I regni dell’immagine/1. Luigi Ghirri

Qualche tempo fa, suRepubblica, in un articolo, lo studioso MarcFumaroli ha scritto: “Dobbiamo ritorcere contro i barbari leloro stesse armi. Hanno conquistato l’impero delle immagini? Dobbiamocontrapporgli i regni dell’immagine! A mio parere sarà intornoalla storia dell’arte, capace di unire tutte le scienze umanistiche,che dovrà emergere questa paideia novantica (nuova e antica insieme,n.d.r.) di cui oggi sentiamo tanto crudelmente la mancanza.”
Prendendo a spunto queste parole, inauguriamo questa rubrica cheriporterà, a cadenza rigorosamente irregolare, pagine che ci sembranosignificative a proposito di immagine, che si tratti di fotografia,disegno, pittura, illustrazione, cinema eccetera.


Negli ultimi tempimi è capitato di leggere alcuni libri di fotografi. La fotografiami interessa. Mi interessa anche quel che i fotografi hanno da diresull'immagine, sul rapporto con la visione, sull'atto del vederee sulla relazione col mondo attraverso il vedere. Nei loro scrittiquesti sono sempre temi di riflessione fondamentali. Anche nel miolavoro di editore e di autore, lo sono. Il mio lavoro è semprelegato, infatti, a quella tensione che c'è nell'essere umanoverso una rappresentazione della realtà o delle cose. E pensoche riflettere sul quel che si fa, pensare a come e a perché losi fa, sia una parte importante del lavoro. Per questo, dato chequesto blog si occupa molto di immagini, penso che proporre questeriflessioni abbia un senso importante. Anche se qui si parla nellospecifico di fotografia, è possibile riportare questi contenutiall'ambito complessivo delle immagini.

Oggivorrei proporre una pagina di LuigiGhirri, tratta dal volume, che consiglio, Lezionidi fotografia. In questa pagina, Ghirri spiega cosarenda importante oggi la fotografia. Lo spiega dopo aver affermatoun concetto che per me è stato fondamentale per chiarirmi le ideeriguardo agli obiettivi primari della nostra ricerca sull'immagine:“Al giorno d'oggi, a mio parere, uno dei problemi maggiori riguardal'ambiente, il fatto che ci muoviamo all'interno di un disastro visivocolossale. I segni si moltiplicano, sono in conflitto fra loro. Main certi momenti è possibile rappresentare una unificazione e unaricomposizione del tutto, non per inseguire una pacificazione colmondo, eventualmente per portare un elemento di inquietudiine piùche di denuncia.”

Ricordo bene la primavolta che vidi una foto di Ghirri. Rimasi sconcertata per come quellafoto riportasse una realtà non ripulita, dentro vi si percepiva il“disastro visivo”, ma anche i suoi anticorpi, una chiave di lettura,un senso, dunque una possibilità intrinseca di bellezza. Ghirri mi stavainsegnando un modo di guardare il mio tempo: questo mi parve di intuirecon immediatezza. E credo che questo sia quel che fanno tutti i grandicreatori di immagini, verso i quali nutro profonda gratitudine.


Il grande ruolo che ha oggi la fotografia, da un punto divista comunicativo, è quello di rallentare la velocizzazione dei processidi lettura dell'immagine. Rappresenta uno spazio di osservazione dellarealtà, o di un analogo della realtà (la fotografia è sempre un analogodella realtà ), che ci permette ancora di vedere le cose. Diversamente,al cinema e alla televisione la percezione dell’immagine è diventatatalmente veloce che non vediamo più niente. È come riuscire, una voltatanto, a leggere un articolo di giornale senza che qualcuno ci voltiin continuazione le pagine. È una forma di lentezza dello sguardoche trovo estremamente importante, oggi, considerato il processo diaccelerazione di tipo tecnologico e percettivo che è avvenuto negliultimi anni. Credo che questo suo carattere specifico di immaginefissa, ferma, il fatto di permettere tempi di lettura lenti, tempi dicontemplazione e quindi di approfondimento, non sia mai stato tantoimportante come oggi. 

Non solofra queste immagini, ma in tutto il mio lavoro ci sono pochissimiritratti. La figura umana non compare quasi mai. Certo, questo è unlavoro incentrato sul paesaggio, ma un dato di fatto è che oggi lamaggior parte delle immagini che vediamo è costituita da facce. Ilnostro panorama visivo è pieno di facce. Guardiamo cento canalitelevisivi, li cambiamo e ci sono sempre delle facce. Il rapportofra la faccia e il luogo in cui questa faccia vive, abita, mangia,sogna, si muove, non viene più considerato. La strategia di richiamarenuovamente l’attenzione sull'ambiente nella sua complessità mi sembra,anche culturalmente, davvero importante. Perché io credo che (è unateoria molto personale) dietro ai disastri dell'ambiente, a parte imeccanismi insiti in un dato tipo di sviluppo, vi sia una disaffezione– chiamiamola disaffezione – che l'uomo ha sviluppato nei confrontidel suo ambiente negli ultimi 30 o 40 anni, alla quale ha corrispostouna fondamentale incapacità di relazionarsi con l'ambiente attraverso larappresentazione. Quindi il recupero della rappresentazione visiva, oltrealla parola o all’informazione «tecnica», può avere un grande pesoculturale e una grande efficacia.