[di Letizia Soriano*]
«Se provo a definire meglio questo progetto (prima centro sociale poi educativo) direi che si delinea proprio come un progetto-sogno sempre alla ricerca di perfezionarsi. Un centro punto d’incontro di bambini, adulti di ogni età e appartenenza sociale, in un clima di reciproco rispetto e di cooperazione. Un luogo di confronto e scambio culturale e soprattutto una scuola intesa a promuovere l’integrazione fra individualità e socialità mediante concrete esperienze.»
[Intervento di Margherita Zoebeli, Laurea Honoris Causa in Pedagogia all’università di Bologna, 23 gennaio 1989]
Quando mi è stato chiesto di raccontare di Margherita Zoebeli ho subito pensato di fare una passeggiata dentro il CEIS, Centro Educativo Italo Svizzero di Rimini; una piccola escursione che mi avrebbe permesso di osservare questo luogo da lei fortemente voluto e di incontrare alcune colleghe che con lei hanno collaborato fino alla sua morte, avvenuta il 25 febbraio del 1996. Muovermi tra i vialetti di ghiaia che si aprono davanti alle baracche di legno, osservare la cura del giardino e degli ambienti interni, mi restituisce l’impressione di un luogo in cui l’attenzione alla bellezza è un elemento vivo che non riflette un’estetica immobile, perché insieme al calore del legno, al conforto degli alberi e dei cespugli da cui ogni tanto spunta un bambino o un gatto, si possono trovare angoli che aspettano ancora di essere rivisti, pavimenti di linoleum che scricchiolano, porte che faticano a chiudersi, assi da carteggiare e ridipingere. Il lavoro di manutenzione sia materiale sia pedagogico qui acquista possibilità sempre nuove e interessanti.
Il CEIS di Rimini oggi.
Le bambine e i bambini che frequentano la scuola del CEIS scoprono presto chi è Margherita Zoebeli. Sanno che la città di Rimini nel 1945 era stata duramente bombardata e che il sindaco Arturo Clari e il vicesindaco Gomberto Bordoni fecero richiesta di aiuti al Soccorso Operaio Svizzero (una struttura di assistenza e di intervento sociale nata nel 1932) attraverso il sindaco di Milano Antonio Greppi, il quale ne aveva beneficiato come perseguitato politico durante il fascismo. Margherita Zoebeli, che vi prestava servizio già da diversi anni, aveva cominciato fin da giovanissima a impegnarsi nei campeggi e nei doposcuola per i bambini degli operai, e poi, a partire dal ‘33, aveva prestato soccorso alle famiglie degli oppositori al nazismo che lasciavano la Germania e trovavano uno dei rifugi più vicini in Svizzera. In quel contesto Margherita Zoebeli cominciò la sua militanza e, parallelamente, anche le sue prime esperienze in campo pedagogico.
Nel 1938, a soli 26 anni, si recò in Spagna durante la guerra civile come responsabile di una casa in cui erano ospiti cento bambini orfani, figli di profughi repubblicani. Dopo poche settimane dal suo arrivo, visto il precipitare degli avvenimenti bellici e i continui bombardamenti alla città, decise di organizzare un trasporto attraverso i Pirenei per portarli con sé in Francia, in una colonia sulla spiaggia di Sète; qui conobbe Célestine Freinet, pedagogista e educatore francese, fautore della pedagogia popolare.
Continuò la sua attività anche al confine italo-svizzero, nel Val d’Ossola, dove aiutò le famiglie e i partigiani a varcare la frontiera arrivando in Ticino. E poi nel 1944 lavorò per diversi mesi come assistente sociale nella regione mineraria di Saint Etienne, dove era stata inviata per organizzare aiuti alla popolazione. Dopo questa esperienza in Francia, Margherita Zoebeli si dichiarò disponibile a continuare questo tipo di lavoro anche in Italia, in particolare a Rimini, quando fu richiesta la sua presenza dal sindaco. Proprio in questa veste arrivò nel 1945 assieme a una piccola delegazione del Soccorso Operaio Svizzero, (tra questi ricordiamo l’architetto Feliz Schwarz e Barbara Seidenfeld) per creare una struttura baraccata da adibire a scuola materna e orfanotrofio per bimbi tra i tre e i sei anni, che versavano in condizioni fisiche e psichiche gravemente compromesse dai problemi che la guerra aveva portato. Insieme all’asilo, l’amministrazione comunale necessitava anche di un luogo che potesse funzionare come centro sociale: una biblioteca, delle docce pubbliche (l’acquedotto era stato distrutto), piccoli laboratori di falegnameria, di calzoleria e di sartoria a disposizione della cittadinanza.
Nel gennaio del 1946 arrivò a Rimini un convoglio ferroviario con il necessario alla costruzione del Villaggio e delle sue baracche, strutture in legno senza fondamenta, che velocemente presero forma. Fu necessaria anche la distribuzione di aiuti umanitari, dalla Svizzera arrivarono vagoni di viveri, di vestiario, di suppellettili insieme ai cosiddetti pacchi di mobili, ideati dell’architetto Schwarz. Dentro ciascun pacco erano presenti due reti montate su un telaio di legno, il telaio a sua volta conteneva un armadio smontato, un tavolo, quattro sgabelli e un pacco di stoviglie per quattro persone. Il minimo indispensabile per le famiglie la cui casa era stata distrutta.
Il Soccorso Operaio Svizzero.
La costruzione delle baracche.
Il pacco di mobili.
«È stata la mia fortuna non ascoltare tutti quelli che tentavano di scoraggiarmi di fronte alle difficoltà dell’impresa, ma fui anche sostenuta da gruppi e da persone che credevano nell’educazione attiva e operavano per questo, come Marcello Trentanove, Rita Fasolo, Giorgio Pagliazzi, Lamberto Borghi, Aldo Pettini e altri ancora. Ero in stretto contatto con loro […] Come vedi, la mia militanza da giovane nei gruppi dei Kinderfreunde** e poi in Italia per il rinnovamento della scuola, è la radice dell’indirizzo educativo che ho voluto dare al Centro. I primi dieci anni furono molto elettrizzanti, carichi di coraggio e di entusiasmo. C’erano tante difficoltà, soprattutto di carattere politico ma avevamo la fortuna di concentrarci su ciò che andavamo facendo, entusiasmati dai risultati con i bambini e quindi non ci interessava perderci nelle discussioni. Se avessimo cominciato ad affrontare verbalmente i nostri avversari, avremmo senz’altro perso. La maggior parte delle energie sarebbe stata buttata al vento. Per questo mantenemmo un’estrema concentrazione sul lavoro...». [da un’intervista di Grazia Honegger Fresco a Margherita Zoebeli, apparsa in uno dei suoi quaderni Montessori nell’autunno del 1987]
L’intervista integrale a Honegger si trova qui, al quaderno numero 15.
Il CEIS venne inaugurato il primo maggio del 1946 ed è tuttora attivo. Al suo interno è presente una sezione cerniera di nido, una scuola dell’infanzia, una scuola primaria, una comunità educativa semi-residenziale per minori in situazione di disagio sociale e familiare, un laboratorio per il trattamento e l’identificazione precoce delle difficoltà di apprendimento, un laboratorio per la formazione e l’inserimento lavorativo di persone disabili.
Nel giardino del CEIS.
La scuola dell'infanzia.
Margherita Zoebeli in aula.
Margherita Zoebeli ha investito tutta la sua esistenza nella realizzazione di questo luogo dedicando, fin da subito, molte energie all’organizzazione di corsi di formazione con i migliori esperti del tempo, tra questi Pierre Bovet (psicologo svizzero e direttore insieme a Jean Piaget dell’Istituto Jean Jacques Rosseau di Ginevra), Therese Keller e Ornella Baragiola famose burattinaie e la stessa Grazia Honegger Fresco, pedagogista e allieva di Maria Montessori, che fu invitata diverse volte a tenere seminari per educatrici e insegnanti e che a sua volta apprezzava le proposte e le metodologie dell’educazione attiva. Ospitò, inoltre, il primo convegno del movimento Freinet alla presenza dello stesso Célestin Freinet. Viaggiò molto soprattutto in Europa e negli Stati Uniti, dove creò un gemellaggio con la scuola quacchera Friends’ Central School di Philadelphia oggi ancora attivo, e poi in Nicaragua per corsi di formazione ai direttori delle scuole speciali.
Non hai mai scritto libri, né stilato nessun metodo educativo, si è sempre interessata alle diverse correnti pedagogiche studiandole e sperimentandole con senso critico, stabilendo rapporti significativi tra le varie esperienze. Ha voluto tradurre nei fatti i suoi principi educativi, quali il rispetto dell’individuo, l’accettazione e la comprensione, il pensiero-azione e l’idea ispirata da Bakunin che il bambino appartiene a se stesso per cui lo sforzo della famiglia e della società deve essere quello di aiutarlo a camminare nel mondo che cambia sulla base di una integrazione positiva e critica.
C'era una volta... un parola per la fantasia, una parola per la realtà: il libro dei bambini del CEIS.
Aveva tanti interessi, era un’amante dell’arte che voleva fosse presente in tutti gli ambienti del Centro, della musica e delle sperimentazioni più innovative, dell’architettura e dell’urbanistica, della spiritualità, della politica locale e internazionale, della letteratura dei giochi e della cucina. Era una persona estremamente impegnata che chiedeva sempre il massimo a se stessa e a chi collaborava con lei, come se questa fosse l’unica forma possibile in cui ognuno di noi è chiamato a esprimersi come scrive Lucia Biondelli (insegnante di inglese del CEIS) in occasione del suo funerale. Ciò rende bene l’idea del suo operato, così come la domanda che Biondelli le pose durante una chiacchierata informale: “Ma se una persona ama così tanto il suo lavoro, le vacanze le deve fare lo stesso?”. Io stessa ho intrapreso la mia carriera di insegnante proprio al Centro Educativo Italo Svizzero dove ho ricevuto una formazione preziosa rispetto alle scelte da promuovere insieme a bambini e colleghi, in un processo continuo di ascolto, di osservazione, di attesa e di partecipazione attiva.
«Non si tratta di bravura, è semplicemente un dovere. Quando si ha un’idea bisogna lavorare per l’idea.» [da Paesaggio con figura, Margherita Zoebeli e il Ceis, documenti di una utopia, 2007]
*Letizia Soriano è nata nel 1983, vive a Rimini dove insegna nella scuola primaria. Ha lavorato al Centro Educativo Italo Svizzero per diversi anni organizzando anche corsi di formazione per adulti nell’ ambito dell’educazione attiva all’interno di progetti nazionali e di cooperazione internazionale.
** Come spiega la stessa Zoebeli: «Il movimento dei Kinderfreunde (amici del bambino) in Austria sorse nell’ambito della sinistra laica con sezioni in tutto il paese. Venivano costruite ovunque case per bambini, centri d’incontro per ragazzi a Vienna anche una scuola per la formazione degli educatori. Nel 1921 uscì il primo numero del mensile Die sozialistisch e Erziehung, Reichsorgan der Arbeiter "Kinderfreunde" fur Oesterreich (L’educazione socialista, organo nazionale dell’Associazione degli operai “amici del bambino’’ per I’Austria). Migliaia di bambini del ceto operaio trascorrevano le loro vacanze e il tempo libero in queste strutture, trovando assistenza educativa e medica. Soprattutto potevano godere di un clima comunitario. Negli anni Venti-Trenta e circa fino al 1933 o poco più, quando ci fu a Vienna tutto quel rigoglio di psicologia, si realizzò un vasto lavoro culturale, di ampio respiro. II nazismo distrusse tutto, perfino il ricordo di queste esperienze. Già da ragazza ero in contatto con il movimento austriaco e con i gruppi dei Kinderfreunde che esistevano anche in Svizzera».
Link per approfondire:
Reportage di Christian Raimo sul CEIS