Mino Milani. Di fronte a una battaglia giusta

 Oggi ricordiamo Mino Milani, scomparso lo scorso 10 febbraio, con un estratto dal saggio di Nicola Galli Laforest dal titolo Dell’ambiguo contegno di Dio nelle battaglie navali: un’introduzione ai romanzi per ragazzi di Mino Milani, pubblicato nel 2018 in Oblò n. 3 Mino Milani, a cura di Hamelin Associazione Culturale che ringraziamo per averci consentito la sua pubblicazione.

Dell’ambiguo contegno di Dio nelle battaglie navali: un’introduzione ai romanzi per ragazzi di Mino Milani

[di Nicola Galli Laforest]

Darei chissà quanto per un viaggio nel tempo, a sessant’anni fa precisi (sessant’anni!), per poter guardare di nascosto il ragazzino, la ragazzina, che apriva quel Corrierino del 7 dicembre 1958, trovava le illustrazioni in bianco e nero di Mario Uggeri e iniziava a leggere il nuovo romanzo a puntate, Tommy River e la lunga carovana. Un western. Certo, ce n’erano tanti al cinema, e naturalmente c’erano a fumetti Tex e Pecos Bill, Capitan Miki, Piccolo sceriffo e Grande Blek, e molto diffusi da mezzo secolo erano i cicli salgariani sulla frontiera (ma pochissimo o nulla altro c’era tra i romanzi); così come esattamente da mezzo secolo il Corriere dei Piccoli aveva abituato i suoi lettori a grandi personaggi che sarebbero diventati icone nazionali, imponendosi come strepitoso serbatoio immaginativo e fucina di capolavori innovativi pieni di grazia e forza.

Ma Tommy River era un altro west, un’altra icona, un altro universo, totalmente, nel timbro narrativo, nella costruzione del personaggio così atipico, nelle sue scelte, nella visione del mondo, in ciò che ai giovani offriva.

Non so proprio cosa può essere successo nella testa di quei fortunati ragazzini, abituati dai libri a loro dedicati a ben altro, ma so che, dopo la prima stagione, lasciato l’eroe sospeso tra la vita e la morte, il suo autore ricevette una chiamata dal direttore Mosca, che lo aveva sorpreso mesi prima chiedendogli di pensare ad un cowboy: «Milani, è un plebiscito. Non vogliono che Tommy muoia. Ricomincia». Non sarebbe stata l’ultima telefonata di quel tipo, perché più avanti sarebbe toccato al nuovo direttore Guglielmo Zucconi: «Il padrone, il vecchio Crespi, mi ha detto di cambiare tutto quello che voglio. Ma di non toccare Tommy River. Per cui, sotto». (1)

Milani ha continuato a raccontarlo sul giornale per oltre quindici anni, per poi vederlo stampato in forma di romanzi in più volumi, prima da Del Duca, poi da Mursia, clamorosamente fino a oggi.

Come racconta lui stesso ripensando all’intuizione che lo portò alla svolta, i libri per l’infanzia erano pieni di vezzeggiativi e diminutivi, di mondi e personaggi finti e benevoli, di vicende catechistiche (che sono però uno stampo nostrano ancora oggi molto diffuso e premiato) che non volevano mettere davvero i giovani lettori di fronte alla realtà, ma ad una sua versione edulcorata ed “educativa”: forse era giunto il momento di andare altrove. “Sulla corriera che mi riportava a casa, cercai di raccogliere le idee: ma già ne avevo una fissa: Ombre rosse”, e rievocando la sera in cui l’aveva visto al cinema: “tutto se ne andò, tranne i brividi di febbre, ma a quelli non badavo più; e cominciai invece a badare alla commozione che m’aveva preso, e che si fece sempre più intensa, tanto da arrivare a un singhiozzo, subito soffocato quando, sulla diligenza, Ringo cioè John Wayne, passa la borraccia alla ragazza di vita cioè Claire Trevor, dicendole, a scusarsi: «Io non ho coppe d’argento». (2)

Coppe d’argento non ha quindi Tommy River, che si inserisce nel filone western accettandone i canoni ma poi sovvertendoli, in una anticipazione, e anzi già superamento, del
la svolta revisionista di un decennio dopo, quella di Piccolo grande uomo, Soldato blu, Un uomo chiamato cavallo. È certo un grande pistolero, ma odia sparare, appare come uomo tutto d’un pezzo, ma è in realtà a pezzi, malinconico, solitario e col cuore pesante, eterno esiliato. Ha una ferita nascosta ricordo di Gettysburg che non si rimargina: come quella all’inguine di San Rocco, cui Milani dedicherà molto più avanti, per nulla a caso, una splendida biografia immaginaria (3) basata sul pochissimo o nulla che si sa di lui, facendone allo stesso modo un eterno errante in cerca di qualcosa che continuamente sfugge.

Una ferita, quella di Tommy, che ci riporta senza tregua il suo essere reduce, e reduce di una guerra civile, legata profondamente alle radici degli USA e del western: non solo quindi fantasmi e acciacchi, e impossibilità ora di fermarsi sereno e avere casa, ma anche il peso specifico, per lui e per il lettore, di aver combattuto con fierezza e perso una guerra dalla parte sbagliata, per come l’ha poi giudicata la storia, quella dei Confederati, a sconvolgere gli stilemi classici e dominanti dell’eroe, del “buono”.

 

Quella del reduce è una figura che ritorna inesorabile nelle storie di Milani, sotto diverse forme, forse addirittura la più presente, che si tratti di ambientazioni western, medievali, contemporanee: è allo stesso tempo un’icona dell’immaginario con un vasto e profondo portato simbolico, e anche il rispettoso omaggio ai tanti reduci che da ragazzo l’hanno segnato, con parole, sguardi, non detti.

Il Capitano River del 46° Cavalleria è dunque un uomo spesso vinto, pacato nei modi ma mai sereno, che anela non alla gloria ma ad un ritorno nella casa del Kentucky, impossibile per l’incedere di sempre nuove battaglie, mai cercate eppure sempre affrontate con coraggio; battaglie a volte perse, che andavano però combattute: stimmate che segneranno poi quasi tutti i personaggi di Milani.

In quella prima puntata Tommy si trova solo, spacciato, nel deserto, disarmato e orfano del cavallo che ha appena dovuto abbattere, e viene di fatto condannato a morte dall’ignavia di una lunga carovana che finge di non vederlo; unico ad averne pietà, unico vero uomo, a stupire le attese, è un giovane apache che per lui rischia la vita e gli lascia un cavallo. Scopriremo poi che Tommy ha vissuto a lungo con gli indiani, Cheyennes però, è anzi diventato uno di loro, lì ha amato una donna e avrebbe probabilmente passato il resto della sua vita; se anche loro non lo avessero tradito e, nuovamente, esiliato... Non c’è la divisione netta tra bene e male a cui tanto western e tanta narrativa per ragazzi aveva fino a quel punto abituato: Milani ribalta continuamente tutto, esce dalle regole e traccia percorsi solo suoi, allora e oggi, spiazzando il lettore e mettendo al centro, sempre, il senso di giustizia, di etica, la complessità della Storia e delle diverse ragioni, prima e al di là delle convinzioni imperanti o della parte considerata giusta o sbagliata. Un rigore raro, che però in Milani rimarrà timbro costante: le sue storie metteranno sempre in scena piccolezze e grandezze, farabutti e Giusti. E Giusti e Maestri, esempi di vita fulgidi, avranno i volti meno attesi: sono spesso zoppi, a ricordare figure mitiche e a sottintendere passati misteriosi, ed ex soldati, e persino mercenari (in Efrem, in Eudes, AkaHor, in Un angelo probabilmente), fino a L’uomo venuto dal nulla, dove, a far rabbrividire tanti e tanti insegnanti, lo straordinario Davide, uomo che per carisma e capacità di tirar fuori da chiunque il meglio tutti vorremmo essere, viene addirittura, e con fierezza, dalla Legione Straniera.

Sempre elegante, sobrio, d’una coerenza d’altri tempi, Milani non ha mai concesso il minimo spazio al politicamente corretto o al compromesso, ieri come oggi. Forse è proprio questa l’anima delle sue tante mirabili storie d’avventura, l’idea che si possa vincere anche se sconfitti, purché si faccia ciò che si deve fare: l’Avventura ci dice che la vita va guardata in faccia e affrontata costi quel che costi, che qualche volta le cose non vanno per il verso giusto, che può finire male.

 

Nel contesto editoriale per bambini dell’epoca, l’aria, le convenzioni, i personaggi, erano ancora fortemente edulcorati, dominati da un’intoccabile funzionalità “edificante”. Qualcosa si muoveva, penso al lavoro di Rodari, Anguissola, Argilli, o anche alle spietate caricature di Jacovitti, ma in una Storia della letteratura per la gioventù più volte ristampata in quegli anni, alla voce “Scrittori di avventure” si legge: “Questa letteratura deteriore non può naturalmente esser materia del nostro studio: ci limitiamo a sperare che autori e editori abbiano il buon senso di non renderla completamente degenerante. Non siamo del resto così pessimisti sugli effetti di queste lettu- re sui giovani, da ritenerle responsabili di una precoce criminalità. Tuttavia compiangiamo che il gusto e la formazione di molti adolescenti venga inquinata -non si sa quanto provvisoriamente- da queste stimolazioni della fantasia.” (4)

Sempre più penso che il nostro immaginario abbia una triplice radice: Cuore, Pinocchio, Sandokan, che sono coevi. E che però ad arrivare fino a noi, a quasi tutti gli autori anche di oggi, è stata solo l’influenza didascalica del capolavoro di De Amicis, mentre i filoni del realismo magico e dell’avventura sono, a guardare bene, pochissimo battuti.

Sul senso alto dell’avventura, e dello scriverne per ragazzi, si risponde Milani: “Raccontare avventura; e non solo per chi. Anche: perché? Non so, forse perché quanto mi sembrava di aver avuto di coraggio, forza di non scappare, di riluttanza all’abbandono, d’accettazione di responsabilità: con semplici parole, quanto mi aveva permesso ad esempio d’uscire dalla guerra con ossa relativamente intatte, e con voglia di vedere come sarebbe andata a finire; mi sembra insomma che tutto quello venisse di là. Dalle pagine, o meglio dalle parole che Curwood, London, Stevenson, Mason, Sabatini, Rider Haggard avevano detto per me: guarda che nessuno ti salva, che tocca a te e non ad altri”. (5)

Il cuore profondo dell’avventura allora è, più che negli scenari esotici che appagano il bisogno di libertà (scenari che Milani solo suggerisce con pochi mirabili tratti capaci di creare immediati echi), nell’esserci pienamente, nel non fuggire o rimandare le scelte, nel non sedersi mai anche quando le lotte non sembrano essere le proprie. Nel rispondere alla chiamata. E, spingendosi più in là: in lui è proprio il senso costante di sradicamento, di vuoto, di amarezza insuperabile, a rendere possibile paradossalmente il non scappare di fronte ad una battaglia giusta. Contrariamente a quello che è accaduto (nella realtà o nella finzione narrativa) a tanti altri reduci famosi o leggendari alla Jesse James, che persa la guerra si sono dati alla vita violenta e agli eccessi, Tommy si trattiene, schiva ogni forma di superomismo, non raramente si ferma commosso davanti a uno spettacolo della natura, e va perennemente alla ricerca di qualcosa che di continuo sfugge.

È in sostanza, come altri eroi che verranno dalla stessa penna, un ulisside, con una vicenda del tutto parallela a quella dei miti omerici: il Kentucky, sempre nel cuore, è la sua Itaca, ha una sua lunga e terribile guerra, una battaglia finale, un errare infinito fatto di tappe, con rapporti umani che lasciano segni e si perdono, approdi a nuove possibili patrie, nuove battaglie e nuovi esìli. A differenza di Ulisse però non può sperare davvero in un ritorno, perché non c’è, non ci sarà più una terra a cui tornare.

 

I miti sono un altro fulcro nella lunga opera di Mino Milani per ragazzi, mai solo riraccontati o ridotti, ma sempre riscritti, da par suo. Un sacrilegio, ma anche in realtà l’atto più normale e forse legittimo, perché le storie più antiche e potenti hanno attraversato i secoli proprio grazie al continuo farle proprie, limarle ed accrescerle di chi di volta in volta le ha tramandate. Ha anzi disegnato una sorta di mappa immaginativa ideale dello spirito occidentale, facendo suoi i principali prototipi su cui abbiamo fondato la nostra cultura e forse il nostro carattere collettivo: dai miti dell’antichità classica (oltre a quelli già citati, La storia di Dedalo e Icaro e, ultimo, Miti e leggende di Roma antica), alle virtù cavalleresche dei cicli arturiani (I cavalieri della tavola rotonda, La ricerca del Santo Gral, La spada nella roccia, La storia di Tristano e Isotta), a leggende e personaggi popolari, da Robin Hood ad Ivanhoe al nostro Guerrino il Meschino, cui ha aggiunto vicende e anche citazioni lontane ma coerenti, nel pieno rispetto di struttura, personaggi, soprattutto valori, mantenendone il nucleo: le risposte dell’uomo alle mosse del destino.

Ulisse del resto è una figura centrale nell’opera di Milani, che oltre ad averlo sempre presente nei suoi personaggi, lo ha esplicitamente rinarrato due volte, eleggendolo a mito dei miti: prima nell’incantevole La storia di Ulisse e Argo (6), in cui si permette di ricavare, scavando sotto i pochissimi (ma strazianti) versi che Omero dedica ad Argo, una storia che fa da antefatto e da cornice a Iliade e Odissea, qui narrate magistralmente in due capitoletti; poi in Ulisse racconta, suo atteso ritorno alla scrittura per ragazzi a distanza di dieci anni da Udilla, che aveva previsto e deputato come ultimo tassello, in cui cuce insieme i diversi poemi epici a comporre un unico arazzo narrato dallo stesso eroe: gli dei sono quasi totalmente fatti fuori, trasformati in spinte del destino, per far emergere l’uomo e le sue scelte.

E quale espediente migliore di un esule, di un senza patria? A quasi tutti i suoi protagonisti si potrebbe adattare la frase che fa dire anche a Orfeo, sbarcato dopo un viaggio infinito, solo, su una terra sconosciuta, appena incontrata Euridice: «Sono straniero in qualsiasi terra.» «Le tue parole non mi piacciono.» «Non piacciono nemmeno a me, Euridice. Ma da quando sono nato, non ho fatto che vagare.» «E perché?» «Non lo so. Così hanno deciso gli dei.» (7)

 

Milani ha indicato più volte alcuni libri che sono stati per lui iniziatici, fondativi, che lo hanno travolto e gli hanno in qualche modo indicato la via, tutti letti in adolescenza (scrive in Piccolo destino: “se l’hai trovato, è stato da ragazzo; tutto il resto non è che conseguenza”) (8): accanto ai romanzi di London, Curwood, Stevenson, Conrad, mette La vita semplice di Ernst Wiechert, autore tedesco letto nel 1943, quando cioè l’aria lo avrebbe perlomeno sconsigliato. L’ho trovato in un mercatino, con la copertina verde e oro della collana “Medusa”, e dentro c’è già tantissimo del Milani che sarà, a dimostrazione di quanto una lettura a quell’età possa davvero, incredibilmente, dare una direzione definitiva: protagonista è, guarda un po’, un reduce, che è però anche esule, un ex ufficiale della Marina Imperiale, gettato in mare dai marinai ammutinati con i brandelli della bandiera salvata in mano. Senza più prospettive, Von Orla lascia tutto, città, famiglia, e se ne va a isolarsi verso le foreste, a farsi salvare dal lavoro manuale. Si farà pescatore, boscaiolo, in una “vita semplice” quasi solitaria immersa nei silenzi e nei ritmi della natura, interrotta solo da incontri con persone che lasceranno in lui tracce, e a cui lascerà tracce, con gesti e parole davvero simili per modalità a quelle che Milani vorrà dare a tanti suoi magnifici personaggi. Gli studi e le ricerche che in questa seconda vita l’uomo continua, e i lunghi dialoghi con se stesso, confluiscono poi in un saggio che darà alle stampe, dall’impagabile titolo Dell’ambiguo contegno di Dio nelle battaglie navali, che avrebbe di sicuro, esistesse, uno spazio d’onore in un certo studio pavese, in Piazza San Pietro in Ciel d’oro.

Certo, tanto dello sguardo di Milani, e del suo raccontare, deriva anche da quel volume mai letto: dall’ambiguo contegno di dio nelle battaglie, e dalle risposte ad esso degli uomini, si potrebbe aggiungere.

Gran parte dei suoi personaggi sono quindi anime in cerca di se stesse, e che iniziano la ricerca dopo una mossa della vita nei loro confronti. Un percorso che per alcuni avviene, pur costantemente, tra le righe; per altri è invece il vero centro, come per Guerrino o San Rocco, che vagano proprio cercandosi, o per i cavalieri che partono per raggiungere il Santo Gral, emblema massimo della ricerca spirituale.

 


(1) L’Autore si racconta, Franco Angeli, 2009, p.28

(2) Ivi. p. 26

(3) La guerra sia con me. Vita immaginaria di San Rocco, Mursia, 2005

(4) A. Lugli, Storia della letteratura per la gioventù, Sansoni, 1961. Milani viene però citato come “giovane scrittore di opere molto suggestive.”, p. 310-312

(5) L’Autore si racconta, Franco Angeli, 2009, p.29

(6) La storia di Ulisse e Argo, Einaudi Ragazzi, 1995

(7) La storia di Orfeo ed Euridice, Einaudi Ragazzi, 1994, p.104

(8) Piccolo destino, Mursia, 2010, p. 17

(9) Efrem, soldato di ventura, Mursia, 1973

(10) Presentazione dell’autore a Le nuove avventure di Efrem, Mursia, 1983