La scorsa settimana al Teatro Argentina, ha debuttato Leo, uno spettacolo incentrato sull'infanzia di Leonardo da Vinci, a cui Luisa Mattia ha collaborato per la realizzazione del testi, con Alberto Nucci Angeli. Le abbiamo chiesto di raccontarci questa esperienza, interessante per il soggetto e per il modo in cui è stato trattato, anche visivamente. La ringraziamo per aver accolto la nostra proposta. Le foto che corredano questo post sono state realizzate da Achille Lepera. Ricordate che se volete andare a vederlo, rimarrà in scena fino al 20 febbraio.
[di Luisa Mattia]
Leonardo da Vinci è un labirinto, un domino interminabile e seducente, un incanto di pensiero e di invenzioni, un profeta della scienza, dell’arte, della tecnologia. A guardare i suoi disegni, a leggere le sue note e le sue poesie, l’impressione che se ne ricava è che, dopo di lui, nessuno abbia pensato e inventato nulla e che Leonardo abbia disegnato e segnato strade e opportunità per i secoli a venire.
Di Leonardo sappiamo tutto. Almeno, ci illudiamo che sia così. Nella immensa mole di saperi e di sapienza diffusa, c’è una molteplicità di nicchie segrete, discrete e pudiche, spesso nascoste a proposito della sua biografia più personale.
Ciò che è nascosto, che resta sconosciuto, è intrigante e si propone come terreno fertile per l’invenzione narrativa. Tanto di più se il narratore e il narrato si chiamava e si chiama Leonardo da Vinci, spesso definito “geniale”.
Ma c’è un posto dove cresce la genialità? Uno spazio? Un tempo? Un’età?
Mentre cercavamo una risposta narrativa a queste domande irrisolte e, dunque, fascinose, abbiamo pensato a LEO, a quel bambino che, nelle campagne di Vinci, viveva le sue giornate a contatto con la natura e mescolando amicizie con contadini e fattori allo studio in casa, seguito dal nonno notaio.
LEO ha cominciato a prendere forma e voce. E più si rivelava come personaggio, più io e Alberto Nucci Angeli – autori del copione teatrale – sapevamo che LEO era un bambino sul serio, brillante emblema dell’infanzia e della evidente genialità che distingue i bambini – pensatori curiosi e anarchici – dagli adulti, così prevedibili, così corrotti dal buon senso e dalla vischiosa ipocrisia che attacca l’età matura, annullando curiosità e desideri.
La meravigliosa intelligenza infantile di LEO, la sua memoria, la sua storia di artista e scienziato, dovevano prendere forma in una scenografia che rendesse tangibile lo splendore della curiosità e dell’invenzione. Ad opera di Lorenzo Terranera, sedotto e felicemente contaminato da Leonardo da Vinci, giganteggia un armadio che è la memoria, intellettuale e affettiva, di Leonardo stesso.
Scenografia di grande impatto che diventa, nel corso della messa in scena, protagonista attiva di ciò che si racconta e che è, di fatto, il quinto personaggio in scena. Gli attori (Beatrice Fedi, Silvia Salvatori, Arcangelo Iannace, Vincenzo De Michele), guidati dalla regia di Francesco Frangipane, interagiscono con la struttura che apre cassetti e ante, che rivela marchingegni e disegni, persone e cose, successi e fallimenti, affetti e delusioni. E desideri.
LEO, in scena, è anche il bambino che fu Leonardo da Vinci. Ragazzino come tanti, vivace, intenso e “orfano” di una madre vivissima ma esclusa fin dalla nascita dalla sua vita. I maschi della famiglia di notai a cui apparteneva il padre, Ser Piero, erano usi trastullarsi con le contadine e le popolane. Leonardo fu figlio illegittimo che, per sua fortuna e sorte, si ritrovò separato dalla madre naturale per motivi di censo : il figliolo di un notaio non poteva essere allevato da una donna del popolo.
LEO, dunque, è anche un bambino che non sa che faccia abbia la madre, che non conosce carezze né sguardi e che li cerca. Sua madre vive a Vinci, sposata a un macellaio dal nome evocativo di Attaccabriga e ha generato altri figli. Di LEO, il suo primogenito, non le è permesso di sapere nulla né di avvicinarlo.
Ed ecco che LEO è anche il ragazzino che vuole vedere sua madre almeno una volta, sfiorarla, abbracciarla, stare con lei. Il tema del ricongiungimento familiare si affaccia, dunque, ed è diventato il filo conduttore che ha permesso di stabilire una collaborazione con UNICEF, per finanziare un progetto di ricongiungimento familiare per i bambini , figli di immigrati, che sono lontani dai genitori.
Ma LEO, alla fine, è il bambino che era e che sarà, è l’infanzia tenera e disobbediente, singolare e imprevedibile, anarchica e rigorosa.
LEO
Una produzione del TEATRO DI ROMA. Da un’idea di Alberto Nucci Angeli e Lorenzo Terranera;
testo Luisa Mattia e Alberto Nucci Angeli
; regia Francesco Frangipane; Teatro, Argentina;
con
Vincenzo De Michele, Beatrice Fedi, Arcangelo Iannace, Silvia Salvatori;
scene, Lorenzo Terranera;
costumi Roberta Spegne
luci Giuseppe Filipponio;
musiche, Roberto Angelini.
In collaborazione con Unicef. In scena fino al 20 febbraio 2016.