Igenitori parlano dei figli. Intorno a questo argomento pervasivosi coagula l'interesse della gran parte dei genitori (per la noiae il dispiacere di chi figli non ne ha, o riesce a viverli con piùdistacco). Con l'avvento delle nuove tecnologie, questo incessante efluidissimo discorso sui figli non poteva non invadere anche la blogosferae i social network.
La comunità dellemamme blogger (e il fenomeno del mommyblogging) oggi èdavvero molto ampia e comprende professionisti della comunicazione web,aspiranti tali, educatori, hobbisti. Nel gruppo, inoltre, andrebberoincluse anche le persone che magari non hanno un blog, ma che sidestreggiano con disinvoltura tra forum, facebook, twitter, pinterestecc. Il blog è solo uno dei media che costituiscono, nell'insieme,un potente sistema integrato per veicolare informazioni, crearerapporti, diffondere mode e orientare i consumi. Un vero maremagnum in cui ogni persona è presente con motivazioni,competenze e aspirazioni differenti.
Ma c'è un primo stereotipo da sfatare:la comunità web che ruota intorno al tema dell'infanzia non è piùterritorio esclusivo delle donne. La realtà è piuttosto quella difamiglie che creano, grazie alla tecnologia, quella rete di supportoe condivisione mancante o deficitaria nel tessuto sociale: si entra inrete per non restare isolati e per reperire informazioni. Poi, una voltaon line, lo spazio che si è creato si sviluppa nel tempo, spesso indirezioni che possono rivelarsi imprevedibili.
Michiamo Silvia Geroldi, e sono una mamma blogger. Trentanoveanni, sposata, una bimba di cinque anni, un lavoro dalle nove allecinque e il web come occasione di condivisione, crescita personalee divertimento. Una soluzione tecnologica estremamente piacevole emolto pratica, che baratterei subito con un incremento di ore libereda trascorrere con la famiglia e con gli amici – e anche da sola,perché no? - possibilmente all'aperto.
Ho un profilo facebook dal 2009. Nelsettembre 2010 ho aperto Un non.blogcon il minimo sforzo, dal settembre 2011 conVoglio una melablu scrivo su Ilviaggio emotivo, dal marzo 2012 con Camilla Catarzisviluppo il progetto Measachair, che almomento assorbe gran parte della mia attenzione. Ogni blog ha una propriapagina facebook, naturalmente, e non mancano le board su Pinterest perarchiviare le attività creative da svolgere nell'ipotetico e preziosotempo libero. Appassionata di grafica e arte, colleziono immaginisulla piattaforma tumblr: quella dedicata all'infanzia è intitolataBambini cattivi scartati alcasting.
Tutto ciò offre una moltitudinedi stimoli che non riesco mai ad approfondire quanto vorrei. E –peggio! - non vado in palestra e la casa è un disastro. Dimenticavo, houn profilo twitter che non uso, ci ho provato, ma non fa per me.
Mio marito e mia figlia sono completamente coinvolti in questovortice e non si lamentano troppo, vedendomi contenta e trovandosimpatici i contatti nati sul web e ora diventati amici presentianche nella “vita a tre dimensioni”. Per me tutto ciò non èuna fuga dalla realtà, ma la realizzazione di alcune parti di meche, senza il web, resterebbero inespresse.
Raccontandomi on line e confrontandomi conpersone affini, imparo a conoscermi, delineando via via un'identitàche cerco di tenere sempre ben ancorata alla realtà. C'è chi parla,ironicamente, di web-terapia. Con me ha funzionato: timida e un po'terrorizzata dalle questioni riguardanti la privacy, ho esordito con unbuffo nickname (Stima di Danno) e usando una sediacome avatar. Oggi firmo il progetto Measachair connome e cognome e sto scrivendo, onoratissima e incredula, un post perTopiPittori. Personal branding, pare che tutto ciò siadefinito così. Io so solo che mi diverto e che mi è utile. Non so benea cosa, ma è utile.
Tutto cambia rapidamente,fuori e dentro la rete: in questi anni ho assistito alla trasformazionedi alcuni blog da semplici narrazioni personali a veri e propri prodottiprofessionali, spesso di ottima qualità; ho osservato in modo critico ildialogo, non sempre ad armi pari, tra aziende e blogger; tocco con manola crisi economica, che costringe a ripensare la propria professionalità,ma che può essere anche un'occasione per migliorarsi esviluppare soluzioni alternative. Su ciascuno di questiaspetti si potrebbero scrivere pagine e pagine e generaredibattiti. Non è questa la sede, credo.
Io ho scelto in che direzione andare. Nonpenso che diventerò una blogger professionista, dal momento che nonsto studiando gli aspetti tecnici del web. Tuttavia sono alla ricerca diun mio stile, mi impongo di non subire le mode e di utilizzare parole,immagini e strumenti con attenzione. I risultati sono incostanti,gli sviluppi imprevedibili, ma è sempre presente la volontà diimmettere in rete contenuti originali o poco noti, con grande rispettoper le fonti. Ricerco la qualità, nel mio piccolo e in tono leggero,e ogni tanto – mi dicono – stimolo riflessioni.
Nel corso di questi anni, ho soprattutto sperimentato, osservatoe imparato. Rifletto molto sul linguaggio, sull'uso che le personefanno dei social, su come ci si rappresenta, sulle intenzioni,su quello che viene percepito. Particolarmente interessanti da“studiare” sono i professionisti della comunicazione, gli autori,gli artisti: persone che utilizzano il web al meglio, per promuoversima anche per confrontarsi con il pubblico e trarne ispirazione,in uno scambio reale e percepibile.
Cercando di imparare daquesti esempi positivi, ogni giorno sviluppo la mia narrazione,che è orientata soprattutto alla condivisione, al dialogo, alloscambio. Il mio interesse primario è creare una rete di qualità:voglio sviluppare contatti significativi, che in alcuni casi superinola dimensione del virtuale. Non ho ambizioni legate alla scrittura,non ho romanzi nel cassetto e non frequenterò corsi di fotografiao web marketing. Credo che il mio racconto possa solo vivere nelladimensione fluida ed effimera della rete. Parole e immagini resterannotracciabili, ma non rappresenteranno significati fondanti, non saranno lamia espressione più profonda che riservo a poche persone in privato. Icontenuti che immetto on line sono solo lievi suggestioni per tenderefili, insinuare dubbi, suscitare pensieri.
Da subito ho voluto impostare Un non.blog con ilminimo sforzo come uno spazio ironico e centrato su di me come personanel mio complesso, non come mamma. La maternità è uno degli aspettiesplorati, ma non l'unico. Ho scritto alcuni post introspettivi, ho presoqualche posizione netta, ma soprattutto ho cercato di mantenere un tonoleggero senza scendere eccessivamente in particolari diaristici. Questoapproccio rende talvolta i miei post un po' criptici, o quantomenoambigui e interpretabili secondo diversi piani di lettura. Sonoconsapevole che questo modo di fare blogging porta ad avere un numerodi lettori limitato e molto fidelizzato. Chi mi legge nonimpara niente, non acquisisce informazioni utili, ma è semplicementeincuriosito dallo stile della narrazione, credo.
In questosenso mi sento fortunata, ho lettori affezionati che mi somigliano emi seguono dagli inizi. A ogni nuovo progetto, a ogni nuovo strumentosperimentato si aggiunge qualcuno, ma dubito che ci siano lettoriche mi seguono in tutte le direzioni.
Tutta la mia attività resta nella dimensioneludica, pur cercando di utilizzare al meglio i vari strumenti che hoscelto. È l'esperienza ad avere valore, più che il risultato. Propriocome i bambini, attraverso il mio gioco imparo e cresco. E naturalmentegioco con i bambini con cui ho maggiore affinità!
Una mattina, mentre accompagnavo mia figlia all'asilo,mi sono imbattuta in questa sagoma tracciata sul marciapiedi da unafoglia e dalla pioggia. La foglia non c'era più, portata via dalvento, ma il suo segno era restato. Tuttavia era un segno effimero,pronto anch'esso a evaporare, a trasformarsi e a confondersi con altretracce. Ecco, immagino la mia presenza in rete proprio così: unasegno in continuo mutamento.
Suirisvolti economici del mommyblogging potete leggere questo interessantissimo articolo diThe Atlantic.