Qualche giorno fa, in treno, andando a Padova per parlare all'università di immagini e parole, invitata da Donatella Lombello, ho letto Riflessie ombre, un libro di Saul Steinberg (con Aldo Buzzi), che parla, guarda un po', di parole e di immagini. Saul Steinberg sapeva usare benissimo entrambe. Di sé, infatti, il disegnatore dicev a“di essere uno scrittore che disegnava invece di scrivere”, come riporta Aldo Buzzi nella brevissima introduzione al volume.
Leggendo queste parole mi è venuto in mente Dino Buzzati che una volta ha scritto: “Il fatto è questo: io mi trovo vittima di un crudele equivoco. Sono un pittore il quale, per hobby, durante un periodo alquanto prolungato, ha fatto anche lo scrittore e il giornalista. Il mondo invece crede che sia viceversa e le mie pitture quindi non le 'può' prendere sul serio. La pittura per me non è un hobby, ma il mestiere; hobby per me è scrivere. Ma dipingere e scrivere per me sono in fondo la stessa cosa. Che dipinga o che scriva, io perseguo il medesimo scopo, che è quello di raccontare delle storie.” Ecco, il punto è questo, credo: raccontare.
Illustrazione di Saul Steinberg.
Riflessi e ombre è un libro magnifico. L'intelligenza che lo attraversa è limpida come un diamante. Limpido lo sguardo che si posa sulle cose, e che ci fa vedere, nel senso pieno e autentico della parola. Ci apre gli occhi. Si legge in un viaggio e in un viaggio si ha l'esatta misura dicosa sia un racconto: visivo; verbale. Dovrebbero inserirlo come lettura obbligatoria in tutte le scuole, le accademie, i corsi, le facoltà eccetera di illustrazione, disegno, design, pittura eccetera.
Quando mi sono alzata dal mio posto per scendere alla stazione di Padova, ho guardato con invidia i passeggeri che rimanevano seduti. Destinazione, Venezia.
Lo scorso Natale, grazie a una cara amica che ci ha prestato la sua casa, abbiamo fatto una lunga vacanza a Venezia. Stare a Venezia più dello spazio convulso di un fine settimana, è un lusso inimmaginabile. Certo, visite amostre e a musei. Ma anche giornate intere a perdere tempo, semplicemente camminando e guardando. Spesa al mercato di Rialto. Col buio, poi, a casa a leggere e a dormicchiare. La mattina, come personaggi di un film di Woody Allen, corsa alle zattere, nel gelo e nella luce. Penso sia stata una vacanza fra le più belle mai fatte.
Da poco, mi è capitato fra le mani un libro di Lorenzo Mattotti,Venise. En creusant dans l'eau, pubblicato da Galeriemartelnel 2008 (e, in occasione di una mostra tenutasi alla Fondazione Bevilacqua La Masa, initaliano, nel 2009, dal Consorzio Venezia Nuova,e, nel 2011, dalle edizioni Logos, col titolo Venezia. Scavando nell'acqua). Sfogliandolo, ho pensato che mai avevo visto immagini che, come quelle, fossero in grado direstituire esattamente la verità di questa città. Ho ritrovato in questi disegni in bianco e nero, l'esperienza fatta da pochissimo di stare a Venezia, di essere in questa città.
Un luogo così celebre e celebrato, da risultare sfuggente, da nascondersi a sguardi e visioni distratti dietro cliché realizzati per sostituirsi alla realtà. Si può andare a Venezia, in effetti, e tornare a casasenza esserci mai stati. Così, come, mi viene da dire sfogliando illibro di Mattotti, si può essere stati a Venezia, senza esserci maiandati. Come è possibile, questo?
Ce lo spiega Saul Steinberg nel libro di cui ho appena parlato, in una pagina illuminante sul disegno dal vero (e del disegno parla anche qui).
Da studente di architettura ho fatto con lascuola un bel viaggio di istruzione a Ferrara e a Roma. È lì che per la prima volta ho fatto dei disegni dal vero. Io, che non ho mai avuto una preparazione artistica professionale e ho imparato a disegnare facendo dei disegni, avevo pensato fino allora più che altro al disegno inventato, cose di fantasia. Durante quel viaggio ho capito come è difficile fare un disegno dal vero, quanto è importante capire la natura, la verità della realtà. Capire la verità dell'oggetto del disegno – uomo, architettura, paesaggio – è una cosa complessa perché non è una verità visibile, una verità superficiale. E richiede un grande sforzo, un impegno che qualche volta, per pigrizia si cerca di evitare (è piùfacile inventare). Si deve riuscire a stabilire una complicità conl'oggetto che si disegna, fino a arrivare a una conoscenza profonda di esso. Non si disegna bene se si dice una bugia. E inversamente: se in un disegno dal vero si è detta la verità, il disegno risulta automaticamente un buon disegno. Un'altra difficoltà del disegno dal vero è che ci obbliga a trovare delle risposte a domande mai poste prima d'ora. Quello che si fa lavorando nello studio risponde spesso a domande che già si conoscono.
Fare un ritratto è difficile. Bisogna prima passare un momento critico in cui rapidamente – se si è fortunati – ci si sbarazzadi tutti i luoghi comuni sull'oggetto del disegno. Più che inventare è difficile abbandonare le virtù accumulate. Quello che si è scoperto ieri già non è più valido. Non è possibile trovaredel nuovo senza prima abbandonare qualcosa.
C'è una morale in questo. È l'avarizia che ci trattiene, specialmente se non solo siamo innamorati di quello che abbiamo scoperto ma siamo anche sicuri che è buono. C'è chi, lavorando dal vero, usa continuamente il bagaglio trovato ieri, lavora dal vero senza davvero guardare, senza lavorare dal vero.
Perché ho una tale riluttanza a lavorare dal vero? E cerco tutti i pretesti per non farlo? È difficile dire la verità su qualsiasi cosa, o rappresentare se stesso attraverso qualcos'altro.”