[di Viola Niccolai]
Circa un anno fa, quando Paolo e Giovanna mi proposero di illustrare il libro Blu per le Piccole storie di colori della Piccola Pinacoteca Portatile, accettai all’istante. Sapendo che avrebbe fatto parte della collana PiPPo mi piaceva l’idea di poter prescindere dalla formula classica dell’albo e di pensare ogni tavola come una storia a sé, strettamente legata all’opera a cui il testo fa riferimento per arrivare, alla fine, ad avere tra le mani un campionario di toni del blu che ripercorrono la Storia dell’Arte.
Filo conduttore il mio colore preferito, che come scrive nel libro Valentina Zucchi, autrice dei testi, è il colore preferito di molti. E poi mi piacevano e mi stimolavano tante fra le opere scelte per rappresentare i blu citati pagina dopo pagina.
Sembrava tutto molto chiaro, all’inizio: si trattava di cercare su Google una dopo l’altra le opere presenti nell’elenco che era stato stilato dalla curatrice e iniziare a disegnare.
Come fu chiaro, quasi subito dopo, che se c’era da disegnare, c’era anche da capire quando fermarsi. Perché in fondo è stata proprio questa la cosa più difficile: smettere di disegnare prima di pensare di aver finito.
Se da una parte le illustrazioni dovevano suggerire una certa fedeltà alle opere originali, dall’altra svelare tutto il loro contenuto e la loro forma avrebbe voluto dire farle finire lì, bell’e fatte per rimanere mere riproduzioni visive. E questo era un po’ il limite da superare in un libro che per sua natura deve contenere una buona percentuale di spazi bianchi pensati come nuovi inviti al disegno. Un libro che potrà effettivamente dirsi finito solo con l’intervento e il contributo di chi, disegnando accanto, sotto o sopra ciò che trova nelle pagine, ripercorrerà gli stessi passaggi che ho seguito io per realizzare quelle tavole: leggere, guardare, vedere e disegnare.
Tenendo a mente come sarebbero dovute apparire le illustrazioni, finite nel loro non essere finite, mi sono resa conto che, man mano che il lavoro procedeva, venivano fuori due diversi tipi di immagini.
Da un lato c’erano rielaborazioni di un’opera a metà: potevo concentrarmi solo su alcuni dettagli, ingranditi o decontestualizzati, oppure tratteggiare un contorno perché fosse poi riempito.
Ma ho anche ricostruito un’intera opera accostando a essa una pagina bianca, ovvero lo spazio necessario per un nuovo disegno che lì deve ancora arrivare. In questo caso, la doppia pagina va considerata come un’unica tavola, composta com’è dalla somma di un’illustrazione più il bianco intorno, in attesa che altre mani facciano la loro parte.
È un aspetto del libro che è stato molto importante tener presente in fase di realizzazione, se si pensa che per tutte le 32 pagine i concetti di guardare e di vedere vanno di pari passo con quello di “fare”. In questa sorta di riflessione a due tempi, i ragazzi devono poter assorbire il massimo dal testo e dalla pagina disegnata, cogliere suggestioni per essere liberi di spaziare nel momento in cui saranno loro stessi a mettersi all’opera.
Da lì è stato naturale scegliere dei pennarelli per riprodurre il Cavaliere Azzurro di Kandinsky, che sta cercando un campo in cui lanciarsi senza paura. E mi sono divertita al pensiero che sopra L’Old Walton Bridge di Tintoretto dominasse un cielo fatto di smalto per unghie, o che la Donna in blu di Picasso potesse avere un vestito per ogni stagione. E così via.
Del resto mi piace pensare che le illustrazioni per questo libro siano nate con l’idea di restituire un’immagine fedele a quella di partenza, ma anche per l’esigenza di poter comunicare una facilità di operazioni con cui quell’immagine può essere riprodotta, di dire tramite i segni che quell’immagine non è poi così difficile come sembra, e che basta mettersi lì vicino, con un pennarello o una bic blu in mano per capire come è stata fatta, e iniziare a disegnare.
Self promotion warning: pochi giorni fa, la collana PiPPo, della quale questo libro fa parte, insieme alla collana PiNO, ha ricevuto il Premio Andersen 2017, come miglior progetto editoriale di divulgazione.