[di Letizia Soriano]
Domenica 3 novembre 2024, a Bologna, presso la sede dell’Assemblea Legislativa dell’Emilia Romagna, si sono svolti i festeggiamenti per il centenario del maestro Alberto Manzi. È stata una giornata ricca di iniziative, perfetta per ricordare colui che spesso viene chiamato: “il maestro della televisione”. E in effetti Manzi riuscì a operare un’importante rivoluzione didattica e pedagogica tra il 1960 e il 1968, a partire proprio dalla rete via cavo. La sua rivoluzione cominciò già da quel provino in RAI in cui decise di strappare la lezione che qualcuno aveva scritto come copione per il futuro maestro “della televisione”.
Perché Manzi strappò quel foglio?
Di certo non per presunzione. Lo strappò perché era stato scritto da qualcuno che dentro la scuola non ci aveva mai lavorato.
Manzi sapeva perfettamente che per interessare il pubblico (bambini, adulti, anziani) occorreva muoversi, parlare, illustrare, accompagnare ciò che veniva insegnato, facendo sentire gli ascoltatori “protagonisti del processo educativo e didattico”, esattamente come è scritto oggi nelle nostre Indicazioni Nazionali.
Manzi si serviva di un grande blocco di carta montato su un cavalletto sul quale scriveva, con l'ausilio di un carboncino, semplici parole o lettere sempre accompagnate da un disegno di riferimento. Usava anche una lavagna luminosa, uno strumento davvero innovativo per quei tempi. La RAI Eri, casa editrice della Rai, pubblicava inoltre materiale ausiliario per le lezioni, quali quaderni e piccoli testi. La trasmissione andava in onda prima di cena ed era una vera e propria scuola serale per gruppi di adulti che, dopo una giornata di lavoro (spesso nei campi o al pascolo) si riuniva per imparare a leggere e scrivere. Spesso questi gruppi venivano invitati in trasmissione dando prova, già dopo qualche mese, di tutto quello che in pochissimo tempo erano riusciti ad apprendere.
Guardando il programma “Non è mai troppo tardi”, ancora oggi fruibile grazie a RaiPlay, si può godere non solo della padronanza didattica, ma soprattutto della grazia, dell’educazione, della passione di questo maestro nei confronti dei suoi alunni. Nessuno riesce a rimanere indifferente di fronte a questo suo atteggiamento e a non pensare, a non fare i conti, con la società di sessant’anni fa.
Ecco il motivo per il quale, in questa prima parte dell’anno, ho voluto parlare di lui in alcune classi che mi hanno ospitato. All’interno di questi incontri ho deciso di intervenire il meno possibile, mostrando semplicemente ai ragazzi la puntata dal titolo: “Gli allievi del maestro Manzi”. Quando ho avviato il video, già alla comparsa del bianco e nero e dell’audio che scricchiolava, in diversi erano già seriamente meravigliati.
Quando il maestro compare sullo schermo, come prima cosa, presenta la lezione del giorno e subito dopo i suoi allievi. A questo punto la telecamera inquadra un gruppo di vecchietti: donne col volto segnato dalle rughe, senza denti, col fazzoletto in testa. I bambini, tutti i bambini con cui ho lavorato per questo centenario, arrivati a questo punto, sono rimasti interdetti.
Ho lasciato molto spazio alle domande dopo la visione. Ne riporto alcune:
- Ma perché quei signori vanno ancora a scuola alla loro età?
- Forse prima hanno avuto un maestro che sbagliava tutto?
- Sono stati loro a voler imparare o li ha costretti il Comune?
- Come mai nella stessa classe hanno tutti età diverse?
- La signora di 57 anni perché era così vecchia?
- Non capisco perché adesso noi bambini andiamo a scuola di mattina, mentre a quei tempi ci andavano gli anziani e di sera. Funzionava tutto al contrario?
Solo in due o tre hanno ipotizzato che quelle persone andassero a scuola così tardi perché da bambini nessuno ce li aveva mandati.
Una bimba di quinta ha alzato la mano e ha parlato a tutti di una brutta malattia: l’analfabetismo. Ha detto: “quei vecchietti andavano in televisione per curare questa malattia, a quei tempi ce l’avevano quasi tutti”.
La puntata si può guardare qui.
Rispondere alle loro domande è stato come ragionare sul loro passato. Man mano che fornivo qualche elemento, erano i bambini stessi a collegare le informazioni rispetto ai racconti che avevano sentito dai loro nonni o dai parenti più anziani. Per qualcuno era impossibile che un uomo di settant’anni, invece di firmare col proprio nome, facesse una croce, ed è stato importantissimo anche scoprire che il nostro cervello è in grado di apprendere qualsiasi cosa perfino in tarda età. E che poterlo fare, per molti, ha rappresentato un’opportunità unica.
Manzi era arrivato alla televisione dopo un’importante esperienza all'Istituto di Rieducazione e Pena “Aristide Gabelli“ di Roma: a 22 anni aveva accettato quel posto rifiutato da ben quattro colleghi. Qui aveva conosciuto i suoi 94 allievi che, all’inizio, di studiare non ne avevano la minima intenzione, Gli stessi con cui a un certo punto, però riuscì a fondare il primo giornale degli Istituti di Pena, La Tradotta; gli stessi che insieme a lui scrissero il romanzo Grogh, storia di un castoro che nel 1948 vinse il Premio Collodi e, successivamente, fu tradotto in 28 lingue. Negli anni a seguire, Manzi continuò a lavorare nelle scuole statali di Roma, ma anche a partecipare a progetti radiofonici, sulla scia di Non è mai troppo tardi. Ci fu poi un’esperienza importante in Argentina e in Perù, dove, grazie una borsa di studio, fu mandato a studiare una tipologia di formiche della foresta amazzonica. Ma la sua attenzione non fu catturata solo dalle formiche; si accorse presto di ciò che succedeva ai contadini delle Ande i quali non potevano iscriversi ai sindacati perché non sapevano né leggere né scrivere. Nessuno glielo insegnava perché era proibito. Così se ne occupò lui stesso, continuando a tornare in Sudamerica alcune estati per i successivi vent’anni.
Nel 1981 fece scalpore perché si rifiutò di redigere le appena introdotte "schede di valutazione" che la riforma della scuola aveva messo al posto della pagella. Disse: «Non posso bollare un ragazzo con un giudizio, perché cambierebbe, è in movimento. Se il prossimo anno uno leggesse il giudizio che ho dato quest'anno, l'avremmo bollato per i prossimi anni». La "disobbedienza" gli costò la sospensione dall'insegnamento e dallo stipendio. L'anno seguente il Ministero della Pubblica Istruzione fece pressione su di lui per convincerlo a scrivere le attese valutazioni: fece intendere di non avere cambiato opinione, ma si mostrò disponibile a redigere una valutazione riepilogativa, uguale per tutti, tramite un timbro. Il giudizio era: "Fa quel che può, quel che non può non fa". Il Ministero si mostrò contrario alla valutazione timbrata, al che Manzi ribatté: “Non c'è problema, posso scriverlo anche a penna”.
Nell’ultimo concorso-scuola c’era una domanda su di lui. Metà degli insegnanti che erano con me si sono lamentati perché non avevano idea di chi fosse.
Non sono bastati i viaggi in Sudamerica, il lavoro in carcere, tutti i libri che ha scritto, una trasmissione che ha alfabetizzato quasi un milione e mezzo di italiani. Non è bastata una vita spesa al servizio dell’educazione, della didattica, della pedagogia, per far sì che questo maestro venga ascoltato e studiato anche oggi.
Questo è un dato che mi tormenta e che mi ha fatto venire voglia di invitare tutti, il 3 novembre, a quel compleanno che è stata una grande festa. Dove il figlio, la moglie, lo hanno ricordato con parole bellissime in cui si capiva che per stare vicino a un uomo così, ci sia voluto molto amore e moltissima pazienza. C’erano laboratori per tutti i bimbi presenti, letture di storie introvabili, una formidabile rivisitazione teatrale di Grogh, un francobollo a lui dedicato da far viaggiare in ogni dove, uno spettacolo musicale su Orzowei e naturalmente, una torta gigantesca, talmente larga che prendeva due tavoli interi, preparata dai detenuti della casa circondariale di Mantova. Quando l’ho raccontato a scuola, i bambini non potevano crederci. Uno in particolare mi ha detto che non era possibile, perché le torte di solito “si fanno in salita”. Questa espressione, visto che si parlava di un maestro la cui vita è stata una vera e propria salita, mi è sembrata azzeccatissima.
“Concedetemi un capitoletto breve breve di spiegazione. Io sono giunto a quell'età nella quale bisogna riesaminare il bilancio prima di chiudere la partita, è una cosa che facciamo tutti, con la segreta speranza di avere ancora un po’ di tempo per rimediare a qualcosa che non quadri.
Ebbene io vi invito, se volete, a "rivedere" la mia vita. Vi avverto: non è proprio tutta la mia vita, ma quella parte di essa che è uguale per tutti, dato che tutti siamo formati con la stessa pasta.
La balena bianca
Ero già grandino quando incontrai Hoomei, la balena bianca. La incontriamo tutti quando abbiamo sette anni (e attendiamo con ansia l'ottavo, il nono e così via, perché desideriamo conoscere il Cavaliere Coraggioso).
Se hai dimenticato questo incontro, e se per questo tu che ora leggi ridi di me, t'assicuro: non è colpa mia. La tua memoria è debole; o meglio, i calzoni lunghi e le fatiche di ogni giorno t'hanno fatto dimenticare le avventure trascorse. Prova, però, a stringere forte forte le tempie fra le mani. T'accorgerai che qualche immagine, sia pur evanescente, confusa nella nebbia del tempo passato, si farà avanti.
Stringi ancora più forte e ricorderai, stanne certo.
La balena bianca viene quando si hanno sette anni. E te ne accorgi subito perché è la prima volta che tu senti il desiderio di star lontano dalle braccia amorose, di fuggire dalla cerchia ove Lei, la mamma, regna sovrana lottando per te, vivendo per te, morendo a poco a poco per te.
Come il desiderio di fuga si fa più vivo, più violento, compare la balena bianca.
Viene così, improvvisamente.
Appena la mamma spegne il lumino da notte, te la trovi dinnanzi sorridente. È proprio il suo sorriso dolce, invitante, che non ci fa gridare dalla paura; e la smania dell'avventura ci fa aderire con impeto all'invito.
-Vieni!
Così, a cavalcioni sul grande dorso, tu te ne vai per il vasto oceano a vedere per la prima volta il mondo.
Alberto Manzi, da Tre quarti di me e dei miei sogni, inedito.
(ringrazio Alessandra Falconi e il Centro Alberto Manzi per la gentile concessione)