Il nostro blog esiste da quasi dieci anni, e anche la nostra pagina Facebook. A oggi questa conta oltre 48 mila follower. Non sono numeri da Gianni Morandi o Chiara Ferragni, ma considerato il tipo di informazione che facciamo, i temi che proponiamo e lo stile in cui li offriamo, pensiamo sia un buon riscontro. Sorprende per esempio che case editrici più note, anche non per ragazzi, abbiano un numero di follower inferiore.
Nel tempo ci siamo convinti che la possibilità di dialogare e comunicare costantemente con le persone che sono interessate al nostro lavoro (ma anche con quelle che non lo conoscono e vengono casualmente in contatto con noi) attraverso i social sia e sia stato uno straordinario strumento di promozione non solo del nostro catalogo, ma soprattutto di idee e conoscenze relative alla cultura dell’infanzia. Infatti, come molte persone che ci seguono e ci conoscono sanno bene, sia la pagina Facebook sia il blog, fin dall’inizio si sono proposti come luogo di scambio di notizie, competenze, conoscenze, esperienze che riguardano non solo la casa editrice e i libri Topipittori, ma l'intero settore della cultura rivolta a bambini e ragazzi, toccando le tematiche più varie attraverso le voci più diverse.
In questi dieci anni, abbiamo seguito con grande curiosità e interesse il modo in cui le persone hanno accolto e seguito questo lavoro impegnativo di comunicazione e di selezione dell’informazione, interagendo quotidianamente con il blog e la pagina Facebook. Lo abbiamo fatto supportati dalla possibilità di leggere in tempo reale le statistiche relative a tale partecipazione. Ovvero tutti i dati che Goggle e Facebook analizzano: età media del nostro pubblico, percentuale di maschi e di femmine, provenienza geografica, post che riscuotono maggiore o minore gradimento, quantità di commenti eccetera, e, per quanto, poi, riguarda la pagina Facebook numero di persone che quotidianamente mettono un like sulla pagina o lo tolgono, avendolo già dato.
A chi ha la possibilità di osservare questo andamento quotidiano, le prime cose che saltano all’occhio sono due: da una parte, l’imprevedibilità delle risposte del pubblico; dall’altra, la loro prevedibilità. Sembrano in contraddizione, le due cose, ma non è così. E messe insieme, generano questa immediata riflessione: che il gradimento del pubblico, può anche essere sfuggente, ma è indubbiamente manipolabile e questo perché se le risposte del pubblico sono imprevedibili, i suoi comportamenti invece in molti casi sono abitudinari, ripetitivi e quindi facilmente orientabili da parte di chi sta dietro le quinte.
Non è una novità, c’è chi ci ha costruito imperi, col marketing. E tuttavia, parlare di una cosa e farne diretta esperienza, come è noto, è molto diverso. Se per esempio, come noi, ti trovi a gestire un blog e una pagina Facebook, ti si pongono immediatamente delle questioni teoriche e pratiche che non è possibile eludere, soprattutto quando sono tante le persone che ti seguono, cosa che impone una gestione consapevole, ovvero non ingenua o casuale o trascurata.
Uno dei fenomeni che più sorprendono, osservando i dati della pagina Facebook, è l’attribuzione o la sottrazione di like alla pagina. Ci sono post che scatenano l’entusiasmo collettivo, e determinano improvvise piogge di like beneauguranti. Di solito riguardano il lavoro di alcuni scrittori o illustratori molto amati, l’apertura di nuove librerie o biblioteche, alcune esperienze scolastiche innovative, percorsi legati all’arte e ai bambini. Così come alcuni post vengono invece accolti con grande diffidenza, freddezza, se non ostilità. Di solito a sollevare più problemi sono alcuni temi caldi come le questioni di genere o quelle educative, le responsabilità familiari o quelle scolastiche nei comportamenti delle generazioni più giovani (come la scarsa autonomia o l’analfabetismo funzionale), il problema della cittadinanza (lo Ius Soli), i vaccini eccetera, temi cioè che toccano l’orientamento politico, religioso, le scelte private e le storie delle persone.
È facile che si registrino raffiche di like tolti alla pagina, quando si postano articoli che su tali questioni riportano punti di vista di giornalisti, politici, educatori, scrittori eccetera. È abbastanza comprensibile che ciò accada: noi tutti, specialmente sui social, tendiamo a essere molto reattivi quando incontriamo opinioni diverse dalle nostre, soprattutto quando magari ci aspetteremmo complicità o concordanza di vedute.
Ora, nonostante ci facciano molto piacere le piogge di like e altrettanto ci dispiacciano le raffiche di like tolti, il nostro pensiero, finora, non è mai stato: come facciamo a incrementare i like o a scongiurarne la scomparsa? Naturalmente è legittimo volere sempre più like e cercare di evitare che siano tolti – che in sostanza si può riassumere nella seguente strategia: piacere a tutti i costi, a tutti - ed è legittimo cercare di far sì che ciò accada. Non c’è dubbio, infatti, che la vita di un blog e di una pagina Facebook dipendono anche dal numero dei loro lettori, e quindi tanto più solida è numericamente la loro partecipazione, tanto meglio è.
Per quanto ci riguarda, però, il punto non è questo. La domanda da considerare e a cui trovare risposta è un altra, ed è a monte. E il conteggio dei like non è l’unico e il solo parametro che consente di soddisfarla. La domanda da farsi riguarda gli obiettivi che si hanno, le finalità del proprio lavoro, e più o meno suona in questo modo: a cosa servono a Topipittori un blog e una pagina Facebook? Indubbiamente, stando alle ragioni per cui entrambi sono nati, a comunicare e informare circa il modo di lavorare della nostra casa editrice e circa ciò che pensiamo accada di più interessante nell’ambito del nostro settore, esperienze che riguardano cultura, educazione, pedagogia, ambiente eccetera. Da questo punto di vista, quello che è fondamentale per noi è costruire un luogo virtuale credibile e serio a cui le persone possano rivolgersi con interesse e con l’idea di poter contare su un interlocutore affidabile, qualcuno che, appunto, quando seleziona notizie e informazioni, si preoccupi del contenuto e della forma delle informazioni prima di qualsiasi altra cosa.
Ecco, poiché questa è la nostra finalità, non è - e non è mai stato - il gradimento prevedibile del pubblico a imporsi come nostro criterio nella selezione e pubblicazione di post e notizie. O meglio: ci interessa lo scambio con il pubblico, il modo che ha di segnalarci i propri interessi, le proprie predilezioni. È solo così che si tiene viva la materia dell’informazione e della cultura. Ma non è la gratificazione costante di chi ci legge a indirizzare le nostre scelte. Questo sarebbe sbagliato e vincolante, ne andrebbe di mezzo la libertà nostra e altrui.
Insomma, il criterio con cui facciamo comunicazione è lo stesso che seguiamo quando facciamo i libri. Ci assumiamo la responsabilità delle nostre scelte, che sono fondate sull’idea che abbiamo di cultura e informazione.
Mettendoci nei panni del pubblico, poi, e guardando le cosa dall’altra parte della barricata, cioè di lettori e non di editori di libri o di notizie, ci piacerebbe e ci piace trovare qualcuno che non ci consideri un numero, un oggetto di consenso da spendere per interessi propri e da gratificare a tutti i costi, al prezzo di ricorrrere a falsità smaccate o a forzature improbabili. Ovvero un interlocutore con idee magari a volte diverse dalle nostre, ma guidato da competenza, correttezza e rispetto. Dotato di una deontologia professionale, come si diceva una volta.
Insomma, attribuire o togliere like è un riflesso impulsivo e non fa sempre appello alla nostra migliore e più profonda capacità di ragionamento, quindi come lettori e come editori, non impostiamo su queste risposte le nostre scelte. E come lettori e frequentatori di social ci pare anche di poter affermare che sarebbe sempre bene fermarsi a riflettere su come si partecipa e si usano questi strumenti, soprattutto perché senza accorgercene i nostri comportamenti possono diventare strumentali ed essere strumentalizzati. Più cervello, meno pancia, in sintesi. Non è necessario dire sempre la nostra. Mentre, se lo si fa, sarebbe necessario sempre dirla nel modo migliore possibile.
E, infine, riflettiamo: il fenomeno delle fake news che si nutre e prospera proprio grazie al gradimento del pubblico, sta assumendo dimensioni apocalittiche. Tempo fa è stata diffusa la notizia che in Italia sono stati bloccati 23 siti che a scopo elettorale hanno immesso sui social false notizie. In un articolo del 13 maggio 2018, su Repubblica, Jaime D'Alessandro segnala che all’Università di Washington è attivo un corso dal nome Calling bullshit che potrebbe suonare “Sparare fandonie”. E fa un esempio: la teoria terrapiattista, secondo la quale in barba a 5oo anni di storia e scienza la Terra sarebbe piatta e non tonda, è stata resuscitata su YouTube il 25 agosto del 2011, a scopo ludico, da un comico canadese di nome Matthew Boylan. «Nel 2015, le teorie terrapiattiste già contavano in rete 50 mila risultati. «Nel 2018 erano saliti a 19,4 milioni, fino ad arrivare ai 41,3 milioni di oggi. [...] Walter Quattrociocchi, della Ca’ Foscari di Venezia, sostiene dal 2014 che il problema [delle fake news] ha a che fare con l’identità. Gli algoritmi quindi promuoverebbero quel che le persone vogliono ascoltare, ma fa notizia soprattutto quando si tratta di teorie estreme. Si chiama “pregiudizio di conferma” e porta a guardare i contenuti che validano le nostre credenze.»
Ecco, allora facciamo attenzione. Cedere alla tentazione di voler essere gratificati dal veder confermato ciò in cui crediamo non è un'innocua debolezza. Se questo atteggiamento diventa comune a milioni di persone, può mettere in serio pericolo oltre che la democrazia, la nostra stessa esistenza.