pericolosa e monopolizzanteattività di ladro, che impegna tutto il suo tempo, le sue energie,i suoi pensieri. Le sue vittime sono gli sciatori che frequentanole piste di una lussuosa località alpina, in Svizzera, ai quali,con stupefacente intelligenza e abilità, complici la distrazione,l'affollamento e una chiarezza strategica da professionista, vienesottratto di tutto: caschi, cappelli, giacche a vento, guanti,occhiali, sci... Insomma, ogni voce di quel costoso equipaggiamentoche oggi è d'obbligo per frequentare una località sciistica.
Uno deipregi maggiori di questo film, è la capacità di raccontare i luoghi:il luogo dello sport è fatto di cime, rifugi, ristoranti, piste,impianti di risalita, neve. Asettico, prevedibile e impersonale, questoscenario del divertimento racconta di una popolazione indifferente eastratta, votata all'insignificanza di pratiche turistiche e sportive chesembrano assorbire tutta la sua umanità.
La valle dove Simon abita e acui ogni pomeriggio torna dopo le razzie “in alto”, è desolatamenteattraversata da strade a scorrimento veloce, costellata di brutti edifici,in una natura invernale fatta di campi grigi e stoppie gialle che nullaconcedono a un'immagine stereotipata della montagna come ambiente perdefinizione intatto e salubre. A mettere in relazione l'alto e il basso,dimensioni apparentemente senza legame, è una funivia sulla quale insolitudine Simon è solito consumare i suo pranzi, fatti di sandwichtrovati negli zaini rubati durante le sue scorrerie. Il trafficodi indumenti, accessori, panini, attrezzature sportive dai prezzifavolosi fa apparire la dimensione delle cose materiali in unaluce cruda: una montagna di merci prive di anima e carattere, senzapadrone, che sembrano essere venute al mondo per essere acquistate,rubate, e subito rivendute, in una circolarità autoreferenzialeche ne assevera la sostanziale inutilità. Il solo momento in cuiacquistano calore, e un valore comprensibile, è quando Simon, a uncuoco di un ristorante che ha scoperto i suoi commerci e lo minaccia,spiega: “rubo per comprare, pane, latte, carne, carta igienica. Cosecosì.”
Simon piazza con destrezza le sue merci. La suanumerosa clientela è fatta di coetanei stupefatti di poter entrarein possesso di sci e indumenti costosi a prezzi di liquidazione, edi adulti che hanno poca voglia di indagarne la provenienza, e sela intuiscono è solo per riuscire a spuntare un prezzo migliore,o per arraffarla gratuitamente. Il denaro ricavato, per Simon(che candidamente confessa di non saper neppure sciare), segna iconfini dello spazio e del tempo a cui ha diritto nel mondo.
Uno spazio eun tempo sfuggenti, ambigui, soggetti a una costante incertezza. Unospazio materiale, ma soprattutto, paradossalmente, emotivo, affettivo,esistenziale, interiore. Come interiore è il tempo della sua vita,delle sue esperienze, che Simon protegge, costantemente minacciatodal bisogno, dalla delusione, dall'incomprensione. Colpiscono diquesto personaggio il coraggio e la determinazione, l'intelligenza,la pazienza e la capacità di sopportazione. Si rimane stupefattiall'idea che un ragazzino in stato di sostanziale abbandonoriesca a provvedere con tanta inventiva e abilità a se stesso,con le sue sole forze e risorse.
E insieme stupisce che Simonnon venga mai sfiorato dal pensiero di poter ricorrere a un aiutoesterno, come ne avesse in prima istanza intuita la pericolosità,temendone le conseguenze e l'inadeguatezza; e in seconda, la fondamentaleinattendibilità, imprevedibilità degli interlocutori adulti, incapaci,per le ragioni più disparate – dal disagio alla disperazione,dall'egoismo alla stupidità e alla grettezza - di mettere altro chese stessi davanti a tutto. E ci si ritrova così ad ammirare questopiccolo ladro, non certo per l'abilità a delinquere (anche per labuona ragione che mai si ha l'impressione che effettivamente i suoisiano crimini), ma per l'umanità profonda, la dedizione, la saggezza,l'umiltà e la tenacia che mette in tutto quel che fa.
Tempofa, appena dopo la strage di Beslan, lessi un'intervista a Leonid Roshal, medico pediatra espertodi bambini in condizioni di emergenza. Rimasi molto impressionatadalla sua affermazione che i bambini sono resistentissimi, dotati dienergie, forze e risorse fisiche e mentali straordinarie, e per questoin grado di fare fronte alle situazioni più difficili. Più fragilied esposti sono, invece, gli adulti.
L'enfantd'en haut racconta soprattutto di questo. E dovremmo tenerlopresente tutte le volte che siamo di fronte a un bambino, riflettendosu cosa possa significare davvero educarlo e farlo crescere, nelpieno rispetto della sua persona.
A fine stagione,chiusi gli impianti, Simon vede sfumare ogni possibilità disopravvivenza. Dovrà ricominciare tutto da capo. Gli ultimi a lasciare lecime, sono i lavoratori stagionali dei rifugi e delle funivie. Rimangonoloro due: il bambino e la montagna. Liberi di tornare a essere, in questoincontro, quel che sono: la montagna, di manifestare la sua natura,sotto i fulmini e i lampi notturni di una tempesta primaverile. Ilbambino, un bambino finalmente abbastanza al sicuro, nel grembo nerodella notte e della solitudine, da potersi abbandonarsi a un pianto dipaura e disperazione. In uno spazio e in un tempo, per quanto severi,di verità ritrovata e, sebbene fuggevolmente, ristabilita, come accadenelle fiabe quando si perde la strada. È a questo “alto”, di iniziazione, di crescita, che credo alluda il bellissimo titolofrancese del film.
L'enfantd'en haut ha vinto l'Orso d'Argento al Festival di Berlino2012. È anche stato uno dei tre film finalisti selezionati dalloYoung AudienceAward, insieme al belga Blue Bird e all'olandeseKauwboy (il film che ha vinto). Lo YoungAudience Award ha per oggetto i film dedicati ai ragazzi. Èstato inventato e organizzato da European Film Academy (EFA)per festeggiare i 25 anni del premio European Film Awards. Itre film selezionati sono stati visti e valutati da seigiurie di ragazzi dai 10 ai 13 anni, in sei città europee:Amsterdam, Belgrado, Copenhagen, Erfurt, Norrköping e Torino. Bella l'idea di proporre ai ragazzi un filmcosì fuori dagli schemi. E bello che li si sia reputatispettatori all'altezza di un film non creato espressamente perloro, ma che parla di uno loro.