La solita Claudia Souza ci ha segnalato questo articolo di Ana Garralón sul blog letras libres, stimolando le nostre riflessioni su un tema piuttosto delicato: l’estremismo nella descrizione dei bambini che emerge dalla letteratura per ragazzi. Se, da una parte, i libri destinati all’infanzia tendono, e non da oggi, a dipingere i bambini come piccoli adulti che rispondono perfettamente alle attese dei grandi e della società, dall’altra esiste una corrente, assai vivace e mai sopita, di libri che raccontano di un’infanzia ribelle, irriverente, sovversiva e pasticciona. Non meraviglia che i bambini di ogni generazione si identifichino maggiormente con gli anti-eroi, con quelli che salutano il mondo adulto con lo sberleffo, non rispettano regole imposte e se ne fabbricano di proprie, spesso scontrandosi con conseguenze indesiderate. In ogni caso, viene da pensare a quanto questi opposti “discorsi sull’infanzia” siano in realtà funzionali alla rassicurazione dell’adulto più che alla crescita, all’educazione del bambino. Quanto il piccolo ribelle pasticcione sia solo l’altra faccia della medaglia di una società che vuole bambini non-bambini, che non è disposta ad ascoltarli, a rispettare la loro intelligenza, a offrire loro un futuro degno. Ragioniamone insieme. Vi va?
[di Ana Garralón]
Oggi la maggior parte dei libri per bambini sembrano usciti da una pasticceria; sono belli lucidi, ben fatti... ed esageratamente dolci. Nei rari casi in cui i personaggi sono dei bambini – e non animali o adulti – si tratta di bravi bambini che aiutano i grandi, che rinsaldano la fondatezza di determinati valori e che, addirittura, danno l’impressione di sapere del mondo più di quanto ne sappiano gli adulti. All’estremo opposto, penso a quanto piacciono ai piccoli lettori quei personaggi che si rivelano dei cattivi bambini. Non è difficile indovinare perché ci sia un tale divario tra il seguitissimo (e detestato dai genitori) Il diario di una schiappa e i bei libri che gli adulti vorrebbero che i piccoli leggessero: Greg [protagonista di Il diario di una schiappa, NdT] dice le cose che pensa senza curarsi dell’opinione altrui.
Les enfants terribles.
Ma, d’altro canto, a chi interessa l’opinione dei bambini? Da che esiste l’editoria per ragazzi, i libri sono stati utilizzati allo scopo pedagogico di plasmare i giovani lettori secondo la morale dell’epoca. In compenso, i ragazzi hanno sempre trovato il modo di procurarsi i libri che in origine non erano destinati a loro e che ridicolizzavano il mondo degli adulti: Robinson Crusoe, le fantasie di Jules Verne, I viaggi di Gulliver o le fiabe dei fratelli Grimm. Ogni volta che ciò avveniva, la pedagogia ne era a tal punto infastidita che esigeva delle riscritture adeguate all’età dei minori. Proprio a quei tempi emerse, in maniera accidentale, il tema dell’enfant terrible ovvero la rappresentazione negativa del bambino borghese. Nel 1842, il caricaturista francese Paul Gavarni diede inizio alla serie Les enfants terribles nel giornale satirico Le Charivari. Un bambino malcapitato commette l’imprudenza di giocare con un barattolo di Pommade du Lion [un unguento allora in voga e al quale si associavano proprietà miracolose, NdT], i cui effetti terapeutici trasformano in un piccolo mostro. Le promesse della réclame vennero prese alla lettera e la caricatura funzionò alla perfezione come gioco pubblicitario.
Pierino Porcospino.
Con un tono che andava dal realistico allo stravagante, Pierino Porcospino, del giovane medico Heinrich Hoffmann, apparse in Germania due anni dopo. In un prologo ai suoi libri, Hoffmann raccontò più tardi che, poiché non riusciva a trovare un bel libro per i suoi figli, lui stesso comprò un quaderno bianco e si mise a scrivere, con umorismo e talento, delle storie in rima. Con queste storie metteva in guardia i figli contro la cattiva alimentazione, la mancanza di igiene, la disobbedienza o l’abitudine di succhiarsi il dito. Insoddisfatto della semplice rima e poiché era abituato a fare disegni per i suoi piccoli pazienti, decise di illustrare anche i suoi versi. Senza volerlo, i suoi disegni erano così esagerati che risultavano comici. Le immagini di forbici giganti che tagliano le dita di un bambino, di un personaggio che si succhia il pollice fino a scomparire, o di una bambina che è consumata dalle fiamme perché aveva, letteralmente, «scherzato con il fuoco» risultavano così esagerate che non potevano che far ridere. Le storie di Pierino Porcospino ebbero un effetto contrario alle intenzioni originali dell’autore: i giovani lettori cominciarono a vedere in questi versi il trionfo di un bambino anarchico, di personaggi che sarebbero stati disposti anche a morire pur di fare ciò che volevano. Le presunte cattive abitudini dei bambini avevano improvvisamente delle derive tragicomiche, qualcosa che liberava l’immaginazione e i fantasmi interiori. Il tono e l’iconografia dei libri per bambini si erano rinnovati in modo del tutto fortuito. Una rivoluzione alla quale generazioni di lettori sono grati ancora oggi.
Max e Moritz.
Un paio di anni dopo uscì un altro libro che mostrava dei bambini prendersi gioco dell’educazione. L’illustratore e caricaturista tedesco Wilhelm Busch ebbe l’idea di comporre un’opera in versi descrivendo le malefatte di due fratelli. Max e Moritz sono quel genere di bambini che mettono del pepe nella pipa di un pacifico musicista o riempiono di insetti il letto dello zio. Nascondersi non gli servirà a molto: le vittime degli scherzi scoveranno i due ragazzi, che finiranno in pasto alle galline, dopo esser stati trasformati in pane e grattugiati. I colleghi artisti di Busch, sebbene ammisero di esserne divertiti, la definirono come un’opera minore. Furono i giovani lettori a decretare il successo delle avventure di Max e Moritz e ad apprezzare fin da subito le loro parodie, il loro surrealismo innovativo.
Le avventure di Huckleberry Finn.
Gli scrittori che, anni dopo, compresero la simpatia dei giovani lettori per i personaggi trasgressivi e decisero di scrivere davvero per loro, dovettero misurarsi con oppositori di ogni tipo: bibliotecari, pedagoghi, docenti, genitori, femministe e paladini del politicamente corretto. Le avventure di Huckleberry Finn di Mark Twain, Just William di Richmal Crompton, Pippi Calzelunghe di Astrid Lindgren, Il bambino sottovuoto di Christine Nöstlinger o Matilde di Roald Dahl costituiscono un ristrettissimo canone entro il quale i bambini disubbidiscono all’autorità. Ed è qui che volevamo arrivare. Capisco che ci siano pochi genitori disposti a leggere ai figli frasi come questa: «È assolutamente necessario, per i bambini piccoli, avere una vita organizzata; specialmente nel caso che se la organizzino da soli» (Pippi) o quest’altra: «Il signore e la signora Dalverme, però, erano così idioti e così chiusi nelle loro piccole, meschine abitudini, da non accorgersi che la bambina era assolutamente eccezionale. Anzi, se si fosse trascinata a casa con una gamba rotta, è probabile che non se ne sarebbero accorti» (Matilde). Tuttavia, cosa c’è di male nel fatto che i libri per ragazzi riflettano la stupidità degli adulti? Forse che attribuiscono ai bambini il potere di mettere in discussione la loro autorità e, dunque, la società che è toccata loro in sorte?
Matilde.
Viviamo in un’epoca di grandi movimenti sociali, di cittadini che promuovono cambiamenti e di proteste che si oppongono a quanto è stato realizzato dalle generazioni precedenti. Eppure la letteratura per ragazzi sembra situarsi ai margini di tali questioni. Ignora che i giovani possano trovare nei libri l’ispirazione per le loro rivolte e rivoluzioni. Non c’è traccia nei libri di oggi di quegli enfants terribles che, secoli fa, fecero vacillare i dettami morali e sociali. E così vanno i nostri bambini, che fanno la pipì al profumo di vaniglia.