[di Rosa Tiziana Bruno]
Usare le parole per inventare il mondo: in questo consiste il mio lavoro di scrittrice. I ragazzi mi chiedono spesso perché scrivo. Cos’è che mi spinge a impiegare ore per arrivare a una frase perfetta, a impiegare tempo per plasmare dialoghi e cercare aggettivi efficaci?
La risposta è semplice: scrivo perché ho imparato a leggere da bambina e le storie che leggevo mi rendevano felice. La lettura trasformava la mia vita in maniera meravigliosa, dandomi la possibilità di vivere esperienze entusiasmanti. All’ultima pagina richiudevo il libro e mi sentivo molto più ricca, capace di scrutare oltre l’apparenza e di affrontare qualsiasi contrarietà o insuccesso. Una magia che continua ancora, ogni volta che mi dedico alla lettura. Il passaggio alla scrittura è stato, poi, il completamento naturale della lettura. Quello che maggiormente desidero è rendere felici i miei giovani lettori come lo sono stata io da bambina. Ho scoperto il piacere di giocare con la parola scritta a nove anni, in un pomeriggio piovoso, mentre inventavo una sceneggiatura con Arlecchino, Rosaura e Pantalone. Mi sentivo libera: potevo immaginare qualunque cosa e questo era elettrizzante.
Sono proprio i ricordi dell’infanzia a guidarmi nella mia attività di autrice: quella volta in cui sobbalzai di stupore per le incredibili unghie di Pierino Porcospino, quell’altra in cui risi a crepapelle per le avventure di Giovannino o quando rimasi con il fiato sospeso mentre Zio Lupo saliva sul tetto.
Pierino Porcospino, di Heinrich Hoffmann (Hoepli, 1985).
Zio Lupo, di Italo Calvino (I Quindici, 1964). Illustrazione di Renata Meregaglia.
Il mondo fiabesco è stato centrale nella mia formazione. Mi ha offerto il modo per capire, sognare, crescere, progettare. È stato il serbatoio per imparare i sentimenti, per acquisire consapevolezza delle emozioni, per sciogliere i nodi interiori. Ecco perché nei miei libri c’è il seme evocatore della fiaba, sempre. Un seme che ritengo fondamentale per l’individuo come per la società intera, in qualunque epoca.
Dopo un periodo in cui sono state criticate, contestate, mortificate, per fortuna le fiabe cominciano a recuperare il loro ruolo. Oggi vengono addirittura usate nei seminari motivazionali delle grandi aziende o anche in psicoterapia. Ma c’è ancora molto da lavorare perché la letteratura fiabesca diventi un tesoro davvero condiviso. Troppi genitori affidano i bambini al televisore piuttosto che invogliarli a leggere, troppi adolescenti vivono incollati a uno schermo, troppi ragazzi non sono mai entrati in biblioteca. La famiglia è in difficoltà, lo sappiamo, e la scuola resta forse l’unico luogo dove poter ancora praticare l’arte della lettura. Eppure il sistema educativo attraversa un momento di grande crisi.
Conosco nei dettagli la situazione perché insegno nella scuola superiore e inoltre mi occupo di ricerca sociologica. Osservo pertanto con sguardo analitico le problematiche legate al mondo dell’istruzione: classi numerose, bisogni educativi speciali, bullismo, alunni stranieri, disturbi dell'apprendimento, disturbi caratteriali, difficoltà relazionali, bisogno d'inclusività.
I docenti affogano in un mare di incombenze burocratiche sempre più gravose e tra i banchi circola la noia e il disamore per la conoscenza. Manca il desiderio di apprendere, in molti casi tutto sembra ridotto a un processo meramente meccanico, in cui la gioia è grande assente. Siamo in vera e propria emergenza, e i vecchi metodi didattici non funzionano più. Servono strategie innovative per dare respiro alla scuola. Cosa fare? L’urgenza mi ha spinto a cercare nuove strade e, ancora una volta, la fiaba è ritornata con forza nella mia vita di autrice e di studiosa.
Ho sperimentato, con ricerche sul campo, come la letteratura fiabesca sia in grado di dare nuova linfa al sistema dell’istruzione. È uno strumento davvero potente che può essere usato nella didattica delle discipline scientifiche come di quelle umanistiche. Sì, con la fiaba è possibile insegnare matematica, scienze, geografia, informatica, storia, lingue. Occorrono però competenze specifiche per utilizzarla nel modo giusto, non si può lasciare tutto all'improvvisazione. Così, nel 2012, ho iniziato un viaggio nelle scuole, portando in giro un seminario di formazione sull’uso della fiaba nella didattica. Ben presto le richieste sono diventate talmente numerose da rendere impossibile per me soddisfarle tutte. Gli insegnanti chiedevano un testo di riferimento, una guida operativa, e dunque ho scritto un libro: Insegnare con la letteratura fiabesca.
Non avrei mai immaginato di vederlo uscire fuori dai confini italiani. Invece, a pochi mesi dalla sua pubblicazione, è stato richiesto nella Svizzera tedesca, segno che anche altrove si avverte il bisogno di nuove strategie didattiche. In Italia, alcune università lo hanno adottato come testo per i laboratori di Pedagogia e Letteratura per l’infanzia, ne sono davvero felice.
Tengo particolarmente a questo libro perché racchiude le mie tra grandi passioni: scrittura, insegnamento e ricerca sociologica. Ma, soprattutto, spero che diventi un autentico strumento di gioia per insegnanti e bambini. Perché la gioia dell’apprendere non è un vezzo, è un elemento essenziale. Se venisse a mancare, si potrebbero ottenere solo risultati transitori e trascurabili.
«I concetti che impariamo in maniera immediata e facile sono quelli collegati alle emozioni positive.»
Quando le emozioni negative sono forti, per esempio se un bambino prova ansia o paura, la concentrazione diventa difficile e diventa complicato anche relazionarsi agli altri, credere nelle proprie capacità, trovare la giusta motivazione. L’intelligenza emotiva ricopre davvero un ruolo importantissimo nell’apprendimento. Ogni individuo, specie se giovanissimo, per poter imparare qualcosa deve avere un buon rapporto con le proprie emozioni. E questo vale anche per gli insegnanti. Chi lavora con i piccoli deve riuscire a capire ogni tipo di emozione e sentimento, senza giudicare o punire. Quando si lavora con i bambini non può esserci spazio per il giudizio sui sentimenti. Le emozioni vanno accettate per poterle poi trasformare in qualcosa di positivo e utile alla vita.
Le storie fiabesche incoraggiano l’apprendimento perché coinvolgono emotivamente, nel pieno rispetto della diversa sensibilità di ognuno. Questo vale in ogni grado di scuola: dall’Infanzia alla Primaria, fino alla Secondaria. I giovanissimi, in molti casi, a prescindere dall’età, arrivano a scuola carichi di difficoltà. Il deficit di attenzione, per esempio, è un problema diffuso sia tra i bambini che tra gli adolescenti, e gli psicologi spiegano che deriva dall’uso compulsivo di apparecchi elettronici. La buona notizia è che il livello di attenzione può essere potenziato in qualsiasi fase della vita, insieme alla consapevolezza dei propri stati d’animo e all’empatia. La letteratura fiabesca racconta sempre eventi che riguardano l’essere umano nel suo cammino, e questo cattura facilmente l’attenzione, anche quella del più irrequieto dei bambini. L’importante è utilizzare le giuste strategie, adottare un metodo efficace di comunicazione. Non è difficile, anzi è un’attività piacevole che coinvolge positivamente anche l’adulto. La lettura a voce alta è un atto di accoglienza e di cura che regala emozioni meravigliose a chi ascolta e a chi legge.
È necessario insegnare ai ragazzi a pensare. L’insegnamento delle materie tradizionali come la matematica, le scienze, le lingue, deve essere affiancato da strategie educative che consentano di acquisire consapevolezza di come funzionano la propria mente e i sentimenti ed è esattamente ciò che possiamo fare con la pratica della lettura e della narrazione fiabesca. Fin dai primi anni dell’apprendimento scolastico, la letteratura conduce i piccoli a sviluppare le doti critiche, il pensiero autonomo, la capacità di ragionare in modo logico e di creare nuove idee. Non a caso ho scelto Alice per la copertina del libro: è il personaggio che più di ogni altro rappresenta l’esplorazione della realtà interiore, sia mentale che emotiva, con tutte le sue contraddizioni. Questo tipo di esplorazione è vitale non soltanto per bambini e ragazzi, ma per tutti noi, a qualunque età.
Per migliorare la didattica, ma anche in generale la qualità della nostra vita, dobbiamo necessariamente imparare a gestire le nostre emozioni e quelle dei ragazzi: è necessario saperle governare tutte, sia quelle che creano squilibrio (paura, invidia, rabbia, gelosia) che quelle piacevoli (gioia, speranza, volontà, gratitudine, fiducia). Se, insieme ai nostri ragazzi, impariamo a canalizzare l’energia emotiva, questo avrà un impatto positivo sul loro rendimento scolastico, sulle loro relazioni e sul benessere psicofisico di noi tutti, bambini, docenti e genitori. E sì, finalmente potremo dire di aver inventato un mondo nuovo. Proviamoci, ne vale davvero la pena.