Siamo tutti semi

Domenica 28 gennaio 2024 inaugura alla Biblioteca Villa Dora di San Giorgio di Nogaro (Ud) la mostra "La camera delle meraviglie" dedicata agli universi sensibili di Antonio Catalano. Per l'occasione pubblichiamo un articolo di Massimiliano Tappari in cui si parla dell'artista.

 

[di Massimiliano Tappari]

Tanto tempo fa, quando ancora arrivavano per posta le bollette dell'Enel, rimanevo sempre impressionato nel notare che la sede dell'azienda che forniva la corrente elettrica a tutta l'Italia era a Potenza.

Mi piaceva questo cortocircuito verbale perché rendeva ancora più labile il confine già traballante tra realtà e fantasia. Del resto ero cresciuto con i fumetti di un ispettore di polizia che si chiamava Manetta, e vivevo in una città dove il capo della polizia si chiamava Manganelli. L'immaginazione era già al potere e vigilava sui cittadini.

Ma torniamo al caso dell'Enel a Potenza. Si trattava di uno stupendo scherzo del destino o c'era della premeditazione? Optando per la seconda ipotesi non potevo fare a meno di immaginare i manager dell'azienda elettrica seduti attorno a un tavolo di fronte alla cartina geografica dell'Italia alla ricerca della città perfetta per ospitare la sede aziendale. I primi luoghi esclusi furono naturalmente Buia, Nereto, Passoscuro e Lucera. La decisione fu unanime, anche se non tutti i dirigenti capirono subito le insidie nascoste nel toponimo Lucera. In realtà preferivo credere che la scelta fosse dovuta al caso - non a caso è anagramma di caos - l'unico dio a cui riconoscevo la capacità di governare le sorti del mondo.

Di Potenza so poco altro. Tranne che una volta i sostenitori della squadra di calcio di Matera hanno esposto allo stadio uno striscione di sfottò per i tifosi del Potenza in cui c'era scritto: "Cristo si è fermato a Eboli per non vedere Potenza". Uno degli striscioni più colti della storia calcistica italiana. E anche una risposta a una domanda rimasta inevasa per troppo tempo.

Un'altra cosa che so di Potenza è che ha dato alla luce (ops!) un grande artista, alto un metro e ottanta, quasi un metro e ottantacinque con il cappello: Antonio Catalano. Mi sembra abbastanza grande, no? Soprattutto se a guardarlo, come spesso accade, sono dei bambini che non superano il metro di altezza, o di bassezza, come giustamente mi ha fatto presente uno di loro.

Antonio indossa un cappello di paglia da contadino, pieno di fessure in modo che l'aria possa raggiungere la testa e ossigenare il cervello. Il suo sogno segreto è che un giorno a Gerusalemme (ma anche da noi, perché no?) venga un grande vento e porti via le migliaia di cappelli in testa a copti, ortodossi, cristiani... in modo che ognuno perda la sua identità e si arrivi a una rivelazione finale: il vero sapiente è il contadino, ovvero chi si prende cura della terra.

Il padre di Antonio indossava un cappello di carta fatto con le proprie mani, era panettiere così come il padre di Gianni Rodari. Prima o poi andrà esplorato il nesso che unisce l'arte bianca esercitata dai genitori al talento affabulatorio così ricco di sfumature praticato dai figli. Cos'è quella pasta madre (in questo frangente padre) che fa lievitare le storie dentro di noi?

Molte delle esposizioni di Antonio Catalano hanno come protagonista il pane. I visitatori entrano, guardano, annusano e quando arriva l'orario di chiusura della galleria si mangiano le sculture. Chi ha detto che con la cultura non si mangia? Si chiama arte temporanea, la mia preferita. Non ha correnti, se non quelle che si creano quando lasci aperte le finestre del museo.

Dall'alto del suo metro e ottanta Antonio si accorge di tutto. Anche delle foglie che cadono ai suoi piedi. Le raccoglie e le incornicia scrivendo sotto, come se fosse un ispettore di polizia, in quale circostanza è avvenuta la caduta, i nomi degli eventuali testimoni, a volte il giorno (se lo sa) oppure l'anno. Anche i fratelli Grimm lo facevano, ma in maniera meno fantasiosa. Prendevano le foglie e ci scrivevano sopra il luogo di ritrovamento. È un fatto vero, con prove documentali conservate nel loro museo. Meno sicuro è che l'attività fosse condotta da entrambi i fratelli. Arrivati a un certo  punto della loro carriera, ogni cosa che faceva un fratello veniva attribuita a entrambi. Per questioni di diritti, immagino. Ognuno dei fratelli si era così privato del diritto di avere le proprie idiosincrasie. Se uno detestava il formaggio la gente diceva "i fratelli Grimm detestano il formaggio". Sta di fatto che oggi quasi nessuno ricorda i loro nomi.

Una volta nel tariffario ufficiale esposto all'ingresso del Museo della Bora di Trieste era precisato che le foglie potevano accedere gratuitamente al museo. Non bisogna mai dare niente per scontato. Anche se questo è a tutti gli effetti uno sconto. Come dice il poeta: "le foglie cadono: cadeaux".

Tutto ciò che Antonio Catalano mette dentro le sue esposizioni è preso in prestito dalla natura. Un po' come tutti noi. Ogni essere umano è un libro con la copertina in pelle pronto a essere prestato. C'è chi ci ha prenotato, chi ci ha perduto, chi ci ha rubato. La data di restituzione è ignota, ma nel frattempo possiamo restituire agli altri i talenti che abbiamo ricevuto in dote. Raccontare le storie che abbiamo dentro. E alla fine ognuno avrà le orecchie che si è meritato. 

Un’ultima cosa che so di Potenza è che è il capoluogo di regione più alto di Italia (819 metri). Questa sua conformazione ha permesso ad Antonio Catalano, quando era ancora un bambino, di vedere da un punto elevato la messa in scena di uno spettacolo teatrale in una piazza sottostante. Da quella posizione inconsueta per uno spettatore ha potuto constatare che c’erano tre spazi: ciò che stava nascosto dietro le quinte, lo spettacolo che si svolgeva sul palcoscenico visibile a tutti, e la platea in cui stava seduto e fermo il pubblico. Grazie a questa visione nella sua testa di bambino ha iniziato a prendere piede l’idea che questi tre spazi distinti e separati non dovevano essere così disgiunti e che valesse la pena di pensare a un modo per mescolarli e amalgamarli. Come fa il panettiere con la farina, l’acqua e il lievito quando prepara il pane.

In effetti oggi quando il pubblico incontra Antonio Catalano in una passeggiata o in una narrazione, sta dietro, accanto, davanti, in mezzo. L’attore è lo spettacolo al quale assistono gli spettatori ma gli spettatori sono lo spettacolo a cui assiste l’attore. Siamo tutti artisti, se ci concediamo di germogliare. Siamo tutti semi, in potenza.