Qualchegiorno fa, aspettando di entrare al cinema, abbiamo fatto una visita auna grande libreria del centro di Milano: giornali e riviste al pianoterreno, insieme all'elettronica di consumo e al banco dei bestseller, elibri al primo piano. Il reparto ragazzi era molto grande. Ma per quantoci siamo sforzati, non siamo riusciti a trovare un solo libro. C'eranosolo oggetti che, pur avendo l'aspetto del libro, rinviavano sempre aqualcosa d'altro, attraverso gadget sonori e tattili, accessori e allegatidi vario tipo. Come se il libro, da solo, non bastasse.
Ciòche caratterizzava questa massa informe di cose, di merci, era lasconcertante bruttezza, la cacofonia visiva, la mancanza di ogni estetica,programmatica o involontaria, l'aspetto brutale, rozzo e deteriore.
Spesso sentiamo affermare, anche da persone insospettabili, con leparole e con le scelte di produzione, che al libro non è necessaria labellezza, che ai bambini la dimensione estetica è estranea, perchéal bello non sono sensibili e che pertanto il libro deve limitarsi aveicolare buoni contenuti. Non siamo d'accordo.
Crediamoche questa sia una mistificazione che sottende a un progetto politicopreciso (che accomuna destra e sinistra e tutti i possibili centri),quasi hausmanniano nella sua radicalità ed efficacia: impedire che lagente faccia una vera rivoluzione.
Sul tema della bellezza edei suoi effetti, uno dei protagonisti del film Le vite deglialtri, Georg Dreyman, pronuncia una battuta memorabile:«Sai cosa diceva Lenin dell’Appassionata di Beethoven? “Secontinuo ad ascoltarla, non finirò la rivoluzione”. Può qualcunoche ha ascoltato, veramente ascoltato, questa musica essere davverouna cattiva persona?»
Lenin si sbagliava: probabilmenteè ascoltando marcette e inni che si smette di ribellarsi.
Ce lo ha confermato, anni fa, Peppino Impastato. Non sappiamose abbia mai pronunciato davvero parole così necessarie. O se sianoopera di uno straordinario sceneggiatore. Che le abbia pronunciate osolo ispirate, una ragione in più per rimpiangerlo.