Le fate formiche e le voci interiori

L'ultima novità del 2024 è Il regalo delle fate formiche, della coreana Shin Sun-Mi, già autrice di Le fate formiche, uscito nel 2020 3 apprezzatissimo da lettrici e lettori italiani. Lo presenta Beatrice Bosio.

[di Beatrice Bosio]

Qualche anno fa, con una compagna di Erasmus conosciuta da poco ma rivelatasi presto una cara amica, sono andata al cinema a vedere Petite Maman di Céline Sciamma, un film che mi ha commossa e a cui, da allora, ho ripensato spesso.

La trama, in breve, è questa: in seguito alla morte della nonna materna, la piccola Nelly trascorre qualche giorno insieme ai genitori nella vecchia casa in cui ha abitato la madre durante l’infanzia e che adesso dev’essere svuotata. Esplorando il bosco nei dintorni dell’abitazione, Nelly s’imbatte in una bambina intenta a costruire una capanna con tronchi e rami di legno e si offre di aiutarla. Basta quella silenziosa complicità nel gioco a renderle subito amiche.

Ma Nelly ben presto capisce che quella bambina di nome Marion, a lei straordinariamente somigliante oltre che coetanea, è sua mamma da piccola, “petite maman” appunto. Come nelle migliori fiabe, il bosco si rivela quindi luogo di incanti e magie, portale tra passato e presente, dimensione limbica e isolata in cui diventa possibile l’impossibile. Percorrendo in un verso e nell’altro il sentiero che conduce da casa alla radura, Nelly fa avanti e indietro nel tempo, in un duplice confronto con la figura materna: da una parte c’è Marion adulta, costretta a fare i conti con la perdita della propria madre; dall’altra c’è Marion bambina, che, pur dovendo affrontare a breve una non meglio precisata operazione in ospedale, si gode la nuova amicizia tra giochi, chiacchiere e merende condivise. Nelly, che inizialmente mantiene segreta la propria identità, a un certo punto svela alla petite maman il rapporto di parentela che le lega: questo accresce la loro intimità, ma le rende anche ben consapevoli della fugacità di questo incontro, che si sottrae alla linearità del tempo. Sanno che non ci sarà una prossima volta insieme, non così.

Grazie all’attenzione e al rispetto con cui la regista francese immortala gesti, comportamenti e modi di fare propri dei bambini, e all’incredibile interpretazione delle gemelle Joséphine e Gabrielle Sanz, la pellicola restituisce un ritratto di infanzia autentico, fedele alla realtà nonostante la natura fantastica dell’espediente narrativo. Petite Maman è un film dai toni pacati e dimessi, che colpisce per la sua delicatezza, non ha colonna sonora (fatta eccezione per una singola scena, in cui esplode “la musica del futuro”), tutto è lasciato ai rumori che fanno le due bambine – lancio di sassi, tiro di dadi, fischi con le dita, quaderni sfogliati, coperte rincalzate, sorsate di latte e cacao –, suoni inconfondibili dell’infanzia. I dialoghi sono pochi e ben misurati, ma così incisivi da ancorarsi al cuore.

Ricordo come, appena uscita dal cinema e nei giorni successivi, non abbia potuto fare a meno di interrogarmi sull’infanzia di mia madre. Mi rammaricavo per l’impossibilità di incontrare mia mamma bambina, convinta che senza un confronto con la sua versione “petite” non avrei mai avuto completo accesso alla sua identità di persona. Diversamente da Nelly, che negli ultimi fotogrammi del film si rivolge alla madre adulta chiamandola per la prima volta col nome proprio, “Marion”, perché ormai sa chi è oltre alle vesti di mamma.  In Il lavoro di una vita, Rachel Cusk, nel tentativo di descrivere il diventare madri secondo la sua personale esperienza, identifica il parto come uno spartiacque nell’esistenza di una donna, un atto che la divide da se stessa, che segna inevitabilmente un prima e un dopo nella sua vita. E nel dopo “quando […] sta con i figli non è se stessa; quando non sta con loro non è se stessa”. Mi sembrava, allora, che conoscere la propria madre da piccola, come accade a Nelly nel film, volesse dire avere la fortuna di conoscerla nel prima della sua vita, quando era ancora pienamente se stessa, e, per di più, in quel modo onesto e schietto di quando si hanno pochi anni in tasca e tutto il tempo del mondo davanti.

Qualche mese dopo aver visto insieme Petite Maman, la stessa amica mi ha regalato per Natale un albo coreano pubblicato in Italia da Topipittori, Le fate formiche di Shin Sun-Mi. Sfogliandolo in libreria aveva subito pensato a me. Come il film di Sciamma, infatti, il libro racconta dell’incontro tra una madre e suo figlio, entrambi bambini. Anche in questo caso la storia ha un che di fiabesco, a partire dall’ambientazione, non più il bosco di Nelly e Marion, ma un’altra dimensione di confine, marginale, abitata dall’invisibile e tradizionalmente animata da incantesimi di ogni sorta: la notte.

È proprio nel cuore di una notte d’inverno, annunciata nei risguardi da una finestrella contornata da un filo di lucine e oltre i cui vetri appannati s’intravedono una falce di luna e un cielo cupo, che un bambino febbricitante si risveglia. Accanto a lui c’è la madre addormentata, che lo ha accudito tutto il giorno, e intorno al cuscino si muovono lievi delle minuscole figure femminili, vestite di tutto punto con magnifici abiti tradizionali. Sono le fate formiche che danno titolo al racconto, “molto piccole e silenziose, come formiche”, precisa la stessa autrice all’inizio del libro, “vivono con noi, anche se i nostri occhi spesso non le vedono”. È la presenza di queste creature gentili e misteriose, invisibili a molti, a richiamare nuovamente il genere della fiaba, specialmente quando, dopo aver rivelato al protagonista di aver conosciuto sua mamma da bambina, gli consegnano, come vere aiutanti, un oggetto magico: un anello appartenuto alla madre durante l’infanzia e poi da lei stessa donato alle fate formiche. La madre apre gli occhi e trova affianco al figlio, ora guarito, l’anello a lei familiare, lo osserva e lo indossa. È allora che ha effetto la magia: la madre adulta ritorna bambina, si trasforma in una petite maman, come Marion nell’omonimo film.

Con gli occhi dell’infanzia la madre riesce finalmente a rivedere le fate formiche, amiche dalle quali si è allontanata crescendo, e può giocare di nuovo con loro, in compagnia di suo figlio, bambino come lei. L’albo si conclude con questo incontro ravvicinato tra due infanzie, una passata e una presente, che si guardano alla stessa altezza e, specchiandosi, si riconoscono: da una parte, la vita che era e, dall’altra, la vita che sarà. Il bambino di Shin Sun-Mi, consapevole dell’importanza di questo momento per la sua piccola mamma, con fare amorevole e sorridente le dice, anzi, le chiede: “Stai bene, mamma?”, perché questo, in fondo, è ciò che sta più a cuore a un figlio nei confronti della propria madre – e non solo viceversa. Lo dimostra bene anche Nelly che, in una delle scene più toccanti di Petite Maman, confessa alla Marion bambina la sua preoccupazione per la mamma (la Marion adulta), spesso triste. “Raramente sei contenta di esserci”, sussurra Nelly, temendo di esserne in qualche misura la causa, ma Marion subito la rassicura, “Non hai creato tu la mia tristezza”.

Le fate formiche è, come lo ha definito Giovanna Zoboli, un “libro defilato”, una “storia minima”, con “l’atmosfera pacata di gentilezza e silenzio”: altri aspetti che, a mio avviso, lo accostano alla pellicola di Céline Sciamma. A questa sobrietà si sposano un raffinato gusto per l’eleganza, un’estrema minuziosità nel raffigurare vestiti, accessori e oggetti della tradizione coreana, e un’acuta precisione nel rendere i corpi, i volti, i gesti e le espressioni dei personaggi – compreso il gattone rosso che si nasconde in ogni pagina –, messi in risalto dalla quasi assenza di arredi e dal vuoto tutto intorno. Il risultato finale è un piccolo gioello da sfogliare e risfogliare, infinite volte, tant’è che dal Natale in cui l’ho ricevuto non l’ho mai spostato dal comodino. 

 

Non mi immaginavo certo che, a distanza di tempo, avrei aggiunto alla pila di libri affianco al letto anche il suo seguito, Il regalo delle fate formiche. Approdato in libreria da un mese e accolto subito con grande entusiasmo, questo nuovo titolo di Shin Sun-Mi conclude le novità dell’anno di Topittori (quale perfetto epilogo!). Protagoniste sono ancora le fate formiche, esseri misteriosi e benevoli che abitano le infanzie e spariscono tra le ombre proiettate dall’avanzare dell’età; insieme a loro ritroviamo il bambino, la madre e l’immancabile gatto rosso incontrati nel precedente libro. A questi si aggiunge un nuovo personaggio, la nonna, che rende manifesta quell’ambivalenza che, secondo Cusk, è intrinseca all’essere madre: si diventa madri, e al contempo si è figlie; di nuovo presente e passato insieme, come in Petite Maman. Anche il film di Sciamma, infatti, evidenzia quest’ambivalenza propria della maternità grazie a quel duplice confronto con la figura materna che riguarda non solo Nelly, ma anche Marion, che come figlia bambina si relaziona con la madre (quindi la nonna di Nelly) ancora viva, mentre come figlia adulta ne affronta il lutto.

Tornando a Il regalo delle fate formiche, la narrazione questa volta è affidata alla voce del figlio, che appare un po’ cresciuto e racconta, in prima persona, di come sua madre e sua nonna, sfogliando un vecchio album di fotografie, rievochino un tempo passato per cui provano entrambe nostalgia. Sorridono eppure sembrano dispiaciute, com’è inevitabile che accada quando si riguardano le immagini di un’infanzia o una giovinezza ormai trascorsa.

Per far felici mamma e nonna, il bambino, memore dell’anello magico ricevuto la scorsa volta dalle fate formiche, chiede loro aiuto. Le amiche si mettono subito all’opera e laboriose confezionano due vestiti speciali, apparentemente modesti e identici all’esterno, ma foderati all’interno con pregiati tessuti, uno azzurro e uno verde, impreziositi da ricami floreali in oro. Sono mantelli invisibili che, indossati, possono riportare la madre e la nonna del protagonista al tempo di cui sentono tanto la mancanza. Le due donne si vestono e allo scoccare della mezzanotte – come nel primo libro, è col favore del buio che ha inizio la magia – si mettono in viaggio verso il passato, per un finale davvero commovente.

Sulla trama de Il regalo delle fate formiche non aggiungo altro per non rovinare la sorpresa a chi ancora non l’avesse letto, ma prima di concludere mi soffermo su quanto questo nuovo titolo sveli rispetto alle magiche creature che da anni – a detta della stessa Shin Sun-Mi – popolano i suoi disegni e le sue storie.

Nel saggio Una frescura al centro del petto, Silvia Vecchini, indagando sulla vita spirituale dei bambini attraverso la lente degli albi illustrati, si chiede cosa siano esattamente le fate formiche e giunge alla conclusione che questi esseri inventati dall’autrice coreana siano le voci interiori, i desideri, gli aspetti diversi della coscienza di ciascuno; una piccola copia di sé che, resistendo allo scorrere del tempo, si conserva intatta dentro ognuno di noi. A sostegno della sua tesi, Vecchini fa notare come nelle ultime pagine de Le fate formiche compaia un bambino minuscolo che prima non c’era, tenuto per mano da una delle fate. È il bambino che si nasconde nel figlio: anche lui, come la madre, ha già una parte più segreta, un’infanzia destinata a resistere nonostante la crescita, perché custodita nelle profondità del sé. In Il regalo delle fate formiche, questa chiave di lettura è ulteriormente confermata dalla presenza non più di uno, bensì di almeno tre minuscoli bambini, anche loro piccoli e silenziosi, come formiche, appunto. Sono i bambini nascosti nel bambino, ormai numerosi quasi quanto le bambine nascoste nella madre e, perché no, quelle nascoste nella nonna. Stando all’interpretazione di Vecchini, è come se in questo secondo libro tutti e tre i personaggi fossero più consapevoli del mistero che si portano dentro, e per questo più capaci di congiungersi con il sé che sono stati e con quello al quale andranno incontro.

Credo che gli albi di Shin Sun-Mi, entrambi dotati della qualità artistica e dell’incanto propri di una fiaba, siano per i lettori, piccoli e grandi, come magiche porte d’ingresso in loro stessi e possano rendere visibili ai loro occhi le fate formiche che li circondano.

Al soggetto delle fate formiche e dell'infanzia Shin Sun-Mi ha dedicato molte opere, non entrate nei libri realizzati , fra le quali questa.