Come un radar sensibile

[di Giovanna Zoboli]

Nel 2018 abbiamo pubblicato L’anima smarrita di Olga Tokarczuk e Joanna Concejo. Il libro (che è stato fra i vincitori del Bologna Ragazzi Award 2018), alla sua uscita, è stato amato soprattutto dai numerosi ammiratori di Joanna, che è sicuramente fra i migliori illustratori in circolazione, e che abbiamo la fortuna di pubblicare dal 2008, data di uscita del suo primo libro: Il signor Nessuno. Abbiamo acquistato i diritti di L’anima smarrita dall’editore polacco Format che ne detiene la proprietà. Format è uno degli editori polacchi di Tokarczuk, scrittrice che, fino al conferimento del Nobel 2018 (assegnato dall’Accademia di Svezia nel 2019), in Italia è stata pressoché sconosciuta benché pubblicata da alcune importanti case editrici (cosa che non di rado accade ai Nobel).

Fino a quel momento, in Italia, L’anima smarrita è passato sostanzialmente sotto silenzio. Si tratta di un libro che presenta una struttura anomala rispetto a quella canonica dei libri illustrati. Gran parte del testo si trova all’inizio del libro. La maggior parte delle illustrazioni appaiono dunque senza testo, così che la narrazione visiva e quella verbale presentano tempi e ritmi diversi, richiedendo al lettore un’attenzione e una disposizione all’osservazione non scontate o meccaniche. Inoltre, anche per il tratto di Joanna, spesso giudicato poco adatto a giovani lettori, questo viene considerato un libro ‘difficile’.  Per queste ragioni, credo, prima del Nobel alla Tokarczuk, L’anima smarrita è stato accolto e notato solo da una nicchia di lettori e di recensori. Dal giorno in cui Tokarczuk è stata proclamata Nobel 2018, naturalmente, è cambiato tutto: il libro è esaurito in pochi giorni, l’abbiamo dovuto ristampare a tamburo battente e a breve lo dovremo di nuovo ristampare. Una magnifica fortuna, per un editore, trovarsi un Nobel in catalogo da un giorno all’altro. E tuttavia…

Tuttavia, sebbene sia normale che un evento importante come un Nobel cambi il corso delle vendite di un libro, l’editore non può che trovarsi a riflettere su una cosa che peraltro sa già molto bene: che ci sono libri bellissimi che nessuno conosce, che nessuno vede, di cui pochi si accorgono cioè coloro che hanno l’occhio e l’orecchio lunghi e sanno cogliere segnali e dare loro retta. L’anima smarrita era un libro bellissimo prima che la sua autrice vincesse il Nobel e tale rimane anche dopo.

Il lavoro di narrazione visiva che ha fatto Joanna Concejo su questo testo era straordinario prima e resta straordinario dopo che il libro è assurto all’attenzione generale e universalmente dichiarato un piccolo capolavoro. L’attenzione sotto cui il fascio di luce dei riflettori lo hanno posto dovrebbe servire, perciò, non solo a far scoprire un libro, ma anche a illuminare il modo in cui da lettori lo guardiamo e scegliamo, consideriamo e acquistiamo. Sappiamo vederlo? Cosa ci induce all’acquisto? Sappiamo valutarlo? Cosa ci supporta nel giudizio? Sappiamo avventurarci oltre i nostri gusti, abbandonare il conosciuto e il sicuro per vedere qualcosa che ancora non fa parte dei nostri interessi consolidati, delle nostre conoscenze strutturate? Ognuno troverà il modo di rispondere per quel che lo riguarda.

D'altra parte, trattandosi di Tokarczuk, l'atto de guardare non è secondario se in proposito la scrittrice ha scitto in I vagabondi: “Ci sono due modi di guardare. Con uno vedi semplicemente gli oggetti, cose utili all’uomo, oneste e concrete, si sa subito come si usano, a cosa servono. E  poi c’è una visione panoramica, più generale, grazie alla quale si vedono i legami tra gli oggetti, le loro reti di rimbalzo. Le cose smettono di essere cose, il fatto che vengono usate è una questione di secondo piano, è solo apparenza. Ora sono segni, indicano qualcosa che nelle fotografie non c’è, che sta oltre i bordi delle immagini. Bisogna concentrarsi per poter mantenere quello sguardo che è essenzialmente un dono, una vera e propria grazia” (vedi Lo sguardo di Olga Tokarczuk di Francesco Cataluccio, in Doppiozero).

Olga Tokarczuk e Joanna Concejo, Varsavia, Istituto Cervantes, dicembre 2019.

Il discorso che Olga Tokarczuk ha pronunciato il giorno della consegna del Nobel, ha illuminato il senso di L’anima smarrita, attribuendo al testo e alla narrazione per immagini concepita da Concejo un valore straordinario. Il discorso di Tokarczuk si è aperto con il ricordo di una fotografia della madre e con parole che ne descrivono la presenza (il discorso è stato tradotto e pubblicato da Il Foglio l’11 dicembre 2019 e lo trovate integralmente a questo link).

La prima fotografia di cui conservo un ricordo consapevole è un’immagine di mia madre, precedente alla mia nascita. Sfortunatamente è una fotografia in bianco e nero, quindi molti dettagli sono andati perduti, si sono trasformati in vaghe forme grigie. La luce è morbida e soffusa, probabilmente primaverile, quel tipo di luce che filtra da una finestra e mantiene la stanza in un bagliore appena percettibile. Mia madre è seduta accanto alla nostra vecchia radio, una di quelle radio con un occhio verde e due manopole: una per regolare il volume, l’altra per trovare le stazioni. Questa radio in seguito divenne la grande compagna della mia infanzia; da lì ho appreso dell’esistenza del cosmo. Ruotando una manopola in ebano si spostavano le delicate sonde delle antenne e nel loro raggio entravano molte stazioni diverse: Varsavia, Londra, Lussemburgo e Parigi. A volte il suono esitava, come se tra Praga e New York, o Mosca e Madrid, i sensori delle antenne incontrassero dei buchi neri. Ogni volta che questo accadeva, dei brividi mi correvano lungo la schiena. Credevo che attraverso la radio mi parlassero diversi sistemi solari e galassie, scoppiettando e gorgheggiando, e che mi mandassero informazioni importanti, ma non ero in grado di decifrarli. Quando da bambina guardavo quella foto, ero sicura che mia madre, quando girava le manopole della nostra radio, mi cercasse. Come un radar sensibile, penetrava negli infiniti regni del cosmo, cercando di scoprire quando sarei arrivata e da dove. (…) Fuori dall’inquadratura, la donna leggermente ricurva guarda qualcosa non è accessibile a chi in seguito osserverà la foto.

Da bambina immaginavo che stesse guardando dentro il tempo. Nella foto non succede nulla: è la foto di uno stato, non di un processo. La donna è triste, apparentemente persa nei suoi pensieri, apparentemente persa.

Quando in seguito le ho chiesto il perché di quella tristezza – l’ho fatto in numerose occasioni, ottenendo sempre la stessa risposta – mia madre rispondeva che era triste perché non ero ancora nata, ma già le mancavo.

“Come potevo mancarti se non c’ero ancora?” le chiedevo. Sapevo che ti manca qualcuno che hai perso, che la mancanza è la conseguenza di una perdita.

“Ma può anche funzionare al contrario”, rispondeva. “Se una persona ci manca, vuol dire che c’è”.

Questo breve scambio, in una campagna della Polonia occidentale alla fine degli anni Sessanta, uno scambio tra mia madre e me, la sua bambina, è sempre rimasto nella mia memoria e mi ha dato una riserva di forza che mi è durata tutta la vita. Perché ha elevato la mia esistenza oltre l’ordinaria materialità del mondo, oltre il caso, oltre la causa e l’effetto e le leggi della probabilità. Mia mamma ha posto la mia esistenza fuori dal tempo, nelle dolci vicinanze dell’eternità. Nella mia mente di bambina capivo che esisteva più di quanto avessi mai immaginato prima. E che anche se un giorno mi fossi trovata a dire “Io sono persa”, avrei comunque iniziato a dirlo con le parole “Io sono”, le parole più importanti e strane del mondo. E così una giovane donna che non è mai stata religiosa, mia madre, mi ha dato una cosa che una volta si chiamava anima, fornendomi così il più grande e sensibile strumento per raccontare il mondo. È [… ] Signore e signori, qualche anno dopo, la donna nella fotografia, mia madre, alla quale mancavo anche se non ero ancora nata, mi leggeva favole. In una di esse, di Hans Christian Andersen, una teiera che era stata gettata nella spazzatura si lamentava di quanto fosse stata trattata con crudeltà dalla gente: - non appena le si era staccata la maniglia, si erano sbarazzati di lei. Ma se non fossero stati perfezionisti così esigenti, avrebbe comunque potuto essere utile a loro. [… ]

Da bambina ascoltavo queste fiabe con le guance arrossate e le lacrime agli occhi, perché credevo profondamente che gli oggetti avessero i loro problemi ed emozioni, così come una sorta di vita sociale, del tutto paragonabile a quella umana. I piatti del cassettone potevano dialogare e i cucchiai, i coltelli e le forchette nel cassetto formavano una specie di famiglia. Allo stesso modo, gli animali erano creature misteriose, sagge e autocoscienti con le quali eravamo sempre stati collegati da un legame spirituale e una somiglianza radicata. Ma anche i fiumi, le foreste e le strade avevano la loro esistenza: erano esseri viventi che mappavano il nostro spazio e costruivano un senso di appartenenza, un enigmatico Raumgeist. Anche il paesaggio che ci circonda era vivo, così come il Sole e la Luna, e tutti i corpi celesti, l’intero mondo visibile e invisibile. Quando ho iniziato ad avere dubbi? Sto cercando di trovare il momento della mia vita in cui con un semplice tocco tutto diventa diverso, meno sfumato, più semplice. Il sussurro del mondo divenne silenzioso, per essere sostituito dal frastuono della città, dal mormorio dei computer, dal tuono degli aeroplani e dal faticoso rumore bianco degli oceani delle informazioni.

Il mondo sta morendo e non ce ne accorgiamo. Non riusciamo a vedere che il mondo sta diventando una raccolta di cose e incidenti, una distesa senza vita in cui ci muoviamo persi e soli. (…) Questo è il motivo per cui desidero quell’altro mondo, il mondo della teiera. [… ]

Scrivo di fantasia, ma non è mai pura fabbricazione. Quando scrivo, devo sentire tutto dentro di me. Devo lasciare che tutti gli esseri viventi e gli oggetti che compaiono nel libro attraversino me, tutto ciò che è umano e al di là dell’umano, tutto ciò che vive e non è dotato di vita. Devo dare un’occhiata da vicino a ogni cosa e persona, con la massima solennità, e personificarli dentro di me, personalizzarli.

Questo è ciò per cui la tenerezza mi serve perché la tenerezza è l’arte di personificare, condividere i sentimenti e quindi scoprire infinite somiglianze. Creare storie significa portare costantemente in vita le cose, dando vita a tutti i minuscoli pezzi del mondo che sono rappresentati dalle esperienze umane, dalle situazioni che le persone hanno subito e dai loro ricordi. La tenerezza personalizza tutto ciò a cui si riferisce, rendendo possibile dargli una voce, dargli lo spazio e il tempo per venire all’esistenza e per essere espresso. È grazie alla tenerezza che la teiera inizia a parlare. La tenerezza è la forma più modesta di amore. È il tipo di amore che non appare nelle Scritture o nei Vangeli, nessuno lo giura, nessuno lo cita. Non ha emblemi o simboli speciali, né conduce al crimine o alla pronta invidia. Appare ovunque osserviamo attentamente e attentamente un altro essere, qualcosa che non è il nostro “io”. La tenerezza è spontanea e disinteressata; va ben oltre il sentimento empatico dei compagni. Invece è la condivisione consapevole, sebbene forse leggermente malinconica, comune del destino. La tenerezza è una profonda preoccupazione emotiva per un altro essere, la sua fragilità, la sua natura unica e la sua mancanza di immunità alla sofferenza e agli effetti del tempo. La tenerezza percepisce i legami che ci collegano, le somiglianze e l’identità tra di noi. Mostra il mondo come vivo, vivente, interconnesso, cooperante e codipendente su se stesso. La letteratura è costruita sulla tenerezza verso qualsiasi essere diverso da noi stessi. [… ]

Ecco perché credo di dover raccontare storie come se il mondo fosse una singola entità vivente, in costante formazione davanti ai nostri occhi, e come se fossimo una parte piccola e allo stesso tempo potente di essa.

Joanna Concejo, naturalmente, quando ha progettato il libro non era in alcun modo a conoscenza degli aspetti della biografia di Olga Tokarczuk presenti in questo discorso: la radio che rivela alla bambina la presenza del cosmo; la madre che, girando la manopola della radio, cerca nell'etere la bambina non ancora nata; la mancanza della bambina nella vita della madre; la lunga attesa materna; il dono alla figlia dell’anima ovvero lo strumento che avrebbe consentito alla scrittrice adulta di raccontare la realtà; le fiabe che la madre racconta alla bambina nelle quali compare un teiera gettata via che si lamenta del proprio destino.

Nell’interpretazione visiva che Joanna ha dato al racconto vediamo vecchie fotografie in bianco e nero, vediamo comparire una bambina che nel testo non è nominata, e alla fine capiamo che questa bambina è l’anima a lungo attesa dall’uomo che l’ha smarrita: una presenza che nella sua vita c’è sempre stata anche quando non si era ancora manifestata: una mancanza.

Nelle immagini di Joanna vediamo anche una teiera accanto all’uomo che aspetta, e che è uno dei pochi oggetti che abitano la sua casa vuota. E poi vediamo stoviglie e cucchiai che nei cassettoni formano una «specie di famiglia», ma anche animali misteriosi che popolano lo spazio domestico e, negli esterni, i fiumi e gli alberi, le strade «che mappano lo spazio e costruiscono un senso di appartenenza». Joanna Concejo, insomma, ha disegnato alcuni brani della vicenda biografica di Tokarczuk con una precisione impressionante. Come ha fatto?

Dopo quindici anni da editori possiamo dire che quello dell’illustratore, a questi livelli, è un lavoro davvero eccezionale. La tecnica e lo sguardo di un illustratore possono raggiungere una qualità artistica e letteraria inimmaginabile, e rivelare, come in questo caso, a chi è in grado di leggerli, una complessità di sguardo e interpretazione di eccezionale sensibilità, si direbbe quasi da veggente. Questo livello dell’opera di Joanna, il cui valore noi ritenevamo di conoscere bene e che però oggi ci accorgiamo di non aver compreso del tutto, ci è stato rivelato dal discorso di Tokarczuk in tutto il suo spessore. Era impossibile leggerlo, prima, con tanta esattezza.

Ma il discorso di Tokarczuk mette in luce un altro aspetto importante per la comprensione di questo libro: ovvero il ruolo centrale che ha avuto l’infanzia nella vita della scrittrice come momento fondante non solo dell’identità, ma anche della scrittura. È nella condizione infantile che Tokarczuk identifica i momenti salienti del senso del suo scrivere, profondamente legato alla scoperta di essere: scoperta legata alla rivelazione di essere nata nella mente di una madre in ascolto di una assenza: Se un giorno mi fossi trovata a dire “Io sono persa”, avrei comunque iniziato a dirlo con le parole “Io sono”, le parole più importanti e strane del mondo. E così una giovane donna che non è mai stata religiosa, mia madre, mi ha dato una cosa che una volta si chiamava anima, fornendomi così il più grande e sensibile strumento per raccontare il mondo.

Il testo e le immagini di L’anima smarrita nascono da questo nucleo di riflessioni, ricordi, esperienze. Che abbia assunto la forma di un libro con immagini destinato quindi a un pubblico trasversale fatto anche di bambini e ragazzi non è secondario, casuale. Perché questo è un libro che mette il tema dell’origine e della sua importanza al centro di ogni cosa. E il tema dell’origine è un tema fondante di molta della migliore letteratura per ragazzi.

Dunque, lunga vita all’Accademia di Svezia il cui lavoro non si limita a decretare successi planetari, promuovendo la lettura, i libri, gli scrittori, gli editori, ma anche a insegnare a tutti noi, ogni volta, a leggere, oltre le abitudini e gli stereotipi, a entrare in modo non scontato nelle opere letterarie, a intenderle nel loro senso più pieno, a fornirci strumenti di comprensione e interpretazione, e persino a indicarci che lettori siamo e come attraversiamo le pagine dei libri, cosa sappiamo vedere, come ci muoviamo e cosa ci sfugge e di cui, invece, avremmo più bisogno.

[Le immagini fotografiche si riferiscono alla mostra delle illustrazioni di Joanna Concejo per L'anima smarrita che ha inaugurato a Varsavia, il 17 dicembre, presso l'Istituto Cervantes. Le illustrazioni sono tratte dal libro.]