Oggi vi presentiamo Acerbo sarai tu, la nouva raccolta di poesie di Silvia Vecchini, attraverso le parole di Francesco Chiacchio, che l'ha illustrata attraverso una esplorazione geografica. Infatti, spiega: le poesie a un certo punto "erano diventate come le strade di una città che conoscevo alla perfezione, ma era giunto il momento di cominciare ad esplorarle abbandonando le mappe e i navigatori satellitari.»" Qui trovate il pezzo in cui Silvia parla delle sue poesie.
[di Francesco Chiacchio]
Amo leggere, e penso che una delle principali fonti d'ispirazione per un disegnatore sia proprio la parola. Per questo la poesia può portare l'immaginazione a esplorare e scoprire terre lontane e sorprendenti. Come cantava Francesco De Gregori in Poeti per l'estate, «Quando fra tanti poeti ne trovi uno vero, è come partire lontano, come viaggiare davvero». Ecco, in questo senso io ho avuto la fortuna di viaggiare insieme a Silvia Vecchini. Quando Giovanna Zoboli e Paolo Canton mi hanno spedito le sue poesie, sulla prima pagina ho letto il titolo Acerbo sarai tu. Mi sono sentito subito chiamato in causa, così ho girato pagina e tra le pagine mi sono ritrovato, mi sono riconosciuto, come capita coi libri che senza averlo deciso in qualche modo ci riguardano. C'è una frase di Borges che spiega bene questa condizione, questa situazione: «Il libro è lo specchio di ogni volto che sopra vi si china».
Il compito che mi attendeva era quello di trovare un segno per le illustrazioni del libro, un alfabeto, una lingua personale che mi portasse a dialogare con le poesie di Silvia.
I primi tentativi sono stati fallimentari, il segno appariva come troppo addomesticato, controllato. Mentre le parole di Silvia si muovevano libere sulla pagina, i miei disegni stavano fermi e muti.
Ricordo di essermi definitivamente arenato lavorando al disegno di un ragazzo seduto sul ramo alto di un albero. Un piccolo barone rampante che guardava l'orizzonte pensieroso. Ero proprio io, immobilizzato tra le foglie: non riuscivo più a scendere!
Giovanna mi ha scritto una bella lettera elettronica, che ho stampato e conservo tutt'ora perché mi aiuta di volta in volta a riflettere su quello che sto facendo. Ho seguito e percorso le sue parole come i gradini di una scala a chiocciola e così sono riuscito a scendere dall'albero.
Con Giovanna e Paolo a quel punto ci siamo seduti intorno al grande tavolo in legno dei Topipittori e abbiamo guardato insieme tutti i miei quaderni, popolati da disegni liberi di musicisti, ciclisti, circensi e cavalieri.
Abbiamo deciso che saremmo ripartiti da quei segni, e Paolo mi ha detto provocatoriamente: «Ora dimentica le poesie, le conosci fin troppo bene». Era vero, avevo quasi imparato a memoria le poesie di Silvia, erano diventate come le strade di una città che conoscevo alla perfezione, ma era giunto il momento di cominciare ad esplorarle abbandonando le mappe e i navigatori satellitari. A questo punto sono ritornato al segno, alla voce che cercavo, concentrandomi piuttosto sui sentimenti.
Mi sono appuntato una frase dei fratelli Taviani che mi pare particolarmente efficace al riguardo: «Cerca lo stile e troverai la morte, cerca la vita e troverai lo stile». Ho ricominciato le mie illustrazioni per il libro con un nuovo atteggiamento: ho lavorato senza disegni preparatori, ma affrontando il foglio direttamente con i colori e la materia. Rimango incantato quando guardo i bambini che stanno per imparare a camminare, che provano i primi passi sollevandosi da terra per poi ricadere dopo un attimo.
Come le rondini al loro primo volo, c'è quella sensazione speciale di salto nel vuoto, nell'ignoto, che è bellissima e tremenda allo stesso tempo. È una sensazione che associo molto anche all'età dell'adolescenza, quando le scelte e le passioni sono brucianti. Ecco, ho cercato di lavorare ad ogni illustrazione con questo atteggiamento: senza paracadute o misure di sicurezza. Piuttosto riprendevo il disegno applicandoci sopra un nuovo pezzo di carta su cui tornare a disegnare.
E così via, sbagliando e ripartendo dall'errore senza cancellarlo ma trasformandolo e sfruttandolo come un’occasione, un punto di passaggio necessario per ottenere una soluzione migliore. Ogni singola illustrazione porta con sé tutte le tracce del suo processo di definizione. Sono completamente d'accordo con Gianni Rodari quando nel suo libro Grammatica della fantasia immagina di modificare il proverbio "Sbagliando s'impara" con "sbagliando s'inventa", o con Miles Davis quando dice: «Non è la nota che suoni ad essere sbagliata. È la nota che suoni dopo che la rende giusta o sbagliata».
Visto che ho citato anche un grande musicista, voglio chiudere questo mio scritto con una piccola curiosità. Durante buona parte della lavorazione alle illustrazioni di questo libro, ho ascoltato ripetutamente un disco di Giorgio Pacorig e Zeno De Rossi, Sleep Talking. Quella musica mi ha aiutato ogni giorno a riconnettermi con le parole di Silvia, e a immergermi nei colori liquidi del foglio con concentrazione.
Con le mie illustrazioni ho cercato di indagare sul perché le poesie di Silvia mi riguardassero, e sono curioso di sapere dai lettori cosa loro troveranno di sé stessi tra le pagine di questo libro, tra le parole di Silvia e i miei disegni.