[di Laura Pigozzi]
Un dodicenne, che i servizi sociali avevano destinato all’elettroshock, e una coetanea stralunata, dopo essersi scritti varie strampalate lettere, progettano una fuga: lei da casa, lui dal campo scout in cui si era rifugiato, ma mai integrato. Lo racconta il delizioso film, dal linguaggio modernissimo (scritto da Wes Anderson, che ne è anche il regista, e da Roman Coppola), Moonrise Kingdom - Una fuga d’amore.
I due fuggiaschi s’inoltrano nella grande foresta e s’innamorano cammin facendo, rischiando più volte la vita. A un certo punto, vengono aiutati da un gruppo di coetanei che, in un primo tempo, li aveva perseguitati e aggrediti per seguire le direttive degli adulti che li volevano catturare. Con l’aiuto dei nuovi amici, i due dodicenni organizzano un surreale e simbolico matrimonio mentre è in arrivo una tempesta gigante, omologa alla tempesta ormonale di cui sono preda i loro corpi e alla perturbante grandiosità di ciò che stanno facendo. L’intervento finale dei genitori della ragazza, entrambi avvocati, rende possibile l’adozione del ragazzo da parte di un poliziotto single, a cui egli si era affezionato: la determinazione inventiva dei dodicenni riesce a far inscrivere il loro atto sovversivo nel sociale, dentro uno statuto simbolico in cui la realtà è ridisegnata dai ragazzi con l’aiuto del gruppo. Insieme trovano una forma possibile al loro comune desiderio e gli adulti, superando i pregiudizi iniziali, la ratificano per renderla fattibile. Un film delicato e divertente, che racconta una riuscita: ma i protagonisti hanno dovuto disobbedire, opporsi, rischiare la vita per vedersi riconoscere la nuova forma di esistenza che avevano desiderato. Questo è il paradigma dell’adolescenza.
Per i due ragazzini strampalati - come lo sono tutti, almeno in quel passaggio cruciale - la vita inizia dal taglio con l’esistenza precedente, dallo smarcarsi dal mondo dei genitori, taglio senza il quale nulla si sarebbe prodotto: lui è un orfano adottato da una famiglia che non lo vuole più, ed è in fuga da un campo scout dove la sua diversità psichica è mal tollerata. Lei abbandona i genitori portandosi dietro una valigia carica di libri e un grammofono. La sera, nella foresta, lei gli legge i libri che ha portato con sé e ballano sull’unico disco che la ragazza possiede. Per loro la vita è cominciata: con un taglio e uno smarcamento, come solo può essere ogni inizio.
Ci sono, però, giovani che non hanno incontrato nessun taglio che segnasse un nuovo inizio, che non sono stati in grado di smarcarsi, quelli per cui la vita sembra sempre rimandata e che mai fuggirebbero con una valigia carica di libri nella foresta. Libri, poi! Nel passaggio dall’infanzia all’adolescenza, molti sono diventati afasici, concettualmente deboli, lesi nella parola e nel pensiero, incapaci di esprimersi con proprietà e di comprendere la linea di fondo di un testo, benché siano pienamente scolarizzati. Alcuni si anestetizzano, il loro corpo perde sensibilità, si ritira, si assuefa o si disfa, viene ammaestrato, recluso o perde i bordi nell’ipercinesia che è, anch’essa, una forma del non esserci. Nelle aule ci sono bambini che hanno perso coordinazione motoria, che non sanno cosa fare col proprio corpo o che protestano con un corpo iperattivo che non trova pace. In casa, corpi adolescenti vagano, spenti e indolenti a dispetto dell’età vitale, mentre qualche altro si mutila, intagliando nel reale della carne quello smarcamento simbolico che non c’è stato.
L’adolescenza è perdere il bambino che si è stati, ma anche attendere, accelerare o ritardare, l’adulto che deve venire. Momento delicato, perturbante, trasformativo, talmente critico che non può essere la sola famiglia il referente ma, durante questo cammino, intervengono altri soggetti sociali: il gruppo, la scuola, il cinema e la letteratura per giovani. La pulsione di morte è strutturale nell’individuo, come ci ha insegnato Freud. Compare presto, ma fino a una certa età è compensata e superata dalle pulsioni alla vita. Quando questo conto inconscio non torna, la pulsione di morte ha la meglio anche nell’individuo giovane, disanimandolo.