È per incantamento che si leggono le fiabe

Oggi vi presentiamo l'ottava uscita autunnale. Si tratta di un nuovo volume della collana I topi saggi, La fiaba come racconto di Beatrice Solinas Donghi, che esce dopo diversi anni di assenza dagli scaffali delle librerie. Lo proponiamo accompagnato da una selezione di altri scritti, articoli e brevi saggi, a cura di Pino Boero, finora mai raccolti in volume, e da un ricco apparato iconografico curato da Anna Martinucci. Nel 2023 si celebreranno i cento anni dalla nascita di questa scrittrice e studiosa di cui nel 2020 abbiamo pubblicato Le fiabe Incatenate, e di cui nel 2023 pubblicheremo La gran fiaba intrecciata. Dunque la pubblicazione di questo importante studio sulle fiabe, ci è parsa imprescindibile.

[di Giovanna Zoboli]

La copertina dell'edizione 2022 di La fiaba come racconto di Beatrice Solinas Donghi (Topipittori).

Più volte mi è capitato di rispondere, a chi mi chiedeva quali fossero le mie letture preferite, che fra queste ci sono sicuramente le fiabe. Ne ho lette moltissime, fra queste anche quelle di Beatrice Solinas Donghi: Le fiabe incatenate e La gran fiaba intrecciata, trovate e comprate in un remainder di corso Buenos Aires, miniera di libri bellissimi e fuori catalogo, che oggi ha lasciato il posto a un negozio di mutande fashion. Non ricordo bene come venni a sapere del saggio La fiaba come racconto, immagino da uno dei vari studi sulla fiaba che ho letto. In ogni modo, ormai diversi anni fa, lo lessi per preparami ai corsi che tenevo sul rapporto fra testo e immagine nei libri illustrati, nella vecchia edizione Marsilio del 1976 acquistata su Ebay. Una delle mie lezioni era sempre sulle fiabe, e sempre leggevo brani da questo saggio. Quando, invece, tenevo i corsi di scrittura, non mancavo mai di leggere stralci dalle fiabe di Beatrice Solinas Donghi, narratrice provetta, vera e propria incantatrice di serpenti. Se acquisirete la sua astuzia, eleganza, intelligenza il suo orecchio assoluto per la fiaba e il suo senso del ritmo e della parola esatta, spiegavo agli aspiranti scrittori per ragazzi, sarete in una botte di ferro.

In questo saggio, Beatrice Solinas Donghi rivela come abbia appreso l’arte del raccontare, ma parlando di tutt’altro, dato che La fiaba come racconto non è un manuale di scrittura, ma uno studio dottissimo sulle fiabe, le loro origini, la loro storia, e su alcuni dei motivi ricorrenti più noti che in esse troviamo.

A un certo punto, nel primo capitolo, Solinas Donghi scrive di come i narratori orali di fiabe apprendessero l’arte di mantenere viva l’attenzione dei loro ascoltatori, trovandosi nella scomoda posizione di vedere in volto in presa diretta le loro espressioni. Al primo segnale di noia, sapevano di star sconfinando o di essere già precipitati nella prolissità, nella monotonia o in qualche superflua digressione. La fiaba non concede distrazioni ai narratori, è una lezione di narrazione suprema che impone la rinuncia a ogni orpello a ogni inutile cianfusaglia, scambiata per bravura, esercizio di stile, originalità o espressione di sé.

La fiaba, in sostanza, è arte del racconto allo stato puro (lo dichiara anche Calvino nelle Lezioni americane, e infatti tenne in gran conto Solinas Donghi sia come scrittrice sia come studiosa di fiabe). Perciò, mettiamo da parte le interpretazioni filosofiche, psicoanalitiche, religiose, simboliche, antropologiche che sicuramente sono interessanti, ma portano le fiabe a una stretta misura che non è la loro. Nascono prima loro, infatti, dei significati che a noi pare di vedervi o immaginarvi. E rintracciare con sicurezza la loro origine è assai complicato, se non impossibile. Dunque stiamo ai testi, che sono l’unica cosa che abbiamo: leggiamoli, confrontiamoli, studiamoli.

Ecco, La fiaba come racconto è una lunga escursione attraverso i testi delle fiabe che Solinas Donghi definiva il genere letterario “più compatto che esista”, come sottolinea Pino Boero, curatore del volume, nell’introduzione, riportando queste parole da un articolo di Solinas Donghi pubblicato nella rivista Diogene nel 1959, Fiabe e “suspense”:

È per incantamento, insomma, che le fiabe si leggono e si rileggono; e non per sapere come vanno a finire. E l’incantamento si regge proprio sulle leggi che impediscono la “suspense”; sulla magica ripetizione, sul numero fisso e sacro delle prove, sulle formule in versi o in proverbi che non vanno riassunte o sorvolate se non si vuole perdere l’effetto, ma anzi ribadite ogni volta più arcanamente, col dito alzato della Sibilla. L’incanto è così robusto da tener in piedi una fiaba anche dopo molti secoli, anche raccontata male o ridotta allo scheletro consunto di sé stessa. La magia, quasi a volte la formula magica, basterebbe, a rigore, a fare la fiaba. [Infine c’è] la bravura, la bella trovata, una specie di virtuosismo del primo narratore o di quello insomma che per primo la “trovò”; è la ragione per cui la trama “sta in piedi da sé” e, anche questa, non si può guastare, per quanto male venga raccontata: tutto un felice giuoco di corrispondenze e di sorprese che fa della fiaba il più compatto genere letterario che esista; difatti rimane inconcepibile interromperne una a metà.

E aggiunge Boero nell’Introduzione:

Quando nel 1976 uscì da Marsilio la prima edizione di La fiaba come racconto pochi fra gli studiosi sfuggivano al richiamo dei significati profondi delle fiabe, delle strutture narrative riconducibili a precise funzioni, delle “opportunità” didattico-pedagogiche offerte da testi “elementari”; era come se il fascino dei “congegni” vincesse sulle “ragioni del racconto” e nascondesse quel piacere di una narrazione che invece doveva venire prima di ogni altra ricerca.

Beatrice Solinas Donghi – come abbiamo visto – rifletteva da anni sulla fiaba e lo faceva soprattutto sul terreno dei testi, di quelle raccolte di fiabe capaci di nascere in un determinato ambito per spostarsi poi in altri territori in una sorta di catena interminabile capace di aggiungere anelli ma anche di toglierne, di prendere direzioni inaspettate per poi, repentinamente, tornare alle origini; fin dall’inizio della sua precoce riflessione, insomma, la scrittrice era giustamente convinta che la fiaba fosse soprattutto narrazione e che la ricerca affannosa di significati latenti, dalle spiegazioni psicoanalitiche a quelle etnologiche, finisse per nascondere “le ragioni del racconto”; proprio per questo i capitoli del libro costituiscono ancora oggi l’esempio più persuasivo di come possano proficuamente accordarsi riflessione critica e invenzione letteraria; di come possano convivere il fascino della parola raccontata, il gusto dell’intreccio, il piacere dell’ascolto e della lettura:

Anche il racconto - la trama, l'intreccio del racconto - è un dato di fatto reale; anzi, l'unico dato di fatto col quale lo studioso ha a che fare direttamente [...] l’intreccio fiabesco potrebbe paragonarsi a una zattera messa insieme in epoche remote con pezzi di relitti ancora più antichi, residui di mondi e modi d'esistere ormai inghiottiti dall'oceano del tempo e giunti fino a noi soltanto perché essa - la zattera, la fiaba - era così solidamente congegnata da galleggiare per millenni.

Al testo del saggio, oggi ripubblicato dopo l’edizione Mondadori del 1993, seguono, come segnala il titolo La fiaba come racconto e altri scritti sul fiabesco, una scelta di articoli e brevi saggi pubblicati dalla studiosa sul tema della fiaba, articoli finora mai apparsi raccolti in volume. Riporto dall’introduzione del curatore:

La scelta di articoli e saggi che in questo volume segue La fiaba come racconto copre un arco cronologico vasto (dal 1967 al 1994) e offre una consistente panoramica dei molteplici approcci che hanno caratterizzato l’interesse di Beatrice Solinas Donghi per il mondo fiabesco: articoli sugli studi dedicati alla fiaba; riflessioni sulle diverse raccolte e sui rapporti fra fiaba e tradizioni popolari; presentazioni di autori di fiabe ‘moderne’; ‘incursioni’, tutte attinenti al tema, su personaggi, polemiche, cinema...

Abbiamo riproposto questo studio nella nostra collana I topi saggi, prima di tutto perché ci sembra tuttora attuale e capace di esprimere un punto di vista importante sulla fiaba; poi perché, dopo aver pubblicato Le fiabe incatenate e, avendo in programma per il 2023, in cui si celebreranno i cento dalla nascita della scrittrice, La gran fiaba intrecciata, che sarà illustrata come la precedente raccolta dalla bravissima Irene Rinaldi, ci sembrava fondamentale far conoscere il pensiero e le riflessioni di Beatrice Solinas Donghi su questo genere letterario, nati da lunghi e appassionati studi.

Abbiamo voluto proporre ai lettori questo volume corredato da un apparato iconografico importante che è stato curato da Anna Martinucci. Parlare di fiabe e libri illustrati senza che il lettore possa rendersi conto del peso che l’illustrazione ha e ha avuto nella narrazione e nella creazione del nostro immaginario soprattutto fiabesco non ha senso. A questo proposito, basti un esempio: il successo oltre confine che coronò la raccolta delle fiabe dei Grimm si deve all’edizione inglese del 1823, illustrata da George Cruikshank, edizione che fece comprendere agli autori stessi l’importanza delle illustrazioni nella lettura delle fiabe. Da qui la decisione dei Grimm di corredare la successiva edizione tedesca dei Kinder- und Hausmärchen, quella del 1825, fino a quel momento priva di immagini, da venticinque incisioni di Ludwig Emil Grimm. L’edizione dei Grimm di Cruikshank è una pietra miliare nella storia dei libri per ragazzi perché determinò la presa di coscienza dell’importanza delle immagini nei libri destinati ai ragazzi.

Scomparse, o quasi, le voci dei narratori orali della tradizione, la loro forza narrativa deve aver trovato rifugio nella potenza delle figure in grado di restituire, senza tradirne la natura profonda, gli aspetti più sottili e segreti del racconto, lasciandone inafferrabile il senso ultimo, come ogni grande letteratura fa e come Beatrice Solinas Donghi ben sapeva.