ovvero L’utilizzo dei silent book e degli albi illustrati nelle classi di italiano L2 con richiedenti asilo e rifugiati
[di Giulio Gasperini*]
Molti sono i pregiudizi che pesano sugli albi illustrati e sui silent book rispetto al loro utilizzo nella didattica ad apprendenti adulti. Questi atteggiamenti di rifiuto dipendono, forse, dalla considerazione che siano libri esclusivamente destinati alla fruizione di bambini e bambine e che provochino un’eccessiva infantilizzazione quando usati in altri contesti. In realtà, gli albi illustrati sono dei dispositivi grafico-narrativi fittamente polialfabetici, densi di codici da decodificare e di linguaggi da comprendere e veicolare. L’albo illustrato è un complesso congegno cognitivo, che mette in gioco e stimola l’attivazione di numerose competenze, anche pregresse, sprona e incentiva l’apprendimento più efficace, ovvero quello che si basa su ciò che una persona già conosce e sa fare. In questo senso, Tullio de Mauro sottolineò l’importanza di una quinta abilità, da aggiungersi alle quattro solitamente citate dai glottodidatti: ovvero quella dell’uso esplorativo, euristico, interiore, della parola.
Un altro elemento che rende i silent book e gli albi illustrati strumenti estremamente potenti per la didattica dell’italiano come L2 è la loro natura stessa di narrazioni, con costruzioni e dinamiche esclusive e peculiari [con L2 si intende la lingua seconda, diversa per le modalità di acquisizione-apprendimento dalla lingua madre (LM o L1) e dalla Lingua Straniera (LS) che si apprende a scuola. L2 si apprende in modo naturale nel paese in cui viene parlata abitualmente, per esempio, l’italiano in Italia, attraverso le interazioni con parlanti nativi e il contatto con documenti scritti, ndr]. I silent book, in particolare, che non sono decisamente dei libri “silenziosi”, hanno una costruzione narrativa per immagini che è complessa e rigorosamente strutturata, non supportata da parole, le quali scorrono sottopelle al testo stesso, suggerendosi al lettore che può immaginarsele in qualsiasi lingua conosca o voglia utilizzare. I silent book sono caratterizzati dalla loro “lacunosità”, come scrive Marcella Terrusi: l’autore non esplicita tutto quello che vorrebbe dire ma conduce il lettore attraverso una lettura originale, personale, spronandolo a mettere in gioco, appunto, le sue conoscenze pregresse, intuizioni, ipotesi, esperienze, visioni e talenti vari. Per questo, i silent book sono considerati strumenti potenti ed efficaci di contatto e comunicazione tra chi non possiede la stessa lingua, come ben dimostra l’esperienza della Biblioteca IBBY di Lampedusa; qui si è esperito come gli albi diventino dispositivi pedagogici estremamente adeguati nello spingere lo sguardo e l’analisi oltre la pagina per mettere in contatto i lettori, forgiando relazioni più inclusive e persino comunità più meticciate attraverso una fitta interazione dialogica. Possono contribuire alla creazione di una cittadinanza “planetaria, attiva, interculturale”, come la definisce Massimiliano Tarozzi: un irrinunciabile strumento culturale di cambiamento strutturale.
Gli albi illustrati possiedono una grammatica specifica che necessita, in particolare, della visual literacy, uno specifico linguaggio, frutto di una rete complessa di abilità, che si realizza attraverso la decodifica delle immagini, utilizzate in una narrazione per veicolare un significato. L’alfabetizzazione visiva mette in gioco e attiva molte competenze, le più svariate: tecniche, storico-politiche, antropologiche, scolastiche, sociologiche, politiche, interpersonali. Questo avviene perché le immagini fanno emergere un vissuto personale, delle competenze culturali pregresse, un background antropologico che rendono la lettura non necessariamente spontanea o naturale ma individualmente e personalmente marcata. Lo sviluppo della visual literacy si può collocare all’interno del percorso di coscientizzazione teorizzato da Paulo Freire e che, in maniera urgente, riguarda principalmente alcune tipologie di apprendenti come i richiedenti asilo. La coscientizzazione freiriana conduce all’affrancamento dello studente in quanto “cittadino” ed “essere politico”, rivendicando quei diritti, quel rispetto e quel riconoscimento che spesso sono castrati, compressi, ostacolati o soppressi. Questo può avvenire attraverso la narrazione, l’individuazione di parole generatrici che siano comuni e che permettano a tutti di potersi esprimere, liberando il punto di vista personale. La narrazione, particolarmente quella archetipica di miti, leggende e fiabe, possiede specificamente la capacità di creare immedesimazione, di plasmare mimesi e catarsi; è da qui che prendono forma i vissuti di ciascuno, assieme al desiderio di comunicare queste parti del sé, in un’ottica di ri-sistemazione della narrazione personale che, nel caso dei richiedenti asilo, è drammaticamente frammentata, sparsa in luoghi e orizzonti remoti, in ricordi scontornati. La narrazione stessa che la procedura di protezione internazionale chiede loro di fare di sé stessi è una narrazione manipolata al fine di capire se la persona abbia effettivamente il diritto di vedersi riconosciuta una protezione. Quello che interessa è dunque spesso la storia di un corpo sofferente, che reca su di sé le tracce di soprusi, violenze, torture, meglio se dimostrabili e certificate. Il desiderio legittimo di essere riconosciuti come individui e come cittadini spinge i richiedenti a inventarsi storie non credibili, illogiche e incoerenti, sottolineando l’aspetto “dolente”, che deve continuare a perdurare. Ecco allora che ricomporre il sapere narrativo degli studenti (che si definisce come un vero e proprio congegno epistemologico nel restituire senso alla complessità del mondo) diventa un atto fondamentale di cura della soggettività, si afferma come un programma lungimirante di ricostruzione di quel “diritto di parola” negato e soppresso. Le parole diventano strumento per riappropriarsi dello spazio soggettivo in un mondo in cui, dal punto di vista giuridico, molti non potranno mai affermarsi.
Bisogna sottolineare, inoltre, che la bellezza delle illustrazioni di un albo è un aspetto non secondario nella pratica didattica: utilizzare un materiale seducente, con belle immagini, conferisce una cura ulteriore verso lo studente, che riesce a comprendere la premura e il riguardo verso di loro. La stessa didattica e le modalità di insegnamento sono chiamate, così, a mettersi in gioco prepotentemente, con l’utilizzo di questi testi come strumenti didattici; per questo la formazione dei docenti diventa imprescindibile affinché si riconosca tutta la potenzialità di questi strumenti.
Questo è quello che si è cercato di fare nella Scuola di italiano DoubleTe, attiva ad Aosta dal 2017 al 2019, la cui esperienza è raccontata nel libro Stran(i)eri. Storie di alfabetizzazione (End, 2019), e nella quale ho insegnato con altre mie colleghe impiegando anche le sperimentazioni dell’Associazione Asinitas di Roma. In particolare, l’utilizzo di albi illustrati riveste un ruolo imprescindibile all’interno dei laboratori manuali-espressivi, nei quali si cerca di potenziare la capacità comunicativa degli studenti coinvolgendo il corpo e diverse altre forme espressive. Uno di questi laboratori proposti è legato all’albo A che pensi? di Laurent Moreau (Orecchio Acerbo, 2012).
Dopo la lettura del testo, condivisa in un cerchio per creare uno spazio prossemico di maggior coinvolgimento, è stato chiesto a ogni studente di cercare in alcune riviste le immagini delle cose a cui ognuno di loro stava pensando, di tagliarle e incollarle all’interno di una sagoma di una testa, così da popolarla di foto e di pensieri. Si è chiesto poi agli studenti di confrontarsi con un esercizio di scrittura a più fasi e livelli, realizzando un processo di transcodifica, ovvero di passaggio dal codice visivo a quello verbale. Le immagini contribuiscono ad attivare l’expectancy grammar, in base alla quale ogni studente può realizzare previsioni linguistiche e comunicative rispetto alla lingua che sarà necessaria per il racconto. Quello che risulta evidente dalla lettura dei testi prodotti dagli studenti è che spesso le narrazioni sono estremamente e crudemente personali e autobiografiche, spesso scontornanti nel mondo della famiglia e degli affetti, ma anche delle paure e delle fobie, legate a condizioni dolorose e di sofferenza inespressa: questo accade perché si è riusciti, nel concreto, a rendere lo spazio classe un luogo di cura e di attenzione, dove lo studente si sente protetto, non giudicato né costretto, ma accolto.
Breve lista di libri che possono essere utilizzati nei laboratori manuali-espressivi e nella didattica L2:
- Madalena Matoso, Todos fazemos tudo, Planeta Tangerina
- Barboux, Quella mattina sono partito, Edizioni Clichy
- Dipacho, I due pappagalli pigliatutto, Terra Nuova libri
- Susanna Mattiangeli, Vessela Nikolova, Al mercato, Topipittori
- Emiliano Ponzi, D’acquà a là, Gribaudo
- Laurent Moreau, A che pensi?, Orecchio acerbo
- Carson Ellis, Casa, Emme Edizioni
- Yu Jin, A chi somiglio?, Terre di Mezzo Editore
- Paola Formica, Orizzonti, Carthusia
- Bruna Barros, Insieme con papà, Il leone verde
- Vincent Cuvellier e Charles Dutertre, La prima volta che sono nata, Sinnos
- Bernard Waber e Suzy Lee, Chiedimi cosa mi piace, Terre di Mezzo Editore
- Tan Shaun, L’approdo, Tunué
[Giulio Gasperini: Si è laureato in Italianistica all'Università di Roma Tre e si è poi specializzato come insegnante di italiano L2 conseguendo due master (Ca' Foscari di Venezia; Orientale di Napoli). Ha collaborato con l'Associazione Asinitas di Roma. Insegna italiano L2, in particolare a richiedenti asilo e rifugiati, da circa dieci anni; dal 2017 al 2019 ha lavorato nella Scuola di italiano DoubleTe, ad Aosta, la cui esperienza è raccontata nel libro Stran(i)eri. Storie di alfabetizzazione (End Edizioni, 2019). Giornalista pubblicista e poeta, ha pubblicato cinque libri di poesie, l'ultimo dei quali è Sogno che arrivo (Edizioni Migr-Azioni, 2021). Vive e lavora ad Aosta anche come operatore legale nel settore delle migrazioni e nel progetto SAI della regione. Questo articolo ripropone in sintesi i contenuti della sua tesi per il Master di II livello in Didattica dell’italiano L2 presso l'Università degli Studi di Napoli L'Orientale.]
Su indicazione di Federica Buglioni, segnaliamo sul tema il contributo di Giorgia Grilli e Marcella Terrusi, Lettori migranti e silent book: l’esperienza inclusiva nelle narrazioni visuali, il contributo italiano al progetto internazionale Visual Journeys: Understanding Immigrant Children’s Response to Visual Images in Picturebooks2 svolto in Scozia, in Arizona, Spagna e Australia e dedicato a esperienze di lettura guidata rivolte a bambini migranti del libro senza parole di Shaun Tan L’approdo (2008). Per scaricarlo, cliccate qui.