Ridere dell'arte

Nadar, “Le JournalAmusant”, 1861.

Allafine dello scorso anno, Marta Sironi,autrice dei testi della nostra Pippo,nuovissima collana dedicata all'arte, traduttrice e curatricedi Libri!,nonché collaboratrice alla ricerca presso il Centro Apice dell’Università degliStudi di Milano, ha pubblicato un interessante saggio dal titolo Ridere dell'arte. L'arte moderna nellagrafica satirica europea.

Itemi affrontati in questo studio toccano sia l'arte sia l'illustrazione,attraverso una produzione grafica considerata minore. Per darvene un'idea,riportiamo dalla quarta di copertina:

Uncarattere tipico della vicenda artistica della modernità è lacrescente difficoltà di lettura delle opere, al di fuori di cerchiespecialistiche più o meno ristrette; un fenomeno intensificato dalleattese di un pubblico sempre più di massa, irresistibilmente attratto daisegretio dallareligionedell'arte contemporanea.


Albert Robida, “LaCaricature”, 1884.

Lafatica e l'ostilità del pubblico nei confronti delle sperimentazioniartistiche degli ultimi due secoli, spesso considerate incomprensibili,folli e, insieme, seducenti, sono indagate da Marta attraversoun'attenta analisi della produzione grafica satirica dedicataall'arte e alle figure degli artisti, nelle sue espressioni altee basse (dalle incisioni litografiche alle vignette pubblicate inriviste e giornali). Un controcanto che diventa una sorta di vera epropria produzione artistica parallela che, se di frequente assumeun punto di vista ‘reazionario’, ‘antimoderno’, riesceperò a dare forma a invenzioni ingegnose, talvolta geniali e, nondi rado, di un'intelligenza critica sorprendentemente sintetica echiara.

Quello che colpisce, nel saggio, ècome alcuni fenomeni – per esempio, le reazioni del pubblico difronte alle opere di pittura contemporanea o il modo di percepire lafigura dell'artista o l'atteggiamento e le motivazioni che spingonomasse di visitatori a grandi eventi organizzati intorno all'arte –siano sostanzialmente rimasti immutati o almeno così parrebbe. Suquesti temi, abbiamo rivolto a Marta Sironi alcune domande.

Félix Vallotton, “Le Rire”,1895.

Cometi è venuta l'idea di questo studio?

Mi sono laureata in storia dell’arte contemporanea studiando unarivista inglese d’arte, “The Studio”, e proprio in quello stessoperiodo l’Università Statale di Milano acquisiva una collezionedi riviste illustrate che di lì a poco avrebbe costituito il nucleoiniziale del Centro Apice. Ho avuto quindi l’occasione di lavoraresu tali riviste con la possibilità di vedere e maneggiare per laprima volta collezioni complete delle principali riviste illustrateeuropee tra Otto e Novecento. Ho iniziato così ad appassionarmi diillustrazione, imparando a conoscere anche questa storia dell’arteparallela, costituita appunto dalla produzione apparsa su tante rivisteillustrate, non solo d’arte ma anche satiriche.

Oggi fa ridere pensare che Courbet possa esser statoconsiderato ‘incomprensibile’. Ma se guardiamoalle reazioni di fronte ad artisti come Cattelan, le cose forse nonsono così cambiate. Qual è, a tuo avviso, il problema fondamentaledi comprensibilità che l'arte contemporanea ha posto e pone alpubblico?

Domanda alla quale è un po’difficile rispondere in sintesi: diciamo che da quando l’arte si èaperta a un pubblico ampio vi è sempre stata una reazione critica. Nonè cambiato in sostanza nulla: nel 1855 Courbet era il Cattelan d’oggie usare delle prostitute a riposo come soggetto di un quadro suscitavala stessa opposizione dei bambini impiccati in Piazza XXIV Maggio, aMilano. Del resto gli artisti lavorano da sempre in termini di criticitàe se a questo aggiungiamo la sperimentazione linguistica, si può benimmaginare la difficoltà d’interazione fra artista e pubblico.

Matilde Ade, “Meggendorfer Blätter”,1898.


Ti sembra corretto paragonare quello che oggi accade nellarelazione fra arte contemporanea e suoi fruitori, a quanto è avvenutonei periodi in cui il tuo studio si è concentrato?

In qualche modo sì, anche se oggi mi pare che l’artecontemporanea sia tornata ad avere un suo pubblico d’élite. Il periodosu cui ho concentrato la mia analisi – tra metà Ottocento e metàNovecento – corrisponde all’espansione delle maggiori avanguardie,ma anche alla nascita e crescita di una pubblicistica illustrata chespesso era considerata una vera e propria ‘palestra’ per moliartisti e disegnatori. Quindi l’arte contemporanea era oggetto di undibattito pubblico più di quando mi pare avvenga oggi, almeno pensandoalla carta stampata: forse dovremmo riferirci alla rete che però sirivolge anch’essa, paradossalmente, a un pubblico di appassionati,una sorta di élite, anche se magari internazionale.


Charles Léandre, “LeRire”, 1895.


Quali sono stati i cliché più in voga rispetto allafigura dell'artista?

Il fannullonebuono a nulla. Al di là di questa lettura banale, si è sviluppataperò una complessa definizione dell’artista o di singoli artistiin relazione al loro modo di fare arte, giocando e facendo ancora unavolta forza su quello stesso ‘stile’ che veniva in qualche modocriticato.
Courbet è stato il primo artista capace disfruttare il ‘potere mediatico’ della satira per costruirsi unpersonaggio pubblico riconoscibile: un po’ come fosse un ‘santomoderno’, sempre rappresentato con gli stessi attributi identificativi:zoccoli di legno, boccale di birra, pennello grossolano … (un po’come le chiavi per San Pietro o le frecce per San Sebastiano).

Lucien Métivet, “LeRire”, 1895.
Albert Robida, “La Caricature”,1888. Adolphe Willette, L’Assiette au Beurre”,1909.




Enrich Schilling, “Simplicissimus”,1921.


Guardando le immagini del libro, si ha l'impressioneche questi artisti satirici, mentre li irridevano, al tempostesso si nutrissero dei linguaggi artistici delle avanguardie,e spesso li sapessero utilizzare con estrema finezza. Sembracontraddittorio, ma le immagini e le parole possono dire cose diverse(mi viene in mente Walter Benjamin quando nei libri illustratiper bambini riscontrava un divario fra testi moralistici e immaginieversive:una distanza fra chi scrive e chi illustra, fra linguaggio verbalee visivo). Pensi che questo sia accaduto ai vignettisti che haistudiato?

Assolutamente sì. Leriviste satiriche spesso erano molto popolari e dovevano mantenereil loro pubblico e per far questo mantenevano una certa posizione,il più possibile vicina o avvicinabile all’opinione pubblica. Manon perdevano occasione, ironizzando e parlando delle astrusitàmoderne, per rinnovare la grafica della testate, aprendosi acollaborazioni di disegnatori che spesso appartenevano agli stessifiloni d’avanguardia criticati.


Mino Maccari, “Il Selvaggio”,1936.
EdwardTennyson Reed,  “The Punch”,1895.


A tuo avviso la produzione satirica sullecorrenti artistiche sperimentali e d'avanguardia, ha avuto comeeffetto collaterale, magari non voluto, ma presente, la lorodivulgazione?

Certamente. La rivistadi Monaco “Jugend”, per esempio, ironizzava sul contemporaneo stilemoderno di cui la stessa rivista è divenuta una delle espressioni piùinteressanti.
Così durante il ventennio fascista alcuneriviste come “Il Selvaggio” e “L’Italiano” polemizzavanocontro certa modernità per loro troppo esterofila, ma il modo dipolemizzare era al contempo una sperimentazione visuale in terminidi modernità.

Copertina di “Jugend”,1896.
Copertina di “Jugend”,1896.






Attraverso il lavoro di questiartisti, spesso eccezionalmente bravi, è possibile che inuovi modi di rappresentare la realtà siano entrati a far partedell'orizzonte quotidiano del pubblico, che nel momento stesso in cuili dileggiava, in realtà li stava assimilando?

AubreyBeardsley, copertina, “The Yellow Book”,1894.

Sì, è stato anchel’aspetto che mi aveva molto stupito quando vedevo queste riviste perla prima volta: mi pareva di scoprire una storia dell’arte parallelache, seguendo le principali tracce della sperimentazione visuale delleavanguardie, trovava soluzioni e modulazioni delle stesse in terminidi comunicazione di massa. Gli scapigliati scrivevano e disegnavanoper le riviste satiriche, così come Franz von Stuck, quando esponevanelle principali esposizioni d’arte moderna di Monaco, disegnavaanche per la rivista satirica più popolare della città: naturalmenteconoscevano le questioni da molto vicino e non perdevano occasionedi modulare sperimentazioni linguistiche anche per le riviste.


Qual è statol'aspetto che più ti ha interessato di questo studio?


Scoprire e iniziare a studiare anche questa storiadell’arte ‘minore’: per me è diventata la ‘maggiore’.

Edouard Riou, “Le petit Journal pour Rire“,1856.