Dare forma alle nuvole

L'albo illustrato è ormai entrato di prepotenza nelle scuole. Le esperienze di utilizzo in ambito didattico sono ormai quotidiane ed estremamente variegate. Ma, nella maggior parte dei casi, si tratta di iniziative intraprese nella scuola primaria, spesso confinate ai primi anni, quando le capacità di lettura del solo testo sono più limitate e gli insegnanti - gli adulti in generale - tendono a pensare alle immagini che complementano il testo nella narrazione come a una sorta di aiutante magico che interviene per facilitare un compito arduo: imparare a leggere correntemente. Dopo questa fase, i libri con le figure vengono spesso abbandonati alle cure di ragazzi appassionati e genitori lungimiranti. Per questo ci ha fatto molto piacere seguire nel suo svilupparsi e, più personalmente, nel suo epilogo, questo esperimeno condotto da un'insegnante di Arte e immagine in una scuola secondaria di primo grado di una cittadina della provincia di Lodi: l'Istituto Comprensivo di Zelo Buon Persico. Ecco come sono andati i fatti.

[di Debora Zamboni]

Esattamente un anno fa, giunti al termine di un percorso scolastico dedicato alla lettura dell'immagine tramite l'uso degli albi illustrati, ho proposto ai miei ragazzi delle seconde classi di una scuola secondaria di primo grado della provincia di Lodi l'acquisto facoltativo di un libro sul quale svolgere un lavoro comune. Tra quelli utilizzati durante l'anno, ne ho scelto uno, L'angelo delle scarpe, scritto da Giovanna Zoboli e illustrato da Joanna Concejo.

Avremmo utilizzato l'albo durante tutto l'anno scolastico successivo, quello della terza: l'anno che vede i ragazzi costretti a rendersi consapevoli di dover abbandonare, di lì a breve, alcune quotidiane abitudini, oltre alle certezze determinate dall'ambiente, dalla vicinanza domestica, dalle conoscenze di quartiere o di paese; l'ultima tappa di quel ciclo di studi che, anche quando fosse ormai troppo stretto - e per qualcuno lo è davvero, perché, va dichiarato, la pre-adolescenza ha ormai superato i canonici parametri di adeguamento educativo ed evolutivo -, è da ritenersi infuso di fragilità, nebulose paure, false forze e ripidissimi precipizi emulativi. Soprattutto quando considerato nel suo tratto finale. La terza media, per l'appunto.

La proposta d'acquisto, gestita nella sua parte pratica dai genitori rappresentanti di classe, è stata accolta quasi all'unanimità con grande entusiasmo e una certa curiosità. I miei ragazzi, sin dalla prima, sono abituati a considerare gli albi illustrati materiale didattico a tutti gli effetti, grazie al fatto che, per esempio, per trattare approfondimenti teorici e pratici delle varie tecniche grafiche e pittoriche, sia propensa a usarli per dimostrare loro come e quanto possano essere efficaci e affascinanti l'uso delle matite colorate, della grafite, della tempera o dell'acrilico, in un ambito, quello della fiaba illustrata, spesso già considerato passato remoto nell'ambito della loro gestione intellettiva d'apprendimento. In poche parole, un oggetto inteso erroneamente come un trascorso culturale - se considerata l'età scolare dei miei alunni -, un elemento intellettuale, per la sua tradizionale natura di genere educativo, da relegare a una precisa scadenza. Così almeno pare l'atteggiamento diffuso per lo più in Italia.

Ancora.

Non è così, per me, e ora non lo è nemmeno per i miei studenti, soprattutto dopo avere condiviso insieme la fortunata occasione di avere ospiti presso il nostro Istituto Joanna Concejo e Paolo Canton: infatti, lo scopo iniziale dichiarato è stato parlare di come Joanna avesse scelto di  elaborare e trasformare il testo scritto in una narrazione per immagini risultata, alla fine, indipendente e libera, pur restando aderentissima alla 'forma della scrittura' e alla sua semantica, in modo tale da potenziarne il significato, l'intenzione corale che fa di questo libro un profondo esempio di strumento di educazione sentimentale.

Però, prima di esprimere le osservazioni raccolte alla fine del progetto, credo sia il caso di raccontare filologicamente come io abbia scelto di affrontare, sin dai primi approcci, L'angelo delle scarpe.

Quando a scuola propongo un albo illustrato, non indico mai ai miei studenti l'età per la quale si crede possa essere adatto il libro; come dicevo, non mi importa molto proporre testi per la relazione che essi hanno con una specifica morale o un'età di lettura suggerita; anzi, spesso questo aspetto crea una inutile distanza nel lettore scolastico – mai dimenticare che stiamo parlando di una proposta didattica specifica, con interlocutori chiamati ad ascoltare e a interagire secondo sollecitazioni disposte da un adulto in cattedra; non può, questo, fare poca differenza rispetto a una lettura scelta in altri contesti. Non può non essere, questo, il nucleo della sfida educativa alternativa. Va inoltre detto che trattare la fiaba e la favola in prima media è esattamente ciò che viene richiesto nel programma ministeriale alle mie colleghe di lettere, con le quali mi viene quindi naturale trovare agganci per proposte di lavoro congiunte (nessuna originalità o novità, sotto questo punto di vista; questo per noi significa mettere in pratica una tipologia di lavoro da programmazione ufficiale calata dall'alto. In tempi relativamente recenti, lo sviluppo e la personalizzazione di questo approccio è stato battezzato Competenze incrociate e Potenziamento delle competenze).

Cosa intendo io, quindi, in qualità di docente di Arte e Immagine, per lettura, soprattutto nel momento in cui intendo andare oltre l'intenzione più nota e, contemporaneamente, voglio attribuire un valore preciso e determinante alla lettura dell'immagine? Questo è ciò che costituisce, per tradizione, la presentazione del mio meccanismo didattico applicato alla mia materia dal primo giorno di scuola.

Leggere. Parola d'azione che sboccia dal seme semantico dell'azione raccogliere, dire. Mi piace l'idea che far scorrere gli occhi lungo un testo di sequenza alfabetica, dentro un'immagine –  che sia paesaggio, albero, volto, casa, confine, animale - ,  permetta di trovarsi vis à vis con l'automatismo dell'imparare: imparare a raccogliere informazioni dette; imparare a dire, raccogliendo; imparare ad apprendere ciò che qualcuno ha voluto manifestare perché fosse tramandato, grazie all'intervento di qualcuno che, leggendo, dà vita e successione a ciò che è stato; e così via, nuovamente, all'infinito.

Ma prima che questo automatismo divenga tale, e ci sembri lieve nel portarci nuovi raccolti, bisogna allenarsi a osservare con attenzione, con esperienza critica, con devozione per i particolari. Questo è il motivo principale che occupa chi produce cultura, questo è l'aspetto che muove chi la diffonde, chi la raccoglie e la rilascia, imperterrito, in un territorio di ascolto e condivisione. Senza avere timore della lentezza che richiede, del tempo che passa senza avere immediati e soddisfacenti riscontri.

Questo è il motivo per il quale ho scelto di proporre ai miei studenti adolescenti un libro così complesso come L'angelo delle scarpe: un libro così pieno di contraddizioni fra ascolto e dedizione, egoismo e superficialità, coraggio e armonia trovata per la prima volta, scoperta di sé e dell'altro spinta nell'avventura delle piccole cose quotidiane e domestiche. Ma all'inizio del mio percorso, non lo sapevo davvero così. Credo che all'inizio non lo sapesse nemmeno Joanna, e nemmeno Paolo. Tanto meno i miei studenti. Ecco perché è stato importante usarlo, perché ho chiesto loro di portarlo settimanalmente in cartella, anche quando non ne fosse previsto l'uso specifico, durante le mie due ore di lezione. All'inizio ho chiesto loro di non leggere il testo scritto, ma solo le figure, i piccoli particolari, spingendoli a chiedersi il perché dello stato semantico di quegli oggetti, precisamente in quel punto, in quell'angolo, in quella pagina.

Joanna è una splendida interprete, in tal senso, perché continuamente gioca a spostare i soggetti delle sue inquadrature, non dà mai spazio alle ovvietà iconografiche, a meno che servano per esprimere l'ovvio e asseverarne il significato, in esso – questa è la sua vera forza creatrice, secondo me -, le sue singole messe in pagina sono già sequenze all'interno delle quali è possibile trovare un ritmo di lettura - di raccolta, appunto - così esatto, fluido ma serrato nel campo visivo che poi si presta a correlarsi con la successiva apparizione. Joanna non definisce mai un punto di lettura unico, rigido. Il lettore è libero di dare nuova interpretazione ai suoi suggerimenti grafici e al loro interagire con il testo. Nel testo, per esempio, sono le frequenti ripetizioni di cose, parole, ossessioni e pretese: un testo, dunque, che contravviene a un insegnamento impartito nella scuola primaria (quell'evitate le ripetizioni, finalizzato all'arricchimento del loro repertorio di parole) e che ha perciò un po' spiazzato i ragazzi. La soluzione delle loro scolastiche perplessità è venuta nel momento in sono stati accompagnati a comprendere come immagine e scrittura si potenziassero reciprocamente; come, accompagnate da immagini diverse, le parole acquistassero un tono e un senso più variato e preciso. è risultato più semplice anche per loro sentire e credere nel messaggio dell'intera comunicazione). Joanna, detto semplicemente, sa leggere - e sa aiutare a leggere - molto bene.

Una cosa che ho cercato di evitare è stata  l'eccesso di spiegazione, sia del testo sia della singola immagine, o pagina: volevo che i ragazzi fossero  i veri protagonisti nella lettura delle parole e delle cose, dando la loro voce alla traduzione della narrazione, senza sentire il bisogno di mettersi al sicuro nella risposta o nella soluzione giusta (non è, questa, una materia assoluta, e nemmeno di stretta interpretazione: questo è un atteggiamento che mantengo sempre durante qualsiasi  tipo di lezione). Per aiutarli in un percorso di indagine assai impegnativo per ragazzi di quell'età e grado di formazione, ho chiesto loro di disegnare tutto ciò che Joanna aveva messo nelle pagine del libro, tratto dopo tratto, soggetto dopo soggetto. Così, disegnando e osservando ogni particolare o solida ombra, riportando, ognuno per sé sul proprio sketchbook, il visibile tolto al primo impatto in-visibile, hanno potuto sapere, conoscere meglio il contesto reale, in modo attivo, godendo anche del risultato del loro lavoro grafico, fatto di-segno.

Solo alla fine del processo d'indagine dentro le immagini – ciò al quale puntavo principalmente - abbiamo letto insieme il testo: quello è stato per me il momento di raccogliere le espressioni delle loro facce – più o meno stranite, se il senso delle parole cucite alle immagini pareva distante dalle prime e personali impressioni, ma anche curiose, confortate, dubbiose - fino a giungere alla comprensione oggettiva della narrazione, quella più esplicita. È durante l'incontro a scuola con l'illustratrice e con l'editore lo scorso 29 marzo, però, che abbiamo potuto potenziare e accertare ogni aspetto registrato in itinere. I ragazzi, non senza timidezza e un po' di timore hanno chiesto il perché di una farfalla, il senso di un bottone, per poi smarrirsi, misurando quanto fosse strano, dopo tanto indagare, sentirsi rispondere da Joanna: «Non lo so, non lo so mai, prima. Ma sento che è necessario». 

Allo stesso tempo, penso sia stato veramente importante per loro scoprire che tutta l'attenzione posta nel leggere, nell'osservare, nel disegnare sia utile in sé e che, alla fine di tutto questo fare, il senso può arrivare, anche senza doverci pensare. Preciso, esatto, senza spiegazione, ma vivo, giusto, elegante. Un senso che magari ha la forma di uno spazio da occupare, un'ombra da bilanciare, per aiutare la formula di un ritmo, un respiro.

L'indagine è parte attiva della lettura: leggere non significa scorrere le parole una dopo l'altra, in una sequenza da rosario, un grano dopo l'altro. Forse, quello è il sistema d'origine, la modalità per imparare la tecnica di un tipo di lettura, quella tradizionale basilare, didattica.

Leggere è dare forma alle nuvole, raccogliersi in un incontro con ambienti, forme e tinte umane, odori e incalcolabili suggestioni di realtà che ci appartengono propriamente nell'attimo in cui ci mettiamo a disposizione, quando noi, esseri leggenti, andiamo oltre la nostra visione – di un luogo, un malessere, un oggetto – per divenire altro, per scomparire di fronte a noi stessi. Per manifestarci in modi differenti, magari migliori. Più riconoscenti, più conosciuti. Leggere è sublimare uno stato, quello personale identitario, in un altro.

Ecco, io ci ho provato, insieme a Joanna e a Paolo, a far comprendere a questi ragazzi l'importanza dell'azione del leggere, del raccogliere. Del capire l'importanza di un oggetto, la memoria di una parola. L'ho sentito, l'Angelo delle scarpe arrivato come anima mercuriale a dare comunicazione agli uomini indaffarati, distratti, assenti. A dire che il silenzio può fare male e fare bene; che con o senza scarpe siamo, siamo lo stesso. Ma, soprattutto, ho tentato di dire loro che Simone siamo sempre anche un po' noi, a qualsiasi età, a rischio di dimenticanza, di distrazione, di illusione. E ho augurato loro la tigre, e il suo coraggio di perseveranza silente. Perché loro sono all'inizio di tutto, ma il futuro non ha età, e chi smette di dare forma alle nuvole, si è perso. Forse, si è perso per sempre.

Ringrazio Joanna, Paolo, i miei ragazzi e la mia scuola.

[Questa esperienza di lettura delle immagini e l'incontro con l'illustratrice e l'editore sono inseriti nel progetto d'Istituto “AmicoLibro”, referente la professoressa Giovanna Falcone].