Fra lenostre letture estive di quest'anno, c'è stato anche il sublime Gli autonauti dellacosmostrada di Julio Cortazare Carol Dunlop, di cui abbiamo brevemente parlato qui. Un libro che racconta di un viaggio a tappe in autostrada da Parigia Marsiglia, su un furgoncino rosso Volkswagen (come la Topomobile),chiamato in omaggio a Wagner, Fafner, ovvero il Drago. Dove 'viaggioin autostrada' significa, letteralmente, che questa non è mai stataabbandonata, e che durante i trentatré giorni del viaggio, ne sono statevisitate tutte e sessantasei le piazzole, con soste in ognuna di esse,per dormire, mangiare, leggere, riposare, e naturalmente osservarnela natura, la vita, l'umanità, gli spazi, l'epica. Una sorta di'metaviaggio', si potrebbe dire, quindi. Se non fosse che in questoprogetto nulla c'è di forzato o intellettualistico: i viaggiatorisono d'eccezione, e il loro spirito lieve e luminoso si sposa a ognivisione facendone il resoconto da grandi avventure e osservazioni interre esotiche. Del resto, come ha scritto Neruda: «Chi non leggeCortazar è spacciato. Non leggerlo è una malattia molto seria einvisibile, che col tempo può avere conseguenze terribili.»
Vi riportiamo un brano bellissimo, dedicato a cani e bambini, e ailoro padroni, nelle piazzole di servizio.
Li liberano per cinque minuti, a volte mezz'ora, da quelleincomprensibili prigioni mobili che accettano rassegnati o furiosi, e laloro condotta nelle aree di sosta mostra l'allegria della libertà nellaforma più tumultuosa: correre, alzare la zampa per cinque o sei volte pernon esaurire il piacere su un solo tronco d'albero quando ce nesono tanti e tutti diversi, annusare tutto l'annusabile e infine avviarsiverso coloro che possiedono l'eminente virtù di avere un panino in manoo qualche fetta di salame sul tavolo. I cani dell'autostrada non hannoassolutamente fame, chiedere qualcosa è un semplice pretesto gentileper insaturare un rapporto e dimenticare per un attimo la prigione cheli aspetta e da cui cercano di allontanarsi nonostante quegli snervantifischi di richiamo che sono come il titolo di proprietà borghese su canie a volte sulle mogli.
Vengono da noi perché ogni cane sabenissimo quali sono gli umani che amano i cani, e perché un bocconein più aumenta la felicità del bosco tra i diversi episodi silvestriche punteggiano la breve tappa fuori dal carcere.
Ce ne sonodi grandi, dall'aria un po' tonta che vagano a volte un po' sperduti,i loro padroni si sono fermati a viaggiare e a chiacchieraree non se ne occupano, e allora bisogna aiutarli, come due giorni facon quel cagnone di razza indefinibile che, liberato da un furgoncinoappena più grande di lui, ci ha guardati con infinito sconcertoscoprendo che dal rubinetto dell'acqua accanto ai bagni non usciva unagoccia malgrado lui ci mettesse il muso sotto, che era bello grosso,e sembrava in attesa che il rubinetto rispondesse come avrebbe dovutofare se non fosse stato per natura incapace di comunicare con il mondocanino. È toccato a Carol aiutarlo e guadagnarsi grandi scondinzolatedi gratitudine e umide carezze, ma quasi sempre sono loro ad aiutarenoi, a ricordarci che non siamo soli, circondati da quei proprietaridi cani che rìgirano in orbite lontane e scontrose, così attentialle loro macchine e così incuranti della vita con la scusa dellevacanze e del riposo.
Siccome i bambini sono uguali ai cani,per fortuna andiamo d'accordo anche con loro, perché rispondonoal saluto, sono contenti del fatto che siamo contenti di vederli,e anche se i loro proprietari non gli danno neppure lontanamente lastessa libertà che danno ai cani, spesso riescono a scappare e adaddentrarsi per qualche metro nei boschi prima che una madre o un nonnoproduca un ruggito di allarme e di anatema e si precipiti a cercarlicon un sorriso affettuoso dietro al quale ci sono trentadue denti inbella vista. Ma loro riescono quasi sempre a sfruttare la loro fettadi libertà, come i cani. Oggi pomeriggio, per esempio, ho visto dalontano che dei genitori discreti davano le istruzioni necessarie alloro bambino di quattro anni perché si allontanasse dal prato tropposotto gli sguardi altrui e andasse a fare pipì fra gli alberi. Ilbambino mi ha visto seduto all'ombra di una quercia e la sua primareazione è stata di perplessità, seguita da una pausa durante la qualesembrava studiarmi con quell'aria solenne che in loro accompagna ognigiudizio di valore, poi, continuando a guardarmi, si è abbassato ipantaloni, ha afferrato con fermezza il suo pisellino e si è lasciatoandare alla delizia di ogni Manneken Pis come se la mia compagnia loriscattasse da tante raccomandazioni di pudore e come se in qualche modostesse facendo pipì sulle scarpe di suo padre, cosa che spero faràdavvero fra qualche anno.