La scorsa settimana è uscita una delle nostre ultime novità autunnali Voglio un cane non importa quale di Kitty Crowther che, come la serie Poka e Mine, è stato tradotto da Chandra Candiani. Chandra oggi presenta per noi questo libro. Le siamo davvero molto grati di aver accolto il nostro invito a farlo.
[piccole annotazioni di Chandra Candiani]
Mi sembra che spesso i libri di Kitty Crowter inizino con un fragile equilibrio, delicato, un po’ instabile. Dopo un po’ questo equilibrio si spezza. E poi ne nasce un altro, più ricco e forte, perché ha incorporato la rottura. Almeno, a parer mio, in questo libro è proprio così.
All’inizio c’è una bambina, Millie, che già dal nome e dall’aspetto proprio simpatica non è. Sarà che sono innamorata di Mine e della sua sobrietà e originalità, ma questa Millie è una che si prepara per andare in una scuola privata molto esclusiva e Kitty Crowther la chiama addirittura signorina Millie, mi sa che anche a lei non sta troppo simpatica.
Ma Crowther è intelligentissima e ama gli intrecci, ne costruisce certi in pochissime battute e sottili tratti, intrecci che fanno osservare un personaggio da tanti piani diversi, non sono mai tutte di un pezzo le sue creature. Ed ecco che Millie appena sveglia è tutta un’altra persona, cicciottella e con i capelli da streghetta; poi, si prepara per la scuola che si chiama Tre corone … ed esce fuori la signorina con il fiocco in testa e la gonna a sbuffo di mille colori. Ma a colazione, Millie cambia di nuovo, ha un’aria sognante, quell’aria che hanno le bambine e i bambini molto soli e parla senza essere minimamente ascoltata dalla mamma tuffata nel giornale. E cosa dice? «Potrei avere un cane?» Mmmmm la crisi dei bambini da appartamento, la richiesta di un po’ di selvatico e di naturale con cui vivere, il desiderio di un amico incontrollato e originale. E Millie sogna i cani più disparati, rivelando il suo bisogno di essere vista da qualcuno che assomigli a un umano senza esserlo. La mamma boccia tutti i suoi cani sognati, uno dopo l’altro: no, no, no.
E l’equilibrio si spezza, non siamo più nella casa di una bambina capricciosa che vuole un cane ogni giorno e ogni giorno si sente dire di no. Siamo a scuola e Millie è esclusa da tutti i discorsi delle sue compagne dai nomi odiosi che non fanno che parlare dei loro cani, cagnetti, cagnolini. Ah ah, ecco cosa ci sta dietro al crac dell’equilibrio: Millie non è dei loro, Millie è un pesce fuor d’acqua, una bambina senza cagnetto, cagnolino, senza discorso. Le altre fanno cerchio e si invitano a un party in un club con il loro cane: dolci e granatina. Bleah! E Millie rivela: odio questa scuola! E così si comprende che Millie è molto di più quella appena sveglia con i capelli a raggiera e le pantofole di peluche con testa di cane, che non la signorina infiocchettata.
Arrivata la notte, come ben sa chi insonne viaggia nei rimasugli del giorno, Millie vede trasformarsi la rabbia in dolore e grida: «Voglio un cane non importa quale!» Si sa che i cani non importa quale esistono e vivono nei canili dei cani abbandonati. E la mamma a un cane non importa quale cede e vanno insieme al canile.
Ora bisogna sostare e guardare bene tutti i cani disegnati da Kitty, uno per uno, espressioni magnifiche, veri cani che hanno vissuto, amato, sofferto, cani strampalati e speranzosi di essere salvati. Anche il volto di Millie cambia come uno specchio davanti a una creatura vera: Millie è indecisa, contenta, commossa. E sceglie un cagnetto piccolo, un cagnetto un po’ pecorinello, uno che non si nota tanto, che sta a occhi chiusi perché non ci crede troppo di poter essere scelto.
E l’equilibrio si ricompone, Millie è a casa felice con il suo cane e lo battezza Principe, mandandolo in estasi. Ma ovviamente l’equilibrio si spezza di nuovo, perché per le amiche è il cane più orrendo che ci sia e anche i loro cani lo guardano in cagnesco.
Di equilibrio in equilibrio c’è un continuo spezzarsi di piani nella vita di Millie che non riesce a volere quello che desidera e a difendere quello che ama, perché ha ancora bisogno di assomigliare, di essere una del gruppo, di farne parte anche a costo di far male alla creatura che ama e a se stessa.
Ma dopo un’ultima catarsi che non racconterò, il cuore di Millie si rinnova, si fa vivo e lei e il suo cane pecorinello fanno un essere solo nella tempesta, sbattuto di qui e di là, non visto, non accolto e Millie in lui si riconosce. Solo allora arriva qualcuno … non ve lo dico. È la sorpresa un po’ giapponese del libro. Chissà perché mi ha ricordato il film di Jarmusch Paterson, quando il poeta-autista di bus in crisi incontra un signore giapponese che salva la sua vocazione pronunciando queste parole: «Ah, ah!»
Anche qui c’è un profondo, leggerissimo, sincopato: «Ah, ah!». Tutto il libro è sincopato perché quello a cui arriva è il risveglio del cuore, la nascita di un’amicizia tra diversi che si scoprono simili nell’essere fuori corte, fuori gruppo, fuori ‘giusti’. E l’ultimo disegno è un inno alla diversità dei fiori, degli alberi, delle bambine, dei cani, dei signori ‘ah ah!’, di tutti gli esseri che a un certo punto dicono ciao ciao alla compiacenza e alla fatica di assomigliare e si trovano nella tempesta a cercare un amico vero, uno che il ‘per bene’ e il ‘per bello’ l’ha già lasciato da un pezzo.
Questo libro mi fa sentire che c’è speranza, che si possono abbandonare i club, le cricche, le corti o anche non esserci mai entrati nemmeno inciampando e vivere felici lasciando che la vita ci faccia ruzzolare tra le braccia l’amico giusto per noi, quello che non importa quale.