Alcune cose che ho scoperto passando ancora una volta nel cerchio di fuoco

La seconda uscita di questa primavera 2019 è una raccolta poetica. La firmano Silvia Vecchini per i testi e Francesco Chiacchio per le immagini e si intitola Acerbo sarai tu. Non c'è bisogno di aggiungere altro alle parole con cui Silvia Vecchini oggi presenta il libro.

[di Silvia Vecchini]

«Se soltanto i grandi ne sapessero davvero di più. Invece ci danno case delle bambole, case di giochi infondo al giardino, e sperano che ne restiamo prigionieri, che ci cresciamo dentro fino a non riuscire più a venir fuori, condannati alla salvezza miracolosa dell’infanzia.»

Beatrice Masini, Più grande la paura (Marsilio)

Entrare nell'adolescenza per qualcuno somiglia a saltare al di là, quasi passare in un cerchio di fuoco e trovarsi altrove. Per altri somiglia a scivolare più o meno velocemente, somiglia allo scorrere portati da una corrente. In ogni caso è finire in un corso d'acqua, più profondo, più freddo, più rapido. Comunque diverso. Io so che per me funzionò come un risveglio. D'un tratto mi sembrò di avere una vita nuova, nuovi pensieri. Avevo anche la sensazione che i colori attorno a me fossero più vivi. Che io stessa vivessi per la prima volta. Non ero più dentro una magia, ero dentro la realtà.

Scrivendo per ragazzi, mi sono soffermata spesso su questo confine che non smette di attrarre la mia attenzione. Anche nei laboratori di scrittura alle scuole medie chiedo ai ragazzi di raccontarmi che cosa sia crescere. Per iniziare mostro loro una stupenda doppia pagina del libro Sangue dal naso e altre avventure di Nadia Budde (Topipittori) che inizia con «Essere bambini era…». Ridono molto quando leggiamo insieme questo elenco. Hanno l’impressione che si parli proprio di loro, quasi che qualcuno li avesse spiati. Commentano «Anch’io!», oppure «Questo sì, lo facevo, questo invece no».

E poi le sequenze, anche spigolose e dure, che parlano di che cosa sia crescere. Qui riporto solo una pagina.

«Una mattina le cose cambiano», dice Nadia Budde. Nei miei libri ci sono molti passaggi che provano a raccontare che cosa possa voler dire diventare grandi dal punto i vista di chi è dentro al cambiamento. Me lo fece notare Simonetta Bitasi mentre preparava un appuntamento del Festivaletteratura che mi riguardava. Non li avevo mai messi in fila, eppure c’erano. Evidentemente, quando arrivo a questo nodo nelle mie storie cerco ogni volta di sbrogliarlo senza riuscirci del tutto.

Crescere è un tuffo (Fiato sospeso), crescere è come il lancio dell’Apollo 11 che, per arrivare sulla Luna, deve lasciare andare un razzo alla volta per aver più spinta (Black hole), crescere è salire un gradino più, fare per la prima volta un discorso serio con tuo padre (Le parole giuste), crescere è passare dentro una galleria che non sai quanto sia lunga e non sai come sarai una volta passato di là (Vetro), crescere è vedere le cose così come sono (Le cose così come sono).

Anche negli altri due libri di poesie, sempre editi da Topipittori, ci sono testi che cercano di raccontare questo passaggio. Penso in particolare al testo che chiude la prima raccolta Poesie della notte, del giorno, di ogni cosa intorno. È un testo che saluta l’infanzia e la sua magia ma che apre a una nuova meraviglia, se possibile ancora più grande.

Oppure crescere è fare un errore, pungersi, dormire, svegliarsi cambiati, come nella poesia Il più delle volte, nella raccolta In mezzo alla fiaba.

 

Quando ho iniziato a scrivere Acerbo sarai tu, ero ancora più vigile nell’osservare questo confine dato che erano i miei figli a passarlo. Li ricordo sul punto di staccare un salto. Il crescere dei centimetri e della forza, il loro farsi letteralmente più grandi di me. Questo momento, insieme a tantissimi altri cambiamenti alcuni impercettibili ma irrevocabili, è stato molto emozionante. Tuttavia, nelle cose davvero importanti, io mi fido poco delle emozioni. È grazie alla scrittura che riesco a capire meglio. Mi fa strada nel fitto della boscaglia, mi fa rischiare, mi fa passare in mezzo ed uscire dall'altra parte. In questo attraversare a volte mi ferisce. Solo alla fine mi consola. Così, ricordandomi di aver scritto delle poesie per i miei figli più grandi, Beatrice e Giovanni, nel momento del loro salto, sono andata a ripescarle per scrivere questo pezzo.

 

Mia figlia mi prende

e mi solleva, ride, è bella

rido anch’io della sua forza e un po’

anche della mia. Era così piccola

e piccola ero io.

 

 

Dopo la partita di calcio

Giovanni scalzo mi dice

-Toglile anche tu - sfilo le scarpe

le mani bagnate, i piatti nel lavello

com'è bello mio figlio

è un mese che mi sfida

vuol sapere il giorno esatto

del sorpasso, lo fronteggio

mi spia, ci sfioriamo

la punta del naso, io fisso

le pupille, il verdeazzurro attorno,

saluto con un bacio

quest'ultimo pareggio

senza girone di ritorno.

*

Queste poesie mi fecero capire una cosa molto importante che non sapevo ancora di sapere: se è vero che quando nasce un bambino nascono anche mamma e papà, è vero anche che quando finisce l'infanzia di un figlio finisce anche l'infanzia dell'essere mamma e papà. Tocca a tutti crescere. L'ingresso nell'adolescenza dei miei figli significava anche per me salutare quello era stato, congedarmi da loro e dalla me stessa di prima. Dal loro corpo infantile, dalla loro voce che riascoltata nei filmati è una stretta al cuore, dai loro giochi sul pavimento, dai gesti e dalle consuetudini che ripetute centinaia di volte facevano sembrare quel tempo semplicemente eterno. Non era indolore ma necessario. Come non indolore e d’un tratto necessario era il loro passare di là. Ricordo quanto mi colpì il titolo della parte prima del libro L'età incerta, parte dedicata alla prepubertà (10-13 anni): L'inizio di un lungo addio. Mi sembrava che dicesse bene il motivo della fatica di crescere. Oppure quanto è stata importante una lettura di un altro saggio come La seconda nascita di Giuseppe Pellizzari (FrancoAngeli editore) che coglieva nell’adolescenza l’essenza di ogni crisi, la somiglianza con le volte in cui ci troviamo, anche da adulti, a fronteggiare un cambiamento tale che mette in discussione le nostre sicurezze e dunque l’occasione per ripensare al proprio continuo rinnovamento.

Leggendo quei saggi mi tornavano alla mente i commenti ascoltati tanti anni fa. Era la voce della mamma di una ragazzina che conoscevo. Sua figlia, come me, stava crescendo e lei non perdeva mai l'occasione di sottolineare quanto fosse migliore prima. Quanto fosse stata più carina, più educata, più obbediente.  Ma poi era tutto cambiato: il suo viso da bambina, persino la sua voce e i suoi capelli. Io mi chiedevo: che colpa ha se è cresciuta? Per far piacere a sua madre potrebbe forse non farlo? Capivo che dietro quelle parole c'era un lamento. Quella mamma non voleva invecchiare. Mi sembrò molto ingiusto che invece di dire così, passasse questo fardello a sua figlia come se stesse a lei fermare il tempo. Così formulai la promessa che, se avessi da grande avuto dei figli, sarei stata bene attenta a non imputare loro la colpa di crescere.

Fortunatamente, più che il dovere di obbedire a un’antica promessa, ha fatto la sorpresa. La sorpresa che il passaggio di cui ero testimone fosse fonte di novità interessantissime che di fatto impedivano di mostrarsi troppo nostalgici nei confronti dell’infanzia. Novità come il loro nuovo modo di pensare, di essere affettuosi e distanti allo stesso tempo, curiosi del mondo, l’abilità con cui si adattavano a trasformazioni, le risorse che tiravano fuori, le profonde tristezze e le gioie altissime, il modo di sentire l'ingiustizia e l’essere pronti a fare qualcosa, l'importanza che aveva l’ironia, la solitudine, la musica, l'amore. Di fatto tutti cambiamenti interiori, meno visibili, più segreti e per me più affascinanti. In Acerbo sarai tu ho provato a scrivere di questi cambiamenti e sfumature, rivolgendo il mio sguardo all’interno.

Le poesie sono arrivate a piccoli gruppi, un poco alla volta in un tempo lungo quattro anni. La voce che parla in questo libro è quella di chi sta crescendo. Mi è servito tanto tempo per scriverlo perché non volevo che fosse una finzione, una scimmiottatura.

Una volta passati dall'altra parte - quella dei grandi, quella della realtà, dell'iniziare a vedere le cose così come sono, dei giocattoli muti e fermi, dei genitori fallibili con difetti e mancanze, del primo amore, della voglia di uscire di casa ed esplorare la propria città - non si torna indietro, se non con qualche travestimento, non visti, con piccole incursioni. E allora, come potevo scrivere io che sono ormai dall’altra parte?

Grazie al cielo la scrittura è capace non solo di attraversare la boscaglia delle emozioni ma anche di trasformare questo cerchio di fuoco, questo confine non più penetrabile in una porta girevole. Serve molta pazienza, serve di accogliere le parole quando arrivano, farsi trovare svegli. Serve non forzare mai ma rimanere aperti. Serve anche scrivere insieme ai ragazzi. Per tutto il tempo che ho scritto Acerbo sarai tu sono stata me adolescente e un ragazzo come i tanti che incontro ogni settimana nelle scuole, nei laboratori di scrittura, nelle biblioteche ma anche per strada, nell'autobus. Scrivendo Acerbo sarai tu ho anche portato avanti la mia piccola ribellione a un tipo di approccio all’adolescenza che vede questa parola accoppiata a termini che preannunciano un disastro imminente: bullismo, disordini alimentari, dipendenze, dispersione scolastica, disagio. Di volta in volta si accosta questo tempo così prezioso, delicato e dirompente a un’etichetta che letta in controluce dice Speriamo che passi il più velocemente possibile.

L’adolescenza è, sì, un’età di passaggio ma non per questo destinata a non contare o a contare solo come attraversamento, solo con l’aspettativa di uscirne. Senza negare problematiche e punti critici, mi chiedevo che cosa ci fosse nei ragazzi da spaventarci così tanto. Ho provato a tornare indietro e dentro quell'età e a scriverne. Questo libro, che raccoglie quasi trenta poesie per ragazzi, mi risponde facendo un’altra domanda. L’adolescenza non è acerba. È ciò che è. Ha il sapore giusto del suo tempo. Fa il suo dovere e sta a noi fare il nostro. Chi sta crescendo è dentro a un cambiamento, nasce davvero una seconda volta, sente tutto in profondità, è pronto a farsi coinvolgere e scuotere, vede d'un tratto tutto più chiaro e anche se non sa ancora orientarsi, va. E noi? Siamo capaci ancora di sentire, vedere, siamo capaci di cambiare e nascere al nostro nuovo ruolo, siamo pronti ad andare avanti e trovarci difronte un ragazzo e non più un bambino? Siamo diventati abbastanza grandi perché lui ci possa guardare?

Felicissima che sia stato Francesco Chiacchio, con la sua intelligenza e sensibilità, a illustrare questi testi. Il suo segno, una specie di sismografo che ha registrato alti e bassi, piccole e grandi scosse, cambia e si trasforma nelle pagine. E tutti i colori si accendono come per la prima volta ma senza nascondere i passaggi più scuri, il nero, le ombre. Ci sono tanti corpi, tanti volti e movimenti. È tutto un andare, un viaggiare, un partire. Mi fa contenta vederli così e non sono chiusi dentro le case delle bambole o le case dei giochi in fondo ai giardini, come scrive Beatrice Masini.

Ringrazio di cuore i miei editori, Giovanna Zoboli e Paolo Canton, per l’ospitalità che hanno dato a questo libro per niente facile e per tutta la cura con cui lo hanno accompagnato. Ora che è diventato grande, lo guarderemo andarsene a spasso.

Ringrazio tutti i ragazzi che hanno scritto con me in questo lungo tempo e di seguito, trascrivo alcuni testi scritti dagli studenti della scuola media di Igea Marina durante e dopo un laboratorio di scrittura di qualche tempo fa. Ragazzi che hanno ciascuno un loro taccuino, che scrivono abitualmente anche per conoscere se stessi. Sara Paolucci e Paola Buda, le loro insegnanti, me li hanno spediti. Mi piace riportarli qui perché incontri come questo mi hanno aiutata a spingere la porta girevole, tornare tra loro e scrivere Acerbo sarai tu.

Perché sei sempre arrabbiata? Perché sei sempre così scontrosa? Perché non ti accontenti mai? Sono le solite domande a cui non rispondo mai, perché non c’è una risposta. È così e basta. Non mi piace non rispondere alla domanda “come stai?”. Perché non so come sto, mi sento smarrita e non so neanche chi sono.

*

La mia fase della vita è quella che preferisco, perché non sono troppo piccola per andare in giro da sola ma neanche troppo grande per non farmi aiutare dai miei genitori.

*

Ma la vera domanda è perché? Perché bisogna crescere? Perché restare bambini non si può? Quando cresci cambia tutto: il modo di pensare, il fisico, la scuola e la felicità. …La felicità cambia, ma più che altro diventi realista o pessimista perché sai quanto è difficile sopravvivere e vivere; da bambini si era spensierati e gioiosi, ma la gioia man mano svanisce e anche se ho solo tredici anni, so che da piccola ero felice più di ora perché adesso ho più responsabilità, la difficoltà si è alzata e questo è difficile da sostenere.

*

Non so per chi o per cosa, ma sono arrabbiata.

Lo sono e basta.

Tutte le sere prima di dormire sprofondo nei miei pensieri.

Penso sempre.

Ma anche quando non penso, dentro di me si forma una tristezza.

Una tristezza senza parole, completa, come delle cose quando le persone se ne sono andate.

*

Sarà sempre tutto così? Mi sentirò per sempre in questo modo?

Sempre così, la cosa si ripete all'infinito, sudo, tremo, scappo.

Ho molto tempo per pensare, la mia mente vola e in quel momento i miei pensieri diventavo la cosa più spaventosa che possa esistere.

*

Io cerco di essere diversa 
dagli altri dal modo in cui
mi vesto al mio carattere ma
 poi finisco per seguire la massa. Questa frase non mi viene detta da altre persone ma da me stessa.

*

Io sono fragile

ma non mi spezzo col vento.

Guardo tutto e tutti

ma resto in silenzio.

*

Essere bambini era fare e poi pensare, era giocare alla famiglia, era giocare con i nonni, era andare a Santa Fe e a Paperopoli; era non preoccuparsi né dell’esteriore né dell’interiore, era fare il pisolino, era avere bambole gigantesche, era inventare, era sperimentare, era essere ottimisti. Era credere in Babbo Natale, era preparare i biscotti la sera della Vigilia di Natale. Era non credere nelle cose brutte, piangere se mi sbucciavo un ginocchio, era guardare film della Disney mentre mangiavo mele a forma di sole.

*

Crescere è cambiare fisicamente, esternamente, internamente, caratterialmente. È ottenere una parte in più di te; è diventare più ricchi, è diventare più forti; è essere più attenti, è essere più pronti. Crescere è capire cose che non si sarebbero mai capite, pensare cose che non si sarebbero mai pensate, dire cose che non si sarebbero mai dette. Crescere è diventare realisti, è fare esperienze, è pensare con la propria testa, è vedere tanto, è vedere nuovo. Crescere è perdere tanto per ottenere tanto, perché siamo umani, come un computer dopo un po’ la memoria si riempie e dobbiamo cancellare un po’ di file, altri vanno persi e altri non si riescono più ad aprire.

*

Io sono la terra che gira e non mi si può fermare, perché mi muovo sempre e non sto mai ferma. Mi piace quando cammino e trovo una foglia che gira sempre e non si ferma mai, come me.